Nel pezzo precedente mi sono occupato del profilo istituzionale e penale della vicenda del governo Conte,
oggi mi occupo del profilo politico che (la cosa non è affatto chiara
per diversi frequentatori di questo blog) non sono affatto la stessa
cosa e la messa in stato d’accusa del Presidente non è una azione
politica (come sarebbe una mozione di sfiducia, peraltro non prevista
dalla Costituzione) ma l’avvio di una procedura penale che, in quanto
tale, deve rispettare i principi del garantismo penale.
In questi 25 anni che ci separano da Mani Pulite si è formata una
terribile (in)cultura politica che ignora totalmente il garantismo e
ritiene che la soluzione dei problemi politici stia in un processo
penale assai sommario. Veniamo al merito politico della questione.
C’è una regola non scritta che, per il buon funzionamento delle
istituzioni, nessuno deve spingere sino in fondo i propri poteri e
prerogative, pena il blocco del sistema. Per convenzione è bene che
ciascuno si tenga un po’ al di qua di quel che la carta costituzionale
gli consentirebbe. Questo ha consentito alla Prima Repubblica di durare
per quasi mezzo secolo, nonostante un clima internazionale molto
difficile.
Ho l’impressione che questa regola non scritta la stiano violando
tutti, sia il Presidente della Repubblica che il duo Salvini-Di Maio e
questo sta preparando una crisi istituzionale senza precedenti.
Prima di tutto, togliamo di mezzo la “false flag” (se preferite: il pretesto) di Savona.
Certamente il Presidente ha il potere di nominare i ministri ed a lui
spetta l’ultima parola (a proposito: il suo giudizio è insindacabile e
la Costituzione non fissa limiti alla sua discrezionalità, affidandosi
al far play istituzionale), però qui la questione non è quella di un
singolo nome.
Quando Scalfaro bocciò Previti alla giustizia lo fece perché ravvisò
un conflitto di interessi fra la sua qualità di difensore di Berlusconi
ed il ruolo di Guardasigilli. Similmente Gratteri fu bocciato dal
presidente pro tempore, perché questi ritenne che non fosse opportuna la
nomina di un magistrato nel governo, per rispetto del principio della
separazione dei poteri. E potremmo continuare: dunque impedimenti
determinati dalla condizione personale del candidato ministro, qualche
volta si è trattato del modo diplomatico per nascondere un giudizio
sulle capacità troppo modeste del candidato, ma qui il problema non è
questo: Savona è uno studioso di altissimo livello (e questo non lo
discute nessuno) e non presenta alcun conflitto di interesse o
incompatibilità, come ministro sarebbe stato perfetto. Qui il problema
non è di nomi ma di linea politica: le posizioni di Savona in materia di
ordine monetario, la sua forte perplessità sull’Euro. Per ora non
entriamo nel merito della questione, ma limitiamoci a riformulare il
quesito che non è se il Presidente abbia o no il potere di scegliere i
ministri (ovviamente si) ma se il Presidente possa usare questo suo
potere per censurare un aspetto della linea politica del governo. Ed a
noi sembra che questo sarebbe un uso surrettizio dei suoi poteri per
invadere il campo che spetta alla maggioranza parlamentare.
Il Presidente può (e deve) avere un indirizzo costituzionale anche in conflitto con il governo,
mentre è per lo meno discutibile che possa avere poteri di indirizzo
politico contrapposto a quello del governo, proprio per le sue funzioni
arbitrali. Che ne direste se in una partita l’arbitro si mettesse a
giocare e magari segnare una rete? Ma, si osserva, il Presidente lo fa
per difendere i trattati internazionali del paese, perché la stessa
lettera della Costituzione obbliga alla loro osservanza. Ma questo vale
per bloccare eventuali rotture unilaterali dei trattati, non per
impedire che possa esserci un loro ripensamento nelle forme proprie del
diritto internazionale. Dove sta scritto che l’appartenenza ad un
determinato quadro internazionale o ad un determinato trattato debba
essere eterna e non ripensabile?
E’ un diritto di qualsiasi governo quello di rinegoziare i trattati
cercando una loro modifica condivisa. Così come è un diritto di
qualsiasi popolo quello di rideterminare la propria collocazione
internazionale, così come ha fatto il popolo inglese e, mi pare, che non
sia successo nessuno sconquasso finanziario. Purtroppo dalla Presidenza
Napolitano di infelice memoria, c’è stata una sorta di pervertimento
del ruolo del Presidente che, da rappresentante della Nazione nei
confronti della comunità internazionale, è diventato il rappresentante
degli interessi della comunità internazionale nei confronti della
Nazione. Un mutamento che ne ha stravolto la funzione prevista dalla
Costituzione.
