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31/05/2018

“Prima gli ungheresi”, il ritornello in versione Orbàn

“Vogliamo evitare di diventare un paese di immigrati, per noi la sicurezza è la cosa più importante”, dice Csaba Domotor, sottosegretario al gabinetto del primo ministro ungherese Viktor Orbàn. Il ritornello, su per giù, è lo stesso dappertutto, e si basa sulla saldatura irreale tra i concetti di immigrazione e criminalità. Il senso, in soldoni, è che un paese privo di immigrati dovrebbe corrispondere ad un paese sicuro. E d’altra parte, quello della sicurezza è un tema centrale anche nella permanente campagna elettorale che viviamo in Italia: legittima difesa e immigrazione, infatti, sono proprio i cavalli di battaglia di quel Matteo Salvini che nel giro di qualche mese è diventato l’assoluto dominatore della scena politica nostrana.

Le dichiarazioni di Domotor, però, assumono in questo momento una portata differente, visto che in Ungheria la campagna elettorale è finita da un pezzo e il governo di Orbàn è in carica, più saldo che mai. Non si tratta, quindi, di una promessa fatta per strappare qualche voto in più, ma di un vero e proprio annuncio: il paese magiaro si appresta infatti a stringere ulteriormente la cinghia sul tema dell’accoglienza, attraverso una riforma costituzionale.

Questa volta a finire nel mirino della legge sarà chiunque si renda “responsabile” di atti umanitari di aiuto e sostegno ai migranti. La pena? Un anno di carcere. L’obiettivo del premier è duplice: da una parte, come detto, rendere ancora più complicata la vita a chi cerca di entrare in Ungheria (magari soltanto per transitarvi verso altre mete) e a chi pensa di voler aiutare i migranti; dall’altra colpire simbolicamente il suo arcirivale George Soros, che ha spesso utilizzato questo tema per attaccare Orbàn. Tanto esplicita è la volontà di contrastare il magnate che il testo della riforma costituzionale in questione prende addirittura il nome di “StopSoros”.

La nuova legge, tuttavia, finirà per colpire duramente tutte le associazioni e le ong che faticosamente tentano di svolgere le proprie attività nel paese. Anche in questo caso, le similitudini con l’Italia sono evidenti: da noi non c’è (ancora) una legge come quella che sta per essere varata in Ungheria, certo, ma come valutare le iniziative prese da governo e forze politiche italiane circa un anno fa? Ricorderete senz’altro il codice di condotta per le ong voluto da Minniti – elemento privo di qualsivoglia valore giuridico ma elevato, nel racconto mediatico, a regola ineluttabile; o le dichiarazioni di Luigi di Maio sulle ong come “taxi del Mediterraneo”; fino alle inchieste aperte da alcune procure sempre a carico delle ong. E finite, puntualmente, in un nulla di fatto.

Tornando a Budapest, già nei mesi scorsi, il governo ungherese era stato tra i principali artefici della chiusura della rotta balcanica; una scelta che ha portato conseguenze sanguinose: dall’accordo UE con la Turchia (per un totale di sei miliardi di euro versati nelle casse di Ankara), fino ai campi profughi in Grecia, dove le condizioni di vita dei migranti sono, a dir poco, disumane. Una scelta che, tra l’altro (per dimostrare ancora una volta come la retorica anti-immigrati sia simile a tutte le latitudini), è stata in qualche modo imitata dal governo italiano “di centrosinistra” ed in particolare dal ministro dell’Interno Marco Minniti (sempre lui), che attraverso un accordo economico con la criminalità organizzata libica (quella che la stampa nostrana ha osato definire “i sindaci della Cirenaica”) responsabile dei trasferimenti dei migranti verso l’Italia, ha ridotto drasticamente, da qualche mese a questa parte, gli sbarchi sulle nostre coste. Anche qui, le conseguenze sono pesantissime: migliaia di persone bloccate in Libia in veri e propri lager, vittime di sfruttamento, ricatti, violenze, stupri.

Non mancano, da parte di ong e istituzioni europee ed internazionali, le reazioni alla scelta di Viktor Orbàn, ma anche questo sembra rientrare in un copione visto e rivisto. Critiche ed indignazione piovono su Budapest da ogni parte d’Europa, ma nel frattempo nulla di concreto si fa per arginare iniziative del genere.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ha ufficialmente chiesto all’esecutivo magiaro di ritirare la proposta di legge, visto che “limiterebbe in modo significativo la capacità delle ong e delle singole persone di sostenere i richiedenti asilo e i rifugiati“. In un comunicato, l’istituzione Onu afferma: “L’Unhcr nutre gravi preoccupazioni per il fatto che queste proposte, se approvate, priverebbero le persone fuggite dalle proprie case di aiuti e servizi essenziali, infiammerebbero ulteriormente il dibattito pubblico già teso e alimenterebbero atteggiamenti xenofobi”. Parole pienamente condivisibili ma che, da sole, difficilmente riusciranno a scoraggiare Orbàn e farlo desistere dai propri intenti.

Anzi, il timore che ci rimane è semmai quello opposto: che la mossa del governo ungherese possa finire per diventare un precedente, un esempio che altri governi europei potranno decidere di seguire. E alla luce delle tante similitudini fin qui elencate, per di più con un probabile governo giallo-verde all’orizzonte, chi si sentirebbe di escludere che i prossimi non saremo proprio noi?

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