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06/01/2019

Palestina - A sinistra la scossa tanto attesa

di Michele Giorgio - il Manifesto

E pur si muove! La celebre frase attribuita a Galileo commenta alla perfezione la scossa avvenuta nella sinistra palestinese che, come nel resto del mondo, non se la passa bene. Cinque partiti, alcuni con una radice marxista come il Fronte popolare (Fplp) e il Fronte democratico (Fdlp), altri riformisti come Iniziativa Nazionale del parlamentare e attivista Mustafa Barghouti, il Partito del popolo (Ppp, ex comunisti) e Feda (socialdemocratici), hanno annunciato due giorni fa la formazione a Gaza e in Cisgiordania dell’Unione democratica (Ud), una sorta di terzo polo alternativo ai due partiti maggiori, Fatah del presidente Abu Mazen e il movimento islamico Hamas. Un passo atteso da tempo che vuole ridare un punto di riferimento concreto, e un po’ di entusiasmo, ai tanti palestinesi che non condividono le posizioni dei laici di Fatah che controllano le città autonome in Cisgiordania e quelle degli islamisti al potere nella Striscia di Gaza.

«Fatah e Hamas non sono nostri nemici e con loro percorreremo sempre la via del dialogo, il nostro nemico è Israele che opprime il popolo palestinese e nega i suoi diritti. Allo stesso tempo Fatah e Hamas sono due organizzazioni di destra e portano avanti politiche che noi non condividiamo in gran parte dei casi» dice al manifesto Mariam Abu Daqqa, storica dirigente del Fronte popolare e una delle leader delle donne nella Striscia di Gaza. «Posizioni diverse dalle nostre e in conflitto tra di loro – aggiunge Abu Daqqa – La voglia di potere (da parte di Hamas e Fatah) ha contribuito ad aggravare la condizione dei palestinesi e a fallire l’obiettivo principale: la liberazione dall’oppressione israeliana» aggiunge Abu Daqqa. L’Ud, prosegue la dirigente del Fplp, vuole rappresentare agli occhi della popolazione una alternativa progressista e democratica nella lotta di liberazione, così come in politica, economia e società. «E per realizzare questi obiettivi abbiamo bisogno di maggior progresso e della partecipazione delle donne», conclude Abu Daqqa.

Da alcuni giorni è al lavoro un comitato che racchiude i rappresentanti delle cinque formazioni, con l’incarico di definire le strategie per combattere quelle che l’Unione democratica ritiene le malattie che stanno uccidendo la causa palestinese. «A cominciare dagli Accordi di Oslo (con Israele 1993)» ci spiega Iyad Abu Rahme, ex portavoce del Fplp, «che si sono rivelati una trappola per il nostro popolo. La loro fine è essenziale per ridare slancio all’idea di un progetto politico di tutti i palestinesi e per mettere fine allo scontro tra Fatah e Hamas». Khaled al Khatib, del Feda, teorizza una «strategia per costruire la giustizia sociale e creare uno Stato palestinese indipendente con piena sovranità sui Territori palestinesi occupati da Israele». Strategia che, prevede al Khatib, deve realizzarsi «sotto l’egida dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), l’unico e legittimo rappresentante di tutti i palestinesi».

Se la fine, graduale, degli Accordi di Oslo e la rinascita dell’Olp rappresentano un principio condiviso, le cinque formazioni dell’Ud non si esprimono, o almeno non ancora, sul futuro dell’Autorità nazionale palestinese nata dalle intese del 1993 tra l’Olp e Israele. Così come non hanno ancora deciso una posizione comune su una soluzione a Due Stati (Israele e Palestina) o a Stato unico non sionista sull’intero territorio storico della Palestina, per ebrei e palestinesi insieme. Dall’Ud giungono voci di discussioni accese tra i rappresentanti del Fplp e del Fdlp, più orientati verso lo Stato unico, o almeno binazionale, e i partiti più moderati, Ppp e Feda, favorevoli ai Due Stati. Non meno importante sarà capire nelle prossime settimane con quali politiche ed iniziative pubbliche l’Unione democratica pensa di strappare a Fatah e soprattutto ad Hamas a Gaza il favore di milioni di palestinesi. Tenendo conto anche che l’unico dei cinque partiti della coalizione che gode di un consenso di un certo rilievo è il Fplp mentre le altre formazioni appaiono più marginali se non residuali all’interno della società e della politica palestinese.

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