Sarà una coincidenza fortuita, ma l’affidamento dell’incarico al prof. Giuseppe Conte è avvenuto proprio nelle ore in cui la Commissione Europea consegnava le raccomandazioni-paese. Per l’Italia, in particolare, viene prescritto per la legge di stabilità del prossimo anno un aggiustamento strutturale del deficit dello 0,6% del prodotto interno lordo; che va ad aggiungersi alla correzione dello 0,3% già indicata per il 2018 ma non ancora dettagliata in provvedimenti specifici. Il totale fa circa 15 miliardi di “manovra correttiva”, da trovare tagliando le spese e/o aumentando qualche tassa.
Se aggiungiamo le estemporanee “note aggiuntive” rilasciate dal Quirinale dopo le due ore di colloquio col primo ministro incaricato, più gli inviti espliciti a “mantenere la posizione internazionale dell’Italia”, rassicurare l’Unione Europea e i mercati, abbiamo il quadro preciso di una maggioranza di governo stretta tra promesse in qualche misura esagerate e “vincoli” – sia esterni che interni – molto condizionanti.
Da parte nostra, non ci interessa affatto approfondire curriculum e personalità del premier incaricato, convinti come siamo che le scelte politiche non dipendano dai singoli individui selezionati per realizzarle, ma dai processi storici in evoluzione sotto la spinta di forze oggettive, materiali, economiche e non. Con altro linguaggio, Marcello Sorgi – ex direttore ed editorialista de La Stampa – dice la stessa cosa: “il nuovo mestiere che [il prof. Conte] si è scelto è fondato su una regola non scritta: governare è fare quel che si deve, e non ciò che si vuole”.
Messa così, appare abbastanza chiaro che “il contratto di programma” condiviso da Lega e Cinque Stelle troverà ostacoli ad ogni passaggio, sia sul piano istituzionale – Mattarella ha già avvertito Conte: “ci sentiremo spesso” – che su quello dei mercati finanziari. Anzi, lo stesso Sorgi prevede che “La vera opposizione la faranno i mercati, allarmati da quel che potrà accadere, impegnati a guardare con la lente di ingrandimento le prime mosse del professor Conte e dei suoi ministri, e soprattutto, in assenza di messaggi chiari, pronti a firmare vendite in blocco dei nostri titoli di stato, cosa che si ripercuoterebbe immediatamente sui risparmi degli italiani.”
I fucili puntati sui governi nascenti, in Europa, non sono una novità. Ma è la prima volta che un paese di grande peso economico “cade” nelle mani di partiti considerati euroscettici fino a poche settimane fa. C’è da dire che i Cinque Stelle in versione Di Maio si stanno sbracciando fin dal 5 marzo per far dimenticare il loro passato (al parlamento di Strasburgo avevano fatto gruppo insieme all’Ukip di Farage). Mentre Salvini non perde occasioni per bilanciare frasette rassicuranti con sparate sull’“orgoglio italiano” ora ritrovato grazie a lui.
Le nomine dei ministri più importanti su questo fronte – economia ed esteri – chiariranno in buona parte la dimensione dello “strappo” che la nuova maggioranza intende fare rispetto agli assetti consolidati dell’establishment. Come scrivevamo ieri, la nomina di Paolo Savona all’economia sarebbe oggettivamente una bomba nelle relazioni interne alla Ue.
Ma più ancora delle facce conteranno i primi atti di governo, su cui si va già scatenando la canea dei “retroscenisti”.
L’unico punto fermo, sul piano politico continentale, l’ha messo intanto il vice presidente della Commissione Europea, Valdis Dombrovskis: “Il governo si sta formando. Per ora posso solo dire che è importante mantenere la rotta di politiche di bilancio e macroeconomiche responsabili”. Oltre a “raccomandare” quella correzione da 15 miliardi...
Ad accompagnare la “raccomandazione” viene la costante risalita dello spread tra titoli di stato italiani e tedeschi, arrivato a sfiorare i 200 punti per poi ridiscendere – stamattina – intorno ai 180, in seguito alle dichiarazioni di Conte proprio sul “mantenimento della posizione internazionale” dell’Italia. Ossia la promessa di rispettare sia i diktat che le “raccomandazioni” provenienti da Bruxelles, Francoforte e Washington.
Ma delle due, l’una. O il governo Conte si muoverò nel solco della “continuità” con i governi precedenti, abbandonando di fatto sia le pretese di “svolta” che il “contratto di programma”, oppure dovrà cercare di fare alcune delle cose promesse sul piano economico. Perché sarebbe comunque difficile mantenere il consenso popolare premendo soltanto sul pedale delle misure a costo quasi zero (più poteri alle polizie, più espulsioni di immigrati, più sgomberi di immobili occupati, ecc).
In assenza di una opposizione parlamentare credibile (berlusconiani e renziani possono solo tacere o fare battute senza spessore, perché sbandierare l’austerità e il pareggio di bilancio non porta voti), giustamente c’è il rischio che “la vera opposizione” la facciano “i mercati”, sanzionando o premiando singole scelte del prossimo governo.
Spetta a noi evitare che questo quadro si consolidi. E l’unica strada che possiamo percorrere è quella vietata sia ai mercati che ai berlusconian-renziani: il conflitto sociale. Ragioni di mobilitazione e bisogni sociali non mancano; anzi, l’elenco può apparire persino troppo lungo.
Il voto popolare del 4 marzo ha sancito la distruzione del vecchio sistema di rappresentanza politica proprio perché percepito come longa manus di un sistema di potere economico indifferente o nemico dei popoli, fonte di scelte politiche – l’austerità – che hanno aggravato le conseguenze della crisi globale colpendo gli strati più deboli della popolazione. Il nuovo assetto appare agli occhi degli elettori una “novità”, il che potrà garantire magari qualche mese di “luna di miele”. Poi sarà la forza delle cose a far pendere la bilancia in un’altra direzione.
Quella che va messa in campo è una soggettività unitaria, di movimento e politicamente “sveglia”. Perché tra una destra timidamente euroscettica e una destra euroentusiasta (o servile) l’unico spazio agibile è quello di un movimento popolare che si batte contro il nuovo governo e contro l’Unione Europea.
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