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31/05/2018

La soluzione alla crisi istituzionale? Da due governi ricavarne uno: fasciorazzista ed europeista

Si lavora ad una pareggio. E a un governo che sia la sintesi tra i due fin qui proposti.

Se si vuole cogliere l’essenza di quel che sta accadendo all’88° giorno di crisi post-elettorale è meglio non farsi deviare dal fiume di dichiarazioni smentite un attimo dopo.

Di certo c’è soltanto che il governo grillin-leghista (dunque politico-politico) è rientrato dalla finestra perché non era possibile arginare la speculazione finanziaria con un esecutivo Cottarelli (politico-tecnico) “figlio di nessuno” e senza neanche un voto in Parlamento.

Ma nessuno può immaginare che si possa tornare a sabato scorso, come se si fosse scherzato, e con una “squadra” di ministri identica a quella presentata a – e rifiutata da – Sergio Mattarella.

La casella strategica è quella del ministero dell’economia, come sanno ormai anche i sordi. E su quella poltrona di certo non può più andare Paolo Savona, la “pietra dello scandalo”, l’“euroscettico” senza se e senza ma, il nome inviso all’establishment di Bruxelles. Ma non si può neanche scaricarlo, perché questa apparirebbe come una resa di Salvini e Di Maio.

Le voci più insistenti parlano di Pierluigi Ciocca a via XX Settembre, e questo è certamente un tecnico di prima fascia e lunga esperienza. La sua carriera si è svolta quasi per intero in Banca d’Italia, di cui è stato anche vicedirettore generale, fino ad essere uno dei pochissimi candidati a sostituire Antonio Fazio alla fine del 2005. Particolare non secondario, fino al momento dell’introduzione dell’euro è stato il rappresentante della Banca d’Italia nel Comitato per l’Euro presso il Ministero del Tesoro. Di recente, però, i suoi contributi al dibattito economico – come si vede da Il Sole 24 Ore di oggi – sono piuttosto interni alla visione macroeconomica supply side, ovvero alla “politica dell’offerta”, tra Laffer e Feldstein, nota negli anni come Reaganomics.

Secondo le stesse voci, Savona verrebbe destinato al ministero delle Politiche europee, o agli esteri; un modo di continuare ad usarlo come spauracchio anti-Bruxelles, con forti poteri di negoziazione, lasciando però le leve della disastrata economia nazionale in mani più “affidabili” agli occhi dell’establishment.

Un compromesso. Che illumina il caos. Anche se il nome definitivo fosse un altro, l’ipotesi Ciocca chiarisce la direzione dei colloqui segreti di queste ore: mettere nelle caselle sensibili personaggi “affidabili” e lasciarsi le mani libere nelle faccende che non richiedono grandi risorse finanziarie.

A spingere in questa direzione, da giorni, sono i grillini in versione Di Maio, pronti a mollare qualsiasi trincea pur di arrivare a governare e in palese affanno. Tanto che deputata Laura Castelli, considerata vicinissima a Di Maio e unica donna ad essere ammessa nel “gruppo di lavoro” grillin-leghista che ha redatto “il contratto”, ha addirittura invitato il povero Savona a farsi da parte spontaneamente («Stupisce che non abbia ancora maturato la decisione di fare un passo indietro»), togliendo così d’imbarazzo il putto di Pomigliano d’Arco.

La Lega ufficialmente non si pronuncia su questa ipotesi, ma sembra chiaro che il compromesso in grado di “tranquillizzare i mercati” prevede grossi passi indietro sul tema dell’euro e dell’Unione Europea. Passi che stanno facendo a ritmo forsennato, visto che la storica scritta sul muro di cinta di via Bellerio – sede centrale della Lega, dove da sempre campeggiava un gigantesco “Lega Nord Padania. Basta euro” – è improvvisamente stata cancellata. Palazzo Chigi val bene qualche messa...

Un governo misto – grillini e leghisti, ma con robuste iniezioni “tecniche” pro-Bruxelles – è “rassicurante” per la stabilità della moneta unica e dei “mercati”, senza perdere alcun tratto fasciorazzista e xenofobo. Ricordiamo sempre che il “buon” Mattarella non ha avuto nulla da eccepire al ruspante Salvini come ministro dell’interni anti-immigrati, a favore di sgomberi violenti e libertà di sparare. Dunque si va profilando con nettezza la feroce sintesi di politica economica “europeista” e politica interna fasciorazzista.

Questa fusione a freddo dei tratti peggiori dei due governi congelati spiazza molti, specie “a sinistra” (si fa per dire, ovvio). Sbrigativamente scesi in campo per dire #iostoconMattarella facendo finta che questi avesse fermato un esecutivo per puro antifascismo, Pd e Leu hanno messo in moto un riavvicinamento a tappe forzate che prelude chiaramente alla “riunificazione”. Unico intoppo, temporaneo, è la presenza di Matteo Renzi, che comunque ha già depositato il marchio del suo partitino macroniano (il “patto repubblicano” di cui parla anche Calenda) e probabilmente – a settembre – partirà per altri lidi.

Del resto, per lo schieramento “democratico” sarà difficilissimo abbozzare una opposizione credibile a un governo che sul piano economico farà esattamente quello che ha fatto il Pd fin quando è stato in sella e sul piano della “sicurezza” continuerà – con qualche estremizzazione molto propagandata – l’opera di Minniti. E questo vanifica anche le ultime illusioni di poter mettere insieme frammenti delle “diverse sinistre”, aggregate per disperazione attorno a qualche nome noto.

Lo spazio dell’opposizione vera è insomma totalmente libero. Sta a Potere al Popolo! Darsi gli strumenti per attraversarlo e riempirlo.

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