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13/07/2018

Siria - Damasco riconquista Deraa dove nacquero le proteste nel 2011

L’ufficialità è giunta soltanto ieri, ma la notizia era ormai chiara da giorni: le forze governative siriane hanno ripreso il controllo della città di Daraa, nel sud della Siria. La vittoria militare è stata celebrata dall’esercito siriano con un evento simbolico: la bandiera nazionale siriana è stata infatti issata nella piazza principale della città vicino alla moschea dove ebbero luogo le prime manifestazioni anti-governative nel marzo del 2011. Allora le proteste contro al-Asad nacquero dopo l’arresto e tortura di alcuni studenti che avevano scritto sui muri della loro scuola alcuni graffiti anti-governativi.
 
La notizia dell’arresto degli adolescenti – sulla scia dell’emozione per le rivolte anti-regime in corso allora nell’intero mondo arabo – suscitò molta indignazione popolare: migliaia di persone scesero in piazza per protestare contro il governo. La reazione di Damasco fu brutale: i manifestanti furono colpiti dalle pallottole sparate dall’esercito. Il bilancio fu pesante: diversi infatti furono i morti, centinaia i feriti. Da qui il passo alla guerra civile – ampiamente caldeggiata, sostenuta e finanziata dalle ricche monarchie del Golfo e dalla Turchia – fu breve. Gli effetti devastanti sono noti: più di 500.000 vittime, oltre 12 milioni di rifugiati (tra sfollati interni e quelli all’estero) e un Paese quasi interamente distrutto.  

La riconquista ieri della città di Daraa è parte di una più ampia offensiva militare iniziata da Damasco lo scorso mese per sconfiggere le sacche di opposizione islamista e jihadista presenti nel sud della Siria. L’esito dell’operazione è apparso sin da subito chiaro: grazie all’incessante sostegno militare russo, il governo ha costretto alla resa molti cosiddetti “ribelli” attraverso accordi negoziati con Mosca. Le forze anti-al-Asad, riporta la stampa locale, sarebbero ancora in trattative con i russi per assicurarsi un trasferimento sicuro nel nord della Siria, forse nella provincia di Idlib dove già negli scorsi mesi molti gruppi islamisti e jihadisti sono stati trasferiti in seguito ad intese raggiunte con le autorità siriane. Stando a quanto dichiarato alla Reuters da un ufficiale dell’opposizione, i negoziati per assicurare ai “ribelli” un salvacondotto nel nord del Paese procedono senza intoppi. “Ognuno si sta impegnando a rispettare gli accordi” ha rivelato l’ufficiale, sottolineando come già due giorni fa le forze anti-governative abbiano consegnato a Damasco le proprie armi.

Tuttavia, al momento non è possibile stabilire con certezza se la destinazione sarà anche questa volta Idlib: a inizio settimana l’agenzia filo-ribelle Smart ha scritto che la Russia ha avvisato i gruppi islamisti di non andare in quell’area perché sarà il prossimo target delle forze di al-Asad. Sempre fonti vicine all’opposizione fanno sapere che i “ribelli” fanno affidamento ora sulla polizia militare russa affinché Damasco non compia azioni di rappresaglia contro di loro e non entri in aree specifiche della città dopo che, nelle altre aree della provincia riconquistate dall’esercito siriano, le forze di opposizione hanno denunciato saccheggi e arresti da parte delle truppe lealiste. In città sarebbero ancora presenti 2.000 combattenti anti-governativi insieme ai loro familiari.

Oltre ad essere simbolica in quanto segna la definitiva sconfitta dei “ribelli” e dei loro piani di defenestrare al-Asad grazie al sostegno proveniente dall’estero, la riconquista di Damasco della provincia di Deraa è strategicamente importante perché l’area confina con la Giordania e, soprattutto, con Israele. Tel Aviv ha più volte ribadito questo mese a parole e con raid aerei che non tollererà nessuna presenza iraniana vicino alle Alture del Golan (che ha occupato nel 1967 e annesso illegalmente nel 1981). Tuttavia, due giorni fa il premier Benjamin Netanyahu, come già fatto da molti leader occidentali, ha aperto al presidente al-Asad (ammettendone così la sua vittoria contro l’opposizione), chiedendo però ai russi in cambio l’allontanamento delle forze iraniane dalla Siria. Richiesta che non è del tutto condivisa da Mosca che invece starebbe negoziando per tenere gli iraniani a 80 chilometri dal confine israeliano.

Chiusa, o quasi, la partita a Daraa (restano ancora delle sacche dell’opposizione), al-Asad può dirsi sempre più sicuro di aver “vinto” la sua guerra. Ripreso ora il sud, riconquistata nei mesi scorsi l’area periferica orientale di Damasco (la Ghouta est) e, negli anni passati, la parte centrale del Paese, appare chiaro ora che Damasco proverà a riportare sotto il suo controllo la provincia di Idlib, vero bubbone islamista e jihadista anche per via delle intese siglate nel corso degli ultimi anni dal governo e dalle forze di opposizione. Resta poi da capire cosa accadrà nel nord del Paese dove la Turchia minaccia di espandersi a est e di porre fine al confederalismo dei curdi del Rojava.

Nel frattempo Asad si sfrega le mani: dato per spacciato dalle cancellerie occidentali, da Turchia e da gran parte dei paesi arabi nel 2012-2013, sa bene ora che, grazie al fondamentale contributo dei suoi alleati russi e iraniani, ha vinto la guerra siriana. Sempre se di “vittoria” si può parlare alla luce della distruzione di un Paese mantenuto in vita grazie al pesante sostegno dei suoi alleati stranieri.

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