L’area della sinistra anticapitalista e indipendentista catalana, in gran parte organizzata all’interno della Candidatura d’Unitat Popular (CUP), da alcune settimane è passata all’opposizione nel Parlamento di Barcelona e ha scommesso su una nuova fase di lotta basata sulla mobilitazione nelle piazze, il lavoro politico nei municipi e la solidarietà internazionalista.
La CUP rifiuta la tattica che negli ultimi mesi ha guadagnato terreno nelle direzioni di ERC e del PDECat, basata da un lato sulla malcelata rinuncia alla cosiddetta via unilaterale all’indipendenza, dall’altro sulla ricerca di più ampi consensi che accrescano la maggioranza indipendentista in vista di un futuro imprecisato. Una sterzata che le direzioni dei due partiti moderati hanno imposto al movimento indipendentista a partire dalla controversa decisione di non rieleggere Carles Puigdemont alla presidenza della Generalitat, nonostante fosse stato alla testa dello schieramento repubblicano confermatosi maggioritario alle elezioni dello scorso dicembre. La svolta di ERC e del PDECat, diretta a schivare la repressione che ha portato in carcere o sulla via dell’esilio i principali dirigenti indipendentisti, mette in secondo piano la protesta popolare per ripiegare su una più rassicurante tattica di dialogo tra ceti politici, che di fatto allontana l’orizzonte del cambiamento istituzionale e della trasformazione sociale. Un invito alla smobilitazione che, a meno di essere rifiutato dalle basi e dai settori critici dei due partiti, impegnati in una lotta interna per mantenere la bussola sull’indipendenza unilaterale, segnerebbe il ritorno alla normalità e allo status quo precedente il referendum d’autodeterminazione.
Così il movimento indipendentista si mostra diviso, mentre le differenze tattiche fanno affiorare anche le divergenze strategiche, ben note a tutti ma finora rimaste in secondo piano. Per il deputato Carles Riera (CUP), il nuovo governo della Generalitat è portatore di “un modello di crescita economica di natura neoliberale”, che non permetterà lo sviluppo di politiche sociali né il controllo pubblico dei settori strategici dell’economia: su questi temi, “all’interno del regime delle autonomie è possibile fare solo politiche neoliberali o palliativi”. Un fatto ampiamente dimostrato nell’ultima legislatura, nel corso della quale alcune leggi non certo rivoluzionarie, però più avanzate da un punto di vista sociale, dopo essere state approvate dalla maggioranza indipendentista sono state sistematicamente impugnate e annullate dal Tribunale Costituzionale spagnolo.
Anche per questo la CUP rilancia la costruzione della Repubblica nel solco della via unilaterale e mette al centro della propria proposta la ri-municipalizzazione dei servizi pubblici, la necessità della titolarità pubblica dei settori strategici dell’economia, una nuova legislazione sul mercato del lavoro che tuteli i lavoratori, la titolarità pubblica della sanità, l’esproprio immediato degli alloggi sfitti in mano alle banche e soprattutto la costruzione di una banca pubblica per controllare i potentati economici e ricostruire una propria politica finanziaria.
A partire da queste rivendicazioni, la CUP auspica una nuova fase di mobilitazione di massa che, oltre alla piazza, possa contare anche sui municipi, dove gli anticapitalisti sono impegnati a costruire degli spazi di contropotere che intendono caratterizzare come il germe della nuova Repubblica. Le elezioni municipali previste per la prossima primavera rappresentano un test significativo per questo progetto, fermo restando che lo scenario elettorale non è prioritario per gli anticapitalisti.
Per la CUP la cornice municipale rappresenta “un progetto politico di rottura e anticapitalista, contrapposto alla legalità delle istituzioni europee, degli stati oppressori spagnolo e francese e dei partiti e sindacati che ne fanno parte. È una scommessa strategica per la costruzione nazionale e per la trasformazione sociale che ha le proprie radici nella tradizione politica e culturale delle classi popolari catalane, basata sul municipio e il contesto territoriale più vicino”, come si legge nel documento politico approvato dall’assemblea nazionale della formazione il 13 maggio scorso.
