Si potrebbe parlarne all’infinito, ragionarne ad oltranza, e comunque non si riuscirebbe ad ottenere una visione univoca e concordata in merito. L’aborto è sempre una questione spinosa, richiama istanze etiche e morali, giuridiche e politiche, e ancora oggi alimenta dibattiti e nuove riflessioni, in Italia e all’estero.
Prima di parlarne, bisogna intendersi bene, e chiarirne il significato. L’aborto è quella scelta che determina l’uccisione di un embrione umano in via di sviluppo; può essere spontaneo dovuto cioè a cause naturali o patologiche oppure indotto, la cd interruzione volontaria di gravidanza (IVG).
Bene, è intorno all’IVG che il dibattito socio-politico-religioso gravita e s’innesca, ed è necessario, se non altro per onor di cronaca, analizzarne le contrapposte istanze sottese. Da un lato i gruppi antiabortisti, che si rifanno ai valori della Chiesa Cattolica, secondo cui la vita, iniziata fin dal concepimento, è dono di Dio, non una fabbricazione umana, e pertanto si pone al di fuori dell’alveo del libero arbitrio. Dall’altro i gruppi pro-choice inclini alle visioni di autodeterminazione femminile, riconoscono le donne quali agenti autenticamente libere nelle proprie decisioni, nella determinazione di come il proprio corpo debba essere trattato.
Allo stesso modo è necessario realizzare che le leggi in materia abortiva sono spesso il frutto di una serie di fragili compromessi etici e politici, i cui risultati vengono costantemente rimessi in discussione, nonostante gli sforzi dei governi di cristallizzarne la regolamentazione in testi scritti e presuntivamente definitivi.
In Italia ricorrono oggi quarant’anni dall’emanazione della legge 194/1978 contenente “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, eppure il dibattito non è sopito, e la tutela per l’accesso alla prestazione medica non è sempre garantito.
Gli ultimi dati, raccolti dal Sistema di sorveglianza epidemiologica della IVG coordinata dall’Istituto superiore di sanità, dal ministero della Salute, dall’Istat e da regioni e province autonome riportano un generale calo del numero di aborti, ma d’altro lato registrano un aumento dei medici-ginecologi obiettori di coscienza, in particolare nel meridione (97% nel Molise e 88% in Basilicata). Quale posto occupano nelle statistiche ufficiali le donne che in Italia richiedono la prestazione ma incorrono solo in personale medico obiettore?
Non v’è dubbio che la 194 abbia avuto il pregio di porre un freno alle pratiche clandestine, all’intervento delle mammane, ristabilendo una tutela al diritto alla salute per le donne, così come per i bambini; ma ciò che non può essere taciuto è la mancanza di strumenti che assicurino un pieno accesso alla prestazione sanitaria, priva di ostacoli nella pratica concreta. Ciò che è assente è una buona politica di prevenzione, in ambito educativo e sanitario, manca una cura per le strutture medico-sanitarie, in primis per i consultori e gli ospedali pubblici. Manca un impegno dello Stato per l’uguaglianza sessuale da realizzarsi con programmi di welfare a favore delle donne.
E se in Italia il problema è porre rimedio alle lacune che quarant’anni di vigenza legislativa hanno messo in rilievo, in Irlanda è ancora tutto da scoprire.
Fra meno di una settimana, gli abitanti dell’isola di smeraldo si recheranno alle urne per decidere se permettere l’aborto, o meglio, per decidere se cancellare la legge che lo vieta praticamente in qualsiasi circostanza. Infatti, il generale divieto d’aborto ha rango costituzionale: è riconosciuto al nascituro lo stesso diritto alla vita riconosciuto alla madre, ex art. 40.3.3 della costituzione come modificato a seguito del referendum del 1983. Neanche in caso di incesto o stupro è ritenuto ammissibile.
Il prossimo 25 maggio i cittadini irlandesi dovranno scegliere dunque se repeal – abrogare – o retain – matenere – l’ottavo emendamento alla costituzione.
