L’Italia è nel mirino della speculazione
internazionale. Il prezzo dei titoli pubblici italiani è letteralmente
crollato nelle ultime ore, portando i rendimenti sui BTP decennali
dall’1,8% di inizio maggio ad oltre il 3,2% di fine mese. Questo aumento
straordinario nel costo dell’indebitamento pubblico è dovuto ad una
massa di vendite che si sono realizzate in un lasso di tempo
relativamente ristretto, come testimoniato martedì mattina
dall’inversione di un tratto della curva dei rendimenti, una curva che
rappresenta per ogni scadenza il corrispondente tasso di interesse sul
debito pubblico italiano e che di norma ha un andamento crescente, a
riflettere il maggiore interesse richiesto per prestiti a più lunga
scadenza: per qualche ora i BTP con scadenza 2020 pagavano un rendimento
maggiore dei BTP con scadenza 2021, contro ogni logica economica – che
associa a scadenze più lontane rendimenti più elevati – e coerentemente
con le dinamiche speculative, quando i titoli sono scambiati non in
virtù del loro rendimento ma solo allo scopo di trarre un profitto dalla
variazione di prezzo di quelle attività finanziarie. Se le cause di
questa svendita del debito pubblico italiano dovranno essere
attentamente indagate, gli effetti dell’impennata nei rendimenti di quei
titoli sono invece facilmente prevedibili. Attraverso una simile
stretta sul costo dell’indebitamento pubblico i mercati – chiunque essi
siano – stanno esercitando una pressione sulla politica italiana in una
fase storica delicatissima, e cioè esattamente nel momento in cui una
tornata elettorale aveva spazzato via le forze di governo degli ultimi
venti anni, ossia Forza Italia ed il Partito Democratico. L’Europa
funziona così: quando la macchina dell’austerità è in affanno,
puntualmente interviene lo spread.
Era la fine del 2009 quando, con un simile incipit, prese
il via la crisi del debito pubblico greco – l’inizio della crisi che
finì per investire l’Europa tutta aprendo la stagione dell’austerità. I
titoli pubblici decennali della Grecia vennero venduti in massa sui
mercati finanziari, e videro i rendimenti crescere dal 4,6% dell’ottobre
2009 al 7,8% dell’aprile successivo. Notiamo che si trattò di un
aumento del 70% dei tassi, realizzatosi nell’arco di sei mesi, mentre
nella crisi italiana di queste settimane i BTP decennali hanno visto
crescere il rendimento del 78% nel giro di un solo mese. Per arginare la
crisi finanziaria, la Grecia decise di chiedere un aiuto alla
cosiddetta Troika: Banca Centrale Europea, Commissione Europea e Fondo
Monetario Internazionale garantirono al governo ellenico un prestito
capace di coprire il rifinanziamento del debito pubblico. In cambio di
cosa? Della sottoscrizione di un Memorandum of Understanding, un
documento che conteneva l’indicazione puntuale di tutte le misure di
austerità che la Grecia avrebbe realizzato negli anni a seguire –
volente o nolente. In pratica, l’incendio è stato spento solo quando la
Grecia ha accettato di vincolare la sua politica economica ai diktat delle istituzioni europee e al FMI: qualche sospetto su chi abbia appiccato le fiamme sorge spontaneo.
La spirale nei tassi di interesse sul
debito pubblico è effettivamente una china spaventosa, perché impegna
una quota crescente di risorse pubbliche per il servizio del debito
pubblico. Ma ritorna alla mente l’apertura dell’Odio di Kassovitz:
Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: “Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene.” Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.
