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23/05/2018

“La terra dell’abbastanza”. Il lato cattivo delle fragilità sociali

Il film “Jeeg Robot” per molti giovani delle periferie, e non solo, ha avuto il significato di “presenze”, di possibili “riscatti”, di un riscatto “etico e morale” cui l’interprete del film dotato di superpoteri, potrebbe mettere a disposizione delle periferie degradate e dei loro residenti. Dunque una sorta “riscatto” da quell’anonimità e degrado nel quale pare siano indelebilmente destinati o condannati a trascorrere le loro esistenze e pratiche sociali.

Nel film “La terra dell’abbastanza” dei fratelli D’Innocenzo, la lettura spesso “vittimaria” (presente nei lavori che trattano o fanno vedere, tramite film o inchieste televisive, una periferia sempre “vittima” di una pervicace violenza istituzionale o sociale), viene ribaltata e risulta invece essere una scelta soggettiva e alquanto “cattiva”, pur alla presenza di un “riscatto” soprattutto economico – il facile guadagno – ed estetico (poco etico o morale) con i protagonisti giungono ad una fine poco “riscattevole” e piuttosto ingloriosa.

In che si caratterizza quest’opera e cosa potrebbe significare tutto questo?

In primo luogo il “gap”, o la distanza, che passa, specialmente per i molti giovani che vivono le loro “attese di vita” nelle periferie metropolitane. Vite al limite della sopravvivenza e del degrado materiale, tra un’esistenza fatta di sacrifici, rinunce, precarietà lavorativa e miseria economica a fronte di altro modo di vivere – più forte economicamente – con facili guadagni o “paghe” esorbitanti, rappresentato dalle “bande” (oggi definite come “gang” oppure “babygang!) nelle quali l’adesione è facile e regolata solo dalla capacità dimostrabile nel compiere atti illegali, omicidi o violenze simili.

Tutto ciò rappresenta un “limite” facile da superare – soprattutto se si vive in certe condizioni di sopravvivenza, marginalità e degrado sociale – scegliendo la strada (per molti quasi obbligata) dell’illegalità, e quindi l’adesione a tali “gang” o organizzazioni criminali.

Ciò che colpisce particolarmente è quando, il boss (interpretato da Luca Zingaretti) del gruppo criminale dominante in quella periferia, rivolgendosi alla persona, adibita all’educazione criminale dei giovani aspiranti, dice: “...i giovani devono sognare!”. In questo c’è il senso del film stesso.

“L’abbastanza” evocata dal titolo non rappresenta altro che quello che “abbasta” (tipico aggettivo romanesco); “abbasta” cioè che sia utile e sufficiente per “calmare” quell’ansia dovuta dalla mancanza di risorse, siano esse economiche, alimentari o quant’altro.

Aggettivo, questo, molto diverso dall’abbondanza (cui comunque si rivolge idealmente) nella quale è presente l’eccedenza, forse troppo pervasiva, sia del denaro sia di altre comodità materiali.

Il noto e ottimo critico cinematografico Goffredo Fofi, ha avuto l’occasione di vederlo in anteprima lo descrive come: “...un piccolo capolavoro”.(https://www.internazionale.it/opinione/goffredo-fofi/2018/03/23/terra-dell-abbastanza-precarieta-mondo)

Non è un film al quale rivolgere applausi, comunque ben accolti, piuttosto diventano importanti i “silenzi” (come d’altra parte richiesto dagli stessi autori/registi alla presentazione della proiezione del film) per caratterizzare la riflessione che quest’opera può sollecitare.

Silenzi e riflessioni sulla vicenda che vede due giovani le cui future attese di vita sono contrassegnata da lavori precari, guadagni miseri e rancori male assopiti.

I due sono molto uniti da un legame amicale particolare (che solo nelle periferie e negli isolamenti sociali può esistere), in pratica a causa di un fortuito e del tutto inatteso incidente (nel quale perde la vita un “infame”), su istigazione familiare, abbagliati dai facili guadagni che si possono realizzare partecipando alle attività illegali (spaccio, prostituzione, usura ecc.), decidono di fare il “passo” entrando a far parte della banda stessa con l’obiettivo appunto di raggiungere quell’abbondanza spesso evocata nei racconti che i due si scambiano.

Questa scelta non produce altro che farli precipitare in un “gorgo criminale”; gorgo nel quale non trovano nessuna realizzazione concreta, oltre al facile guadagno – “...amo svortato” (“abbiamo svoltato nella vita, in positivo”, ndr) dice uno dei protagonisti della storia – il cui sviluppo non produce nessun “riscatto” di tipo morale o etico, tranne quello di mettere in risalto il “lato oscuro” e “cattivo” del loro vivere quotidiano.

Da questo punto di vista è un film “cattivo” nel quale la “periferia”, spesso evocata e maledetta, appare molto di sfuggita ma contemporaneamente risalta, invece, l’aspetto degradante di prospettive ed esistenze molto “border line” (come si dice oggi), piene di competizioni e solitudini nelle quali il “passo” tra un confine e l’altro risulta essere molto sottile e facile da compiere, superandolo.

Il film merita attenzione, soprattutto per quanto fa emergere intorno a questo “confine” o linea sottile.

Senza dubbio questo lavoro andrebbe consigliato soprattutto a un pubblico giovanile (gli “anziani” avendo ormai un “callo esistenziale” eccessivo sono fuori gioco almeno per i temi che questo film produce).

E’ ottimamente interpretato, con una regia abile e realistica nei panorami, nei primi piani accompagnato da un buon livello sonoro e con interni del tutto verosimili (molti girati nel quartiere di Ponte di Nona, all’ultraperiferia est di Roma). Un’ottima visione da consigliare.

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