Per di più appare abbastanza azzardato sostenere che un ministro
sarebbe portatore di una operazioni di uscita dell’Italia dall’Euro
sulla base del fatto che ha scritto libri in cui esprimeva giudizi
negativi sull’Euro: quei libri non sono atti politici. Ancora più
azzardato è pensare che la nomina di quel ministro provocherebbe
sicuramente un crollo della fiducia dei mercati finanziari verso
l’Italia: può darsi che questo sia un ragionamento realistico ma è
comunque solo una ipotesi. A meno che il Presidente non sabbia ricevuto
messaggi precisi in questo senso, ma a maggior ragione dovrebbe
difendere l’autonomia politica del suo paese.
Sappiamo tutti che i mercati finanziari stanno facendo un pressing sul
nostro paese e che se ne debba tener conto, ma sentire un Presidente che
dice papale papale che non può nominare un ministro perché non è
gradito ai mercati finanziari non è cosa molto bella: a questo punto
facciamo fare le elezioni direttamente ai mercati finanziari e non
parliamone più.
Dunque, M5s e Lega, avendo la maggioranza parlamentare hanno
diritto di governare ma, di fatto, hanno tolto le castagne dal fuoco al
Presidente obbligando Conte (modesto postino della maggioranza) a
dimettersi. Meglio avrebbero fatto a proporre un nome come quello di
Bagnai o Gori (che sono sulla stessa linea critica verso l’Euro) e, di
fronte ad un nuovo rifiuto, porre la questione del se il governo può o
meno proporre la revisione dei relativi trattati, eventualmente
proponendo conflitto di attribuzione dei poteri davanti alla Corte
Costituzionale. Questa sarebbe stata la via maestra, non quella
grossolana che hanno seguito.
Anche i leader di maggioranza imparino un minimo di farplay
costituzionale, che non è un dato ornamentale ma un elemento essenziale
per il buon funzionamento del sistema: non si possono rivolgere al
Presidente come se fosse un cameriere che deve obbedire ai nuovi padroni
di casa. Non si può prendere a schiaffi l’arbitro e pretendere che la
partita si svolga regolarmente. In questa crisi Lega e M5s si sono
comportati con una rozzezza, una grossolanità, una ignoranza delle più
elementari regole istituzionali senza precedenti. Neanche nelle taverne
dell’angiporto ci si comporta così e ricordano gli affiliati dei
Casamonica nel noto bar romano.
Forse non ce ne stiamo accorgendo, ma si sta profilando una crisi
devastante e senza precedenti dal 1945: è in atto un attacco finanziario
contro il nostro paese, lo spread è raddoppiato in pochi giorni, a
breve le agenzie di rating declasseranno i nostri titoli di debito
pubblico sulla soglia dei titoli spazzatura e, in questo quadro, noi ci
permettiamo questo scontro frontale fra Parlamento e Presidenza della
Repubblica. E’ probabile che si vada a nuove elezioni ad ottobre (cosa
che ho ritenuto probabile sin ai primi giorni dopo il 4 marzo). In
questo contesto non ci vuol molto a capire che la “colpa” delle elezioni
anticipate sarà scaricata sul Quirinale difeso, presumibilmente da Fi e
Pd. Questo significa che se Lega e M5s dovessero avere successo, avremmo un Presidente delegittimato, il che
accadrebbe a sette mesi dal voto e con la speculazione internazionale
che pasteggia sul nostro paese ormai a rischio di immediato default.
Attenzione: questa sarebbe la “tempesta perfetta” nella quale la
crisi politica alimenta quella finanziaria e vice versa. Che tutti
rientrino nei propri limiti o qui andiamo a sbattere.
Ripeto: Lega e M5s hanno tutto il diritto di governare e
scegliere la linea politica del governo, ma lo facciano in forme un po’
più accettabili sul piano della civiltà politica.
Personalmente, essendo di sinistra, non posso che essere
all’opposizione di questo governo di destra, ma, essendo anche un
convinto sostenitore della democrazia parlamentare, ritengo doveroso
difendere il diritto della maggioranza a governare, poi penso
sbagliatissimo il suo indirizzo e cerco di combatterlo sul piano del
confronto politico nel poco che posso.
E siamo a quello che dicevo in un pezzo precedente:
questo è un conflitto fra una maggioranza di destra, ma espressa dal
voto popolare e l’opposizione delle èlite politiche, finanziarie contro
di esso. Impossibile schierarsi con l’uno contro l’altro.
Bisogna costruire una alternativa all’uno e alle altre e, nel frattempo,
cercare di impedire che la Costituzione venga travolta fra l’inciviltà
dei nuovi vincitori e le meschine astuzie di èlite squalificate e
screditate.
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