Quando c’è la governance, ma non il governo, niente funziona più. L’Unione Europea è stata costruita pezzo dopo pezzo sul primo principio, mutuato dalla gestione aziendale (dove c’è una gerarchia di comando quasi militare), nella convinzione che la forza economico-politica avrebbe costretto tutti i singoli Stati ad adeguarsi, volenti o nolenti, a qualsiasi diktat emanato dal “centro di comando” (Commissione e Bce). Quel tanto di contrattazione su aspetti secondari veniva delegato agli incontri tra capi di stato e di governo, senza mai poter mettere in discussione i trattati (ogni modifica richiede l’unanimità, quindi è di fatto impossibile).
Con questa consapevolezza in testa, Sergio Mattarella aveva deciso di sbarrare la strada all’unica maggioranza possibile in Parlamento – lo schizoide contratto grillin-leghista – e affidare l’incarico a Cottarelli, l’ex direttore del Fondo Monetario Internazionale che stilava da lì le “ricette” per (ossia: contro) l’Italia.
Se l’intento era quello di “tranquillizzare i mercati” bisogna dire che difficilmente un obiettivo è stato meno raggiunto di questo. Lo spread a 320 punti e il crollo della borsa (dove i titoli bancari rappresentano oltre il 40% della capitalizzazione) hanno mostrato che questo giochino dimenticava dettagli decisivi.
Non sappiamo se Mattarella abbia ragionato o meno sul fatto che Cottarelli si sarebbe trovato non solo senza una maggioranza parlamentare, ma addirittura senza neanche un singolo voto a favore (tranne forse quello di Emma Bonino...). Una situazione da “figlio di nessuno” che non si è mai verificata in nessun paese occidentale. Di “governi tecnici” è infatti pieno il mondo, e anche la storia italiana (dove abbiamo visto addirittura i “governi balneari”), ma ognuno di questi ha rispettato almeno formalmente le regole base della democrazia parlamentare, venendo votato da una maggioranza, per quanto raccogliticcia e temporanea.
Ma un governo con zero voti non rappresenta nessuno. Neanche per “i mercati”. Un paese guidato da 20 specialisti senza consenso non è un paese “solvibile”, ma un vulcano pronto ad esplodere. Inaffidabile, insomma, quanto e più di un governo tiepidamente “euroscettico” ma in qualche modo rappresentante della maggioranza.
I servitorelli dell’establishment – il sistema dei media, il Pd, Cgil, Cisl, Uil, qualche pezzo rintronato della vecchia e molto sedicente “sinistra” – avevano plaudito al presidente e al mantenimento dello statu quo. Ma i mitici “investitori” sanno benissimo che certi conti non possono essere fatti senza l’oste: se chiami un paese a farsi togliere il sangue, ci vuole qualcuno che ne convinca almeno una parte, possibilmente maggioritaria. Altrimenti crei le premesse per una esplosione più grande, consegnando quel paese proprio a quelli che dicevi di temere.
Il panico globale che si è messo in moto è stato tale da costringere tutti i piccoli protagonisti della manfrina governativa a “darsi una regolata” e tornare sui propri passi. In poche ore Cottarelli è sceso dalla carrozza diretta a Palazzo Chigi e il duo Di Maio-Salvini ci è risalito. Addirittura potrebbe essere richiamato Paolo Savona con tante scuse per affidargli un ministero dell’economia spacchettato, con il Tesoro affidato magari al prezzemolino Cottarelli, con l’evidente intento di “controllarlo”.
Di statisti, sembra evidente, qui proprio non ce ne sono. Anzi...
E anche la “democrazia”, di cui i governanti si riempiono la bocca, appare solo un mantra da recita scolastica, cui nessuno crede davvero.
Dunque c’è una vera, autentica, per certi versi drammatica crisi di egemonia da parte dei poteri che l’hanno sempre esercitata negli ultimi 30 anni. Il capitale finanziario e multinazionale, cuore materiale dell’ideologia “neoliberista”, si sta da tempo scontrando con una contraddizione apparentemente insolubile: ha la forza per imporre come dominanti i propri interessi e piegare interi paesi, ma non riesce più – proprio per questo – a trovare una classe politica nazionale che possa trasformarli in programma di governo riconosciuto e accettato dalle popolazioni.
L’ironia della Storia sa essere feroce. Ricordate quando gli intellettuali liberali spiegavano che Marx sbagliava a scrivere che “in ultima analisi la struttura economica è alla base di ogni sovrastruttura politica”? Il pieno dispiegamento del capitale “globalizzato” ha distrutto la sfera politica come mediazione fra gli interessi delle varie classi sociali e si è affermato come unico soggetto decisore, libero, sovrano.
Solo che il suo motore interno – il massimo profitto, che richiede gerarchia di comando, governance – è fisiologicamente incapace di governare la complessità sociale; al massimo la distrugge per renderla materia sfruttabile. Ma questo avviene con dolore, ribellioni più o meno presentabili (il fasciorazzismo è il volto più infame della paura di precipitare nella scala sociale, e nasce da lì), conflitti continui. Senza che ci sia più una classe politica in grado di gestirli.
p.s. Se incontrate quei teorici dell'”autonomia del politico”, salutateli caramente...
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