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28/05/2018

“Qui comandano i mercati e il popolo non conta nulla!”

Ora tutto è chiaro, davanti agli occhi, senza veli ideologici che possano mascherare la realtà.

Il metodo della democrazia parlamentare, vanto e giustificazione dell’aggressività occidentale contro il resto del mondo, non è più funzionale alle esigenze del grande capitale multinazionale. E quindi va “superato”.

La decisione di Sergio Mattarella – impedire l’insediamento di un governo non pienamente controllato dalla Troika e assegnare l’incarico a Carlo “mani di forbice” Cottarelli, uomo del Fondo Monetario Internazionale, troppo estremo perfino per Matteo Renzi come commissario alla spending review – segna uno spartiacque irreversibile con la tradizione repubblicana, italiana ed europea.

La Costituzione italiana nata dalla Resistenza viene ridotta al solo comma dell’art. 81 (“Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio”), introdotto a forza su pressione dell’Unione Europea e votato senza discussione da tutti i partiti esistenti all’epoca del governo già para-golpista di Mario Monti. Il resto non conta più nulla; non è esigibile se sballa il pareggio di bilancio.

Lo ha spiegato lo stesso Mattarella con insolita chiarezza: “La designazione del ministro dell’economia costituisce sempre un messaggio immediato per gli operatori economici e finanziari, ho chiesto per quel ministero l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, che […] non sia visto come sostenitore di linee che potrebbe provocare la fuoriuscita dell’Italia dall’euro”.

Qualunque maggioranza politica possa uscire da un voto popolare deve sottostare a questa regola, evidentemente non costituzionale. Può esserci una maggioranza di centro, di estrema destra o una apertamente socialista, ma la politica economica – il cuore di ogni attività di governo – deve restare soltanto una: quella fissata dalle “istituzioni sovranazionali” non elette, o addirittura dai “mercati”, ossia dalla speculazione finanziaria globale.

Mattarella non ha infatti sollevato nessuna obiezione all’indicazione di un fasciorazzista come Matteo Salvini a ministro degli interni, ruolo che avrebbe usato per disporre espulsione di migranti e profughi, repressione di scioperi e movimenti di opposizione popolare, libertà di sparare. Questo non preoccupa affatto “i mercati” (anzi...). Mattarella non si è contrapposto in nome dell’antifascismo e della libertà delle persone, ma in difesa del business e dell’austerità.

Sa meglio di noi che “i risparmi degli italiani” sono una parte, nemmeno la più consistente, del bottino che la Troika e le economie continentali più forti (Germania in testa) pensano di poter fare in questo paese. Non sta difendendo i nostri risparmi (per chi li ha, ovvio...), ma si è mosso per consegnarli ai pretendenti più potenti.

Non si era mai verificato che una maggioranza parlamentare si vedesse rifiutare l’approvazione della lista dei ministri per questioni di linee di politica economica. Non era mai accaduto che un presidente della Repubblica invocasse l’interesse dei mercati come elemento decisivo e prevalente per la formazione di un governo. Non era mai accaduto, insomma, che un presidente della Repubblica considerasse nulla la volontà popolare espressa con il voto. Di fatto, Mattarella ha reinterpretato il suo ruolo come se fossimo in una Repubblica presidenziale, anziché in una parlamentare. Negare al Parlamento la possibilità di formare un governo non in linea con quanto deciso altrove significa consideralo inutile. Ma un Parlamento senza poteri – esattamente come quello di Strasburgo – è la fotografia del superamento della democrazia, della concentrazione del potere politico in mani diverse, ignote, estranee. Nemiche.

Una volta messa nero su bianco la predominanza dei mercati su qualsiasi altro interesse, la dialettica politica interna a un paese viene ridotta a ben poco. E infatti si è subito visto lo schieramento di tutta la grande stampa, italiana e soprattutto europea, dietro la decisione presidenziale, che a questo punto può contare sull’apporto dei berlusconiani e dei renziani (compreso il “soggetto inutile” chiamato LeU). Dall’altra parte le forze nazionaliste e di destra, che sono fin qui riuscite a capitalizzare il malessere sociale prodotto da un decennio di politiche di austerità, tagli alla spesa sociale, ai diritti, ai salari reali.

Cosa accadrà ora, nel dettaglio, è difficile da prevedere. Ma nelle linee strategiche è persino scontato.