L’Irlanda è tra i paesi europei, quello con le più severe limitazioni sull’accesso all’aborto: le condizioni sono a tal punto stringenti da rendere sovente impraticabile lo stesso sul territorio dello stato, costringendo moltissime donne irlandesi a richiedere la prestazione medica nel vicino stato inglese. La situazione è chiaramente espressa da una sarcastica quanto eloquente citazione dottrinaria “abortion is made available to women from Ireland just not in Ireland” – L’aborto è accessibile alle donne irlandesi, solo non in Irlanda –.
Alcune aperture si sono ottenute a seguito di tragiche vicende giurisprudenziali, le quali hanno portato all’inclusione tra le cause legittime di interruzione di gravidanza il pericolo di vita (non è sufficiente il solo rischio per la salute) della madre, incluso il suicidio, ed eliminarono le restrizioni sulla libertà di movimento e la divulgazione di materiale informativo sull’accesso all’aborto fuori lo Stato.
Occorre precisare però alcune cose: nonostante le concessioni in tema di informazione e movimento la “trasferta” nello UK ha un costo che si aggira tra i 600 ed i 2000 euro, ciò significa che solo le donne che hanno un’effettiva e pronta disponibilità economica possono avvalersene. Si aggiunga poi che la condizione per le donne migranti residenti nel territorio irlandese è di fatto doppiamente selettiva. Oltre la disponibilità economica, sono necessari i documenti di viaggio, i quali sono rilasciati dalle autorità amministrative irlandesi a propria discrezione, e spesso i tempi di rilascio superano di gran lunga i termini entro cui è praticabile l’aborto in Inghilterra. Dunque, la realtà irlandese relativa all’aborto oltre ad essere severamente restrittiva è fortemente discriminatoria per le donne.
L’ultimo intervento legislativo attinente alla materia è stato il Protection of Life During Pregnancy Act nel 2013. Tale atto precisò che l’IVG è praticabile nei casi di reale e sostanziale rischio per la vita della donna, quando affetta da situazioni patologiche, solo laddove l’aborto rappresenti l’unico mezzo per salvarle la vita, e due medici, un ginecologo ed altro specialista, esprimano il loro parere concorde. Inoltre, stabiliva che nel caso in cui il rischio per la vita fosse determinato da una minaccia di suicidio, l’interruzione di gravidanza è praticabile solo con il triplice parere concorde e la certificazione di tre specialisti medici.
Il quesito referendario, prossimo alla votazione, chiederà ai cittadini di decidere se consentire al parlamento di legiferare in materia di interruzione di gravidanza. Attualmente la proposta governativa prevede la depenalizzazione dell’aborto. Nello specifico che l’aborto sia legale nelle prime dodici settimane di gravidanza. La richiesta d’aborto è soggetta ad un periodo di attesa di tre giorni, ed il trattamento potrà essere chirurgico o farmacologico. Sarà necessaria l’autorizzazione di due medici, che attestino che il prosieguo della gravidanza metta a rischio la vita della gestante o possa procurare un serio e grave danno alla sua salute. Verrà consentito l’aborto nel caso di fatali anomali fetali, ed in ogni caso d’emergenza se necessario. In un termine successivo alle dodici settimane l’aborto sarà praticabile solo nel caso di un pericolo di vita della donna.
Il primo ministro irlandese, Leo Varadkar, sostenitore del repealthe8th, ha dichiarato alla stampa di essere fiducioso per le prossime consultazioni, asserendo che “al di là di tutto si tratta di avere fiducia nel popolo irlandese per considerare questo tema in profondità, con compassione ed empatia, come so che faranno”.
Non resta che attendere le votazioni, ed il programma normativo ufficiale. Nell’attesa possiamo ricordare le parole di Enrico Berlinguer, rilasciate in un’intervista al Manifesto alla vigilia delle nostre votazioni sull’aborto, nella speranza che possano essere di buon auspicio anche per il popolo Irlandese: “è un atto di fiducia delle donne in sé stesse, e di tutti verso le donne”.
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