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31/05/2018

La trappola europea dello spread: il problema è l’atterraggio

L’Italia è nel mirino della speculazione internazionale. Il prezzo dei titoli pubblici italiani è letteralmente crollato nelle ultime ore, portando i rendimenti sui BTP decennali dall’1,8% di inizio maggio ad oltre il 3,2% di fine mese. Questo aumento straordinario nel costo dell’indebitamento pubblico è dovuto ad una massa di vendite che si sono realizzate in un lasso di tempo relativamente ristretto, come testimoniato martedì mattina dall’inversione di un tratto della curva dei rendimenti, una curva che rappresenta per ogni scadenza il corrispondente tasso di interesse sul debito pubblico italiano e che di norma ha un andamento crescente, a riflettere il maggiore interesse richiesto per prestiti a più lunga scadenza: per qualche ora i BTP con scadenza 2020 pagavano un rendimento maggiore dei BTP con scadenza 2021, contro ogni logica economica – che associa a scadenze più lontane rendimenti più elevati – e coerentemente con le dinamiche speculative, quando i titoli sono scambiati non in virtù del loro rendimento ma solo allo scopo di trarre un profitto dalla variazione di prezzo di quelle attività finanziarie. Se le cause di questa svendita del debito pubblico italiano dovranno essere attentamente indagate, gli effetti dell’impennata nei rendimenti di quei titoli sono invece facilmente prevedibili. Attraverso una simile stretta sul costo dell’indebitamento pubblico i mercati – chiunque essi siano – stanno esercitando una pressione sulla politica italiana in una fase storica delicatissima, e cioè esattamente nel momento in cui una tornata elettorale aveva spazzato via le forze di governo degli ultimi venti anni, ossia Forza Italia ed il Partito Democratico. L’Europa funziona così: quando la macchina dell’austerità è in affanno, puntualmente interviene lo spread.

Era la fine del 2009 quando, con un simile incipit, prese il via la crisi del debito pubblico greco – l’inizio della crisi che finì per investire l’Europa tutta aprendo la stagione dell’austerità. I titoli pubblici decennali della Grecia vennero venduti in massa sui mercati finanziari, e videro i rendimenti crescere dal 4,6% dell’ottobre 2009 al 7,8% dell’aprile successivo. Notiamo che si trattò di un aumento del 70% dei tassi, realizzatosi nell’arco di sei mesi, mentre nella crisi italiana di queste settimane i BTP decennali hanno visto crescere il rendimento del 78% nel giro di un solo mese. Per arginare la crisi finanziaria, la Grecia decise di chiedere un aiuto alla cosiddetta Troika: Banca Centrale Europea, Commissione Europea e Fondo Monetario Internazionale garantirono al governo ellenico un prestito capace di coprire il rifinanziamento del debito pubblico. In cambio di cosa? Della sottoscrizione di un Memorandum of Understanding, un documento che conteneva l’indicazione puntuale di tutte le misure di austerità che la Grecia avrebbe realizzato negli anni a seguire – volente o nolente. In pratica, l’incendio è stato spento solo quando la Grecia ha accettato di vincolare la sua politica economica ai diktat delle istituzioni europee e al FMI: qualche sospetto su chi abbia appiccato le fiamme sorge spontaneo.

La spirale nei tassi di interesse sul debito pubblico è effettivamente una china spaventosa, perché impegna una quota crescente di risorse pubbliche per il servizio del debito pubblico. Ma ritorna alla mente l’apertura dell’Odio di Kassovitz:
Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: “Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene.” Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.
La vertigine che ci provoca l’impennata dello spread fa effettivamente impressione, il maggiore costo del debito che comporta è un problema serio all’interno dei vincoli alla spesa imposti dall’Europa, ma il problema non è la caduta, è l’atterraggio: con il Memorandum, che ha posto fine alla caduta del prezzo dei titoli pubblici del Paese, la Grecia ha firmato la sua condanna a morte. Le politiche di austerità accettate in cambio di quell’aiuto, cioè della fine della caduta, hanno ridotto in cenere il tessuto produttivo ellenico generando una disoccupazione di massa, il crollo della produzione, la contrazione dei salari, la distruzione dello stato sociale, l’implosione del sistema sanitario nazionale. Una catastrofe che è stata indotta dall’aumento dello spread, ma che si è potuta realizzare solo grazie all’imposizione del principio della condizionalità agli aiuti finanziari offerti al Paese in crisi: la Grecia è stata abbandonata alla speculazione, e la condizione posta dai creditori per restituire al Paese la stabilità finanziaria è stata una rigida agenda di misure di austerità. La cieca austerità è stato il prezzo pagato dalla Grecia per frenare la folle corsa dello spread: una vera e propria trappola che porta dall’instabilità finanziaria alla macelleria sociale.