La vertigine che ci provoca l’impennata dello spread
fa effettivamente impressione, il maggiore costo del debito che
comporta è un problema serio all’interno dei vincoli alla spesa imposti
dall’Europa, ma il problema non è la caduta, è l’atterraggio: con il
Memorandum, che ha posto fine alla caduta del prezzo dei titoli pubblici
del Paese, la Grecia ha firmato la sua condanna a morte. Le politiche
di austerità accettate in cambio di quell’aiuto, cioè della fine della
caduta, hanno ridotto in cenere il tessuto produttivo ellenico generando
una disoccupazione di massa, il crollo della produzione, la contrazione
dei salari, la distruzione dello stato sociale, l’implosione del
sistema sanitario nazionale. Una catastrofe che è stata indotta
dall’aumento dello spread, ma che si è potuta realizzare solo
grazie all’imposizione del principio della condizionalità agli aiuti
finanziari offerti al Paese in crisi: la Grecia è stata abbandonata alla
speculazione, e la condizione posta dai creditori per restituire al
Paese la stabilità finanziaria è stata una rigida agenda di misure di
austerità. La cieca austerità è stato il prezzo pagato dalla Grecia per
frenare la folle corsa dello spread: una vera e propria trappola che porta dall’instabilità finanziaria alla macelleria sociale.
In queste ore ci stupiamo della deriva
apertamente antidemocratica delle istituzioni europee, che hanno usato
il Capo dello Stato per imporre il proprio orientamento alla politica
economica italiana contro la volontà della maggioranza del Parlamento.
La lezione della Grecia ci insegna che le cose possono andare peggio. In
prossimità delle elezioni politiche del 2012, al secondo anno di
austerità selvaggia, i leader dei due principali partiti – centrodestra
(Nea Demokratia) e centrosinistra (PASOK) – sottoscrivono una lettera in
cui si impegnano preventivamente a rispettare, in caso di vittoria alle
elezioni, il dettato del Memorandum, ossia il percorso di tagli
definito dai creditori della Troika. Due lettere gemelle che impegnano
un esecutivo a realizzare una precisa politica economica del tutto indipendente
dalla volontà popolare che sarà espressa nel voto: è la fine
dell’influenza della democrazia parlamentare sul governo dell’economia.
Noi stessi abbiamo avuto un piccolo assaggio di questi scenari greci nel 2011, quando la rincorsa dello spread
convinse Berlusconi a lasciare il posto al governo Monti: le misure di
austerità applicate allora, a partire dalla Riforma Fornero, furono la
moneta di scambio pagata per convincere la BCE ad acquistare i titoli
pubblici italiani ed arginare, così, l’instabilità finanziaria.
Si dirà che l’Italia non è la Grecia.
Eppure, in queste ore concitate, il vicepresidente della BCE Vitor
Constancio ha rilasciato un’inquietante intervista all’autorevole giornale tedesco Spiegel
dove, commentando lo stallo politico dell’Italia, spiega che qualora il
nostro Paese avesse bisogno di un soccorso da parte delle istituzioni
europee, liquidità per arginare la corsa dello spread, dovrebbe
tenere a mente che “qualsiasi eventuale intervento sarebbe soggetto al
principio di condizionalità”, ovvero all’accettazione di un “programma
di aggiustamento strutturale”: è il Memorandum che ha messo in ginocchio
la Grecia. Chiosa Constancio: “Le regole su questo sono molto chiare,
tutti dovrebbero ricordarle. L’Italia conosce le regole, forse dovrebbe
dargli un ulteriore sguardo.”
Questo dispositivo disciplinante
delle politiche economiche nazionali da parte delle istituzioni europee
è ora articolato nella forma delle TMD (Transazioni Monetarie
Definitive): se un Paese chiede aiuto alla Troika, interviene
direttamente la Banca Centrale Europea con una massa di acquisti capace
di contrastare qualsiasi volume di vendite, a patto che il Paese in
questione sottoscriva un preciso Memorandum che legherà l’esborso delle
varie tranches del prestito alla realizzazione di una serie di
misure di austerità. Un cappio al collo dell’economia che è l’ultima
spiaggia della governance europea, una minaccia atomica da
usare nel caso in cui la politica italiana continui a ritardare la
rigida applicazione del progetto neoliberista dell’austerità. Tutte le
principali forze politiche italiane devono adeguarsi alla linea
europeista, lasciando da parte qualsiasi dibattito sull’appartenenza del
Paese alla moneta unica. Altrimenti, l’intervista di Constancio lascia
poco spazio all’immaginazione: lo spread cresce, la trappola è
pronta e manca solo qualcuno capace di trascinare l’Italia nell’incubo
greco. Basterà chiedere aiuto all’Europa.
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