Parallelamente l’alternanza tra il governo del PP e quello del PSOE rappresenta per la sinistra anticapitalista e indipendentista un mero cambiamento d’immagine che non porterà novità sostanziali. Il nuovo presidente del governo, il segretario dei socialisti Pedro Sanchez, ha immediatamente dichiarato di non voler mettere in discussione gli impegni presi dalla Spagna di fronte all’UE, né modificare la linea su Catalunya, ribadendo il rifiuto sia all’esercizio del diritto all’autodeterminazione che al riconoscimento del referendum dell’1 ottobre: una garanzia di continuità per il grande capitale spagnolo e catalano così come per i centri di potere economico-finanziari di Bruxelles. Come ha affermato Carles Riera “se qualcuno nutre delle aspettative sul governo del PSOE, riguardo all’autodeterminazione o a politiche che non ubbidiscano alla troika, sarà presto deluso”. E ha sottolineato che “è impossibile un dialogo con lo stato che implichi parlare di autodeterminazione o di Repubblica. Che nessuno s’inganni e che non inganni la popolazione”. Ma l’autoinganno sembra la categoria più appropriata per definire un atteggiamento molto diffuso proprio riguardo all’UE. Nonostante l’opinione pubblica catalana abbia visto chiaramente come l’UE voltava le spalle al referendum d’autodeterminazione, i partiti indipendentisti moderati continuano ad alimentare illusioni sulla natura delle istituzioni europee: solo la CUP ne fa una critica radicale, sia in chiave di emancipazione nazionale che sociale.
Riguardo alla prima prospettiva, il documento politico dell’assemblea nazionale della CUP sostiene che “la UE così come le altre istituzioni internazionali (FMI, Banca Mondiale, NATO, OSCE...) non saranno mai i garanti del diritto all’autodeterminazione del popolo catalano. L’unica opzione per il riconoscimento della Repubblica catalana passa per la solidarietà del resto dei popoli europei e del mondo. In questo senso, una gran parte del popolo catalano ha verificato la natura antidemocratica delle istituzioni europee, cosa di cui dovremmo saper approfittare per approfondire il tema del cambiamento del modello europeo. Siamo una realtà differente, dato che nel Regno Unito così come in altri paesi, è la destra che sbandiera il discorso contro la UE.”.
Quanto alla prospettiva sociale, per la CUP siamo davanti a una relazione centro-periferia segnata fortemente dalla diseguaglianza: “la Germania traccia la traiettoria economica per perpetuare l’arricchimento delle proprie elite, mentre le regioni mediterranee e quelle dell’est vedono crescere il loro impoverimento e la loro sottomissione”. Coerentemente con questa premessa, la CUP conclude che “l’esercizio della piena sovranità popolare richiede non solo di rompere con le imposizioni dello stato spagnolo ma anche con quelle della UE e della troika”. E contestualizza così il proprio indipendentismo: “la creazione della Repubblica catalana significherebbe un contributo alla costruzione di una alternativa politica, economica e sociale non soltanto per i popoli dello stato spagnolo ma anche per quelli del Mediterraneo e dell’Europa.
La lotta politica per la costruzione della Repubblica catalana non ha senso se non si intende anche a partire da questa prospettiva internazionalista, in modo da creare nuove alleanze di rottura e aprire differenti fronti di cambiamento politico dappertutto”. Alleanze che dovrebbero vertere su una proposta chiaramente connotata per la fine dell’austerità e articolata attorno ad alcune rivendicazioni fondamentali per disinnescare le politiche della troika che si possono sintetizzare in tre punti: “sospendere immediatamente il pagamento del debito e dichiarare la fine definitiva dell’usura legalizzata...; difendere la realizzazione di una moratoria popolare del debito; potenziare una rete di entità e amministrazioni pubbliche che disobbediscano al debito...”.
La critica all’UE non è il solo terreno sul quale gli anticapitalisti fanno un discorso differente dalle altre forze politiche: la sinistra indipendentista e anticapitalista si trova sola nel denunciare da un lato la moderazione del nuovo governo della Generalitat, dall’altro la continuità sostanziale della politica del governo spagnolo. Una denuncia tanto più necessaria in quanto smaschera fin dall’inizio la tentazione di una nuova transizione: un’operazione nella quale ERC e il PDECat, abbandonata la via della rottura, potrebbero accordare con il PSOE alcune briciole riguardo al riconoscimento di Catalunya come nazione, all’interno dello stato spagnolo e della sua cornice istituzionale. Con la benedizione dei poteri forti dell’UE, insofferenti della domanda di cambiamento e di democrazia proveniente dal sud del continente.
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