In queste ore ci stupiamo della deriva apertamente antidemocratica delle istituzioni europee, che hanno usato il Capo dello Stato per imporre il proprio orientamento alla politica economica italiana contro la volontà della maggioranza del Parlamento. La lezione della Grecia ci insegna che le cose possono andare peggio. In prossimità delle elezioni politiche del 2012, al secondo anno di austerità selvaggia, i leader dei due principali partiti – centrodestra (Nea Demokratia) e centrosinistra (PASOK) – sottoscrivono una lettera in cui si impegnano preventivamente a rispettare, in caso di vittoria alle elezioni, il dettato del Memorandum, ossia il percorso di tagli definito dai creditori della Troika. Due lettere gemelle che impegnano un esecutivo a realizzare una precisa politica economica del tutto indipendente dalla volontà popolare che sarà espressa nel voto: è la fine dell’influenza della democrazia parlamentare sul governo dell’economia. Noi stessi abbiamo avuto un piccolo assaggio di questi scenari greci nel 2011, quando la rincorsa dello spread convinse Berlusconi a lasciare il posto al governo Monti: le misure di austerità applicate allora, a partire dalla Riforma Fornero, furono la moneta di scambio pagata per convincere la BCE ad acquistare i titoli pubblici italiani ed arginare, così, l’instabilità finanziaria.

Si dirà che l’Italia non è la Grecia. Eppure, in queste ore concitate, il vicepresidente della BCE Vitor Constancio ha rilasciato un’inquietante intervista all’autorevole giornale tedesco Spiegel dove, commentando lo stallo politico dell’Italia, spiega che qualora il nostro Paese avesse bisogno di un soccorso da parte delle istituzioni europee, liquidità per arginare la corsa dello spread, dovrebbe tenere a mente che “qualsiasi eventuale intervento sarebbe soggetto al principio di condizionalità”, ovvero all’accettazione di un “programma di aggiustamento strutturale”: è il Memorandum che ha messo in ginocchio la Grecia. Chiosa Constancio: “Le regole su questo sono molto chiare, tutti dovrebbero ricordarle. L’Italia conosce le regole, forse dovrebbe dargli un ulteriore sguardo.”

Questo dispositivo disciplinante delle politiche economiche nazionali da parte delle istituzioni europee è ora articolato nella forma delle TMD (Transazioni Monetarie Definitive): se un Paese chiede aiuto alla Troika, interviene direttamente la Banca Centrale Europea con una massa di acquisti capace di contrastare qualsiasi volume di vendite, a patto che il Paese in questione sottoscriva un preciso Memorandum che legherà l’esborso delle varie tranches del prestito alla realizzazione di una serie di misure di austerità. Un cappio al collo dell’economia che è l’ultima spiaggia della governance europea, una minaccia atomica da usare nel caso in cui la politica italiana continui a ritardare la rigida applicazione del progetto neoliberista dell’austerità. Tutte le principali forze politiche italiane devono adeguarsi alla linea europeista, lasciando da parte qualsiasi dibattito sull’appartenenza del Paese alla moneta unica. Altrimenti, l’intervista di Constancio lascia poco spazio all’immaginazione: lo spread cresce, la trappola è pronta e manca solo qualcuno capace di trascinare l’Italia nell’incubo greco. Basterà chiedere aiuto all’Europa.

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