Un governo Cottarelli senza maggioranza in Parlamento può realizzare il massacro sociale previsto dall’entrata a regime del Fiscal Compact, trattato che impone il taglio del debito pubblico nella misura del 5% annuo per i prossimi venti anni. Può fissare i provvedimenti necessari a questo massacro nella legge di stabilità da approvare entro il 31 dicembre sotto la supervisione della Commissione europea. Può approvare le “riforme” dell’Unione Europea che dovranno decidere i capi di stato a fine giugno per creare una “Europa a due velocità”. Può sottoscrivere il bilancio europeo che fissa le scelte continentali obbliganti per i prossimi dieci anni.

Ma non può andare oltre il 31 dicembre. A meno di non decretare che l’Italia entra in un regime dittatoriale con a capo la finanza internazionale.

Le prossime elezioni politiche anticipate, da fissare per febbraio o marzo, prevedibilmente darebbero una maggioranza schiacciante ai due partiti “vittime” del golpe presidenziale. Ma da qui ad allora spread, mercati, istituzioni sovranazionali, emissari pubblici e privati di tutti i poteri interessati a fissare in regola il Mattarella moment, metteranno in campo tutte le energie negative possibili. Nessuna esclusa.

Dobbiamo attenderci di tutto. Perché quella che si va combattendo in questo paese è una piccola battaglia all’interno di una guerra globale che va assumendo connotati sempre più chiari. Chiamerebbero persino l’Isis, se potesse tornare utile (siamo pur sempre il paese della strage di Piazza Fontana, no?).

Chi – come i Cinque Stelle e la Lega – ha creduto che si potesse “prendere il potere” con delle abili campagne di marketing politico deve ora fare i conti con l’antico e brutale fondamento della politica e della guerra: i rapporti di forza. Quelli solo elettorali, come hanno dovuto sperimentare in genere socialisti e comunisti nel ‘900, contano poco quando il gioco si fa duro e gli interessi in campo decidono di agire in prima persona, con pochi intermediari fidatissimi, con la violenza della ricchezza ed eventualmente anche quella delle armi.

Può sorprendere che a sperimentare questa brutalità siano forze di destra come i leghisti o evanescenti neodemocristiani come i Cinque Stelle. Ma è sorprendente solo per chi aveva dimenticato che “il capitale” o l’imperialismo non sono un soggetto unico, ma ruoli interpretati da molti soggetti, la cui forza dipende appunto dalla massa di capitale accumulato e gestito.

Si può insomma vincere una elezione gridando “onestà, onestà” oppure “prima gli italiani”. Ma le trovate pubblicitarie sono impotenti davanti al dispiegarsi del vero potere, quando sente in pericolo i propri interessi.

Vedremo se avranno davvero il coraggio di far aprire a questo Parlamento un procedimento di impeachment nei confronti di Sergio Mattarella, ma sembra lecito dubitarne.

Anche attendere l’uscita di scena di questo presidente per puntare poi all’elezione di uno meno prono ai voleri della Troika – tra tre anni e mezzo – sarebbe una scommessa fondata su variabili incontrollabili.

Di certo, lo scontro politico avviene ora su un campo ridisegnato nei fondamentali. In alto c’è un potere sovraordinante, rappresentato dalle istituzioni sovranazionali; dall’altro una massa di interessi diversi che si aggregano o si combattono freneticamente, ma con ben scarsa possibilità di prendere in mano una “stanza dei bottoni” che esiste ormai soltanto per disciplinare l’immensa platea degli sfruttati che si vorrebbe ridurre al rango di schiavi.

I soggetti che vogliono organizzare e rappresentare questi ultimi non hanno nulla da condividere con quel mondo di “sfruttatori deboli” che in questo momento domina nella scena politica e parlamentare. Ma ogni sforzo di riunificazione delle energie positive, vitali, conflittuali – come ha saggiamente dimostrato la due giorni di assemblea di Potere al Popolo, a Napoli – ha una possibilità di successo se identifica con chiarezza il campo di gioco e le squadre avversarie. Ossia il nemico e “le regole di ingaggio”. Il nostro primo motto deve essere sempre prima gli sfruttati!

Ora si tratta di cominciare a giocare davvero, al ritmo che impone la partita, senza più soffermarsi troppo su desideri, speranze, compromessi, tatticismi... Ossia su vizi ed abitudini che davvero dividono, invece di ricompattare.

Basti pensare che soltanto ieri pomeriggio stavamo preparandoci a battagliare contro un governo grillin-leghista e stamattina abbiamo davanti un governo della Troika, senza se e senza ma.

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