L’ufficialità è giunta soltanto ieri, ma la notizia era ormai chiara da giorni: le forze governative siriane hanno ripreso il controllo della città di Daraa, nel sud della Siria.
La vittoria militare è stata celebrata dall’esercito siriano con un
evento simbolico: la bandiera nazionale siriana è stata infatti issata
nella piazza principale della città vicino alla moschea dove ebbero luogo le prime manifestazioni anti-governative nel marzo del 2011.
Allora le proteste contro al-Asad nacquero dopo l’arresto e tortura di
alcuni studenti che avevano scritto sui muri della loro scuola alcuni
graffiti anti-governativi.
La notizia dell’arresto degli adolescenti – sulla scia
dell’emozione per le rivolte anti-regime in corso allora nell’intero
mondo arabo – suscitò molta indignazione popolare: migliaia di
persone scesero in piazza per protestare contro il governo. La reazione
di Damasco fu brutale: i manifestanti furono colpiti dalle pallottole sparate dall’esercito. Il bilancio fu pesante: diversi infatti
furono i morti, centinaia i feriti. Da qui il passo alla guerra civile –
ampiamente caldeggiata, sostenuta e finanziata dalle ricche monarchie
del Golfo e dalla Turchia – fu breve. Gli effetti devastanti sono noti: più
di 500.000 vittime, oltre 12 milioni di rifugiati (tra sfollati interni
e quelli all’estero) e un Paese quasi interamente distrutto.
La riconquista ieri della città di Daraa è parte di una più ampia offensiva militare iniziata da Damasco lo scorso
mese per sconfiggere le sacche di opposizione islamista e jihadista
presenti nel sud della Siria. L’esito dell’operazione è apparso sin da
subito chiaro: grazie all’incessante sostegno militare russo,
il governo ha costretto alla resa molti cosiddetti “ribelli” attraverso
accordi negoziati con Mosca. Le forze anti-al-Asad, riporta la
stampa locale, sarebbero ancora in trattative con i russi per
assicurarsi un trasferimento sicuro nel nord della Siria, forse
nella provincia di Idlib dove già negli scorsi mesi molti gruppi
islamisti e jihadisti sono stati trasferiti in seguito ad intese
raggiunte con le autorità siriane. Stando a quanto dichiarato alla
Reuters da un ufficiale dell’opposizione, i negoziati per assicurare ai “ribelli” un salvacondotto nel nord del Paese procedono senza intoppi.
“Ognuno si sta impegnando a rispettare gli accordi” ha rivelato
l’ufficiale, sottolineando come già due giorni fa le forze
anti-governative abbiano consegnato a Damasco le proprie armi.
Tuttavia, al momento non è possibile stabilire con certezza se la destinazione sarà anche questa volta Idlib:
a inizio settimana l’agenzia filo-ribelle Smart ha scritto che la
Russia ha avvisato i gruppi islamisti di non andare in quell’area perché
sarà il prossimo target delle forze di al-Asad. Sempre fonti vicine
all’opposizione fanno sapere che i “ribelli” fanno affidamento ora sulla
polizia militare russa affinché Damasco non compia azioni di
rappresaglia contro di loro e non entri in aree specifiche della città
dopo che, nelle altre aree della provincia riconquistate dall’esercito
siriano, le forze di opposizione hanno denunciato saccheggi e arresti da
parte delle truppe lealiste. In città sarebbero ancora presenti 2.000
combattenti anti-governativi insieme ai loro familiari.
Oltre ad essere simbolica in quanto segna la definitiva
sconfitta dei “ribelli” e dei loro piani di defenestrare al-Asad grazie
al sostegno proveniente dall’estero, la riconquista di Damasco della
provincia di Deraa è strategicamente importante perché l’area confina
con la Giordania e, soprattutto, con Israele. Tel Aviv ha più
volte ribadito questo mese a parole e con raid aerei che non tollererà
nessuna presenza iraniana vicino alle Alture del Golan (che ha occupato
nel 1967 e annesso illegalmente nel 1981). Tuttavia, due giorni
fa il premier Benjamin Netanyahu, come già fatto da molti leader occidentali, ha aperto al presidente al-Asad (ammettendone così la sua vittoria contro l’opposizione), chiedendo però ai russi in cambio l’allontanamento delle forze iraniane dalla Siria.
Richiesta che non è del tutto condivisa da Mosca che invece starebbe
negoziando per tenere gli iraniani a 80 chilometri dal confine
israeliano.
Chiusa, o quasi, la partita a Daraa (restano ancora delle
sacche dell’opposizione), al-Asad può dirsi sempre più sicuro di aver
“vinto” la sua guerra. Ripreso ora il sud, riconquistata nei
mesi scorsi l’area periferica orientale di Damasco (la Ghouta est) e,
negli anni passati, la parte centrale del Paese, appare chiaro
ora che Damasco proverà a riportare sotto il suo controllo la provincia
di Idlib, vero bubbone islamista e jihadista anche per via
delle intese siglate nel corso degli ultimi anni dal governo e dalle
forze di opposizione. Resta poi da capire cosa accadrà nel nord del
Paese dove la Turchia minaccia di espandersi a est e di porre fine al
confederalismo dei curdi del Rojava.
Nel frattempo Asad si sfrega le mani: dato per spacciato dalle
cancellerie occidentali, da Turchia e da gran parte dei paesi arabi nel
2012-2013, sa bene ora che, grazie al fondamentale contributo dei suoi
alleati russi e iraniani, ha vinto la guerra siriana. Sempre se di
“vittoria” si può parlare alla luce della distruzione di un Paese
mantenuto in vita grazie al pesante sostegno dei suoi alleati stranieri.
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