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30/05/2018

Il “piano di pace” di Trump: l’ennesima offesa per il popolo palestinese

Un sito web israeliano ha rivelato alcuni punti del cosiddetto great deal o “piano di pace” che Donald Trump proporrà per la soluzione della questione palestinese. Il quotidiano online Rai al Youm di Abdel Bari Atwan ha ripreso, infatti, la notizia della pubblicazione sul sito israeliano Debka File, vicino all’esercito israeliano e alla destra sionista, di una serie di punti del futuro accordo definendolo “l’ennesima offesa per il popolo palestinese”.

Secondo il sito israeliano il great deal è stato sottoposto all’Arabia Saudita ed all’Egitto visto che “Trump ha discusso in differenti riunioni riguardo al piano con Mohammed bin Salman, principe ereditario saudita, con il principe di Abu Dhabi Ben Zayed Al Nahyane, con l’emiro del Qatar Tamim Ben Hamad Al Thani, con il presidente egiziano al Sisi e con il primo ministro israeliano Netanyahu”. L’unico alleato di Washington ad essere stato inviato per la stesura del piano e ad aver rifiutato l’invito è stato il presidente turco Erdogan, carnefice del popolo curdo, ma paladino della causa palestinese, che ha etichettato l’accordo come “un affronto nei confronti dei palestinesi”.

Tutti gli alleati di Washington, sauditi e israeliani in prima fila, hanno visionato e dato il loro sostegno all’accordo che sarà presentato a metà giugno, anche se Abu Mazen, presidente dell’ANP, si rifiuterà di presentarsi alle trattative o ne rifiuterà le principali questioni affrontate. Una modalità, quella di Trump, a senso unico che preserva palesemente gli interessi israeliani come è avvenuto per la dichiarazione su Gerusalemme capitale d’Israele, contrariamente a qualsiasi risoluzione dell’ONU o al diritto internazionale.

Anche in questo caso le principali questioni o redlines pendono dalla parte di Tel Aviv, visto che sarà proposta la creazione di uno stato Palestinese a Gaza e nella metà dell’attuale Cisgiordania occupata con, ovviamente, una sovranità limitata. La sicurezza della regione e dei valichi di frontiera saranno gestiti da Tel Aviv, come tutta la parte orientale della Cisgiordania, e Israele sarà riconosciuto come patria del popolo ebraico, mentre la Palestina, con una sovranità inesistente, patria del popolo palestinese.

Soluzioni improponibili anche per quanto riguarda il futuro di Gerusalemme visto che Abu Dis, quartiere di Gerusalemme Est, sarà proposto come capitale del futuro Stato Palestinese con alcuni quartieri della parte orientale sotto il controllo palestinese, ad eccezione della parte del centro città, sotto “tutela” israeliana. La supervisione della Spianata sarà gestita congiuntamente dall’Arabia Saudita, dalla Giordania e dal governo palestinese. Non viene, infine, fatta alcuna menzione o ipotesi riguardo ad uno dei punti cruciali della questione palestinese: il diritto al ritorno dei profughi palestinesi, sancito dall’ONU, che si dice verrà affrontato eventualmente con un nuovo meccanismo relativo ad un risarcimento forfettario.

Abdel Bari Atwan giudica questa proposta “un vero e proprio omicidio della questione palestinese” e definisce il comportamento di Washington come quello del “bastone e della carota”: “il bastone è la minaccia di tagliare gli aiuti finanziari e stringere l’assedio su Gaza e la repressione nei Territori Occupati e la carota è la promessa di denaro arabo e occidentale per i Territori Occupati come “indennizzo” per la rinuncia a Gerusalemme, al diritto al ritorno e per non opporsi all’accordo”.

Una situazione talmente favorevole agli israeliani, grazie alle continue pressioni sul presidente americano Trump da parte del genero Jared Kushner e dell’ambasciatore USA, David Friedman, entrambe esponenti del sionismo americano, da “dare un’assoluta libertà di azione al governo israeliano per contrastare il nemico iraniano e per consolidare la propria alleanza con l’Arabia Saudita”.

Ultima notizia, infine, è stata la richiesta ufficiale da parte del Ministro dei Trasporti e dell’Intelligence, il falco Yisrael Katz al governo Trump “per il riconoscimento della definitiva sovranità di Tel Aviv sulle Alture del Golan” visto che “il momento è favorevole per chiederlo” come dichiarato in un’intervista alla Reuters. L’ennesima provocazione a qualsiasi legge sul diritto internazionale o a tutte le risoluzioni ONU riguardo ai Territori Occupati illegalmente da Israele: in Palestina (Gerusalemme, Gaza e Cisgiordania), Siria (Alture del Golan) e Libano (Shebaa Farms).

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