di Michele Giorgio - il Manifesto
E pur si muove! La celebre
frase attribuita a Galileo commenta alla perfezione la scossa avvenuta
nella sinistra palestinese che, come nel resto del mondo, non se la
passa bene. Cinque partiti, alcuni con una radice marxista come
il Fronte popolare (Fplp) e il Fronte democratico (Fdlp), altri
riformisti come Iniziativa Nazionale del parlamentare e attivista
Mustafa Barghouti, il Partito del popolo (Ppp, ex comunisti) e Feda
(socialdemocratici), hanno annunciato due giorni fa la formazione a Gaza
e in Cisgiordania dell’Unione democratica (Ud), una sorta di
terzo polo alternativo ai due partiti maggiori, Fatah del presidente Abu
Mazen e il movimento islamico Hamas. Un passo atteso da tempo che vuole
ridare un punto di riferimento concreto, e un po’ di entusiasmo, ai
tanti palestinesi che non condividono le posizioni dei laici di Fatah
che controllano le città autonome in Cisgiordania e quelle degli
islamisti al potere nella Striscia di Gaza.
«Fatah e Hamas non sono nostri nemici e con loro percorreremo
sempre la via del dialogo, il nostro nemico è Israele che opprime il
popolo palestinese e nega i suoi diritti. Allo stesso tempo Fatah e
Hamas sono due organizzazioni di destra e portano avanti politiche che
noi non condividiamo in gran parte dei casi» dice al manifesto Mariam
Abu Daqqa, storica dirigente del Fronte popolare e una delle
leader delle donne nella Striscia di Gaza. «Posizioni diverse dalle
nostre e in conflitto tra di loro – aggiunge Abu Daqqa – La voglia di
potere (da parte di Hamas e Fatah) ha contribuito ad aggravare la
condizione dei palestinesi e a fallire l’obiettivo principale: la
liberazione dall’oppressione israeliana» aggiunge Abu Daqqa. L’Ud,
prosegue la dirigente del Fplp, vuole rappresentare agli occhi della
popolazione una alternativa progressista e democratica nella lotta di
liberazione, così come in politica, economia e società. «E per
realizzare questi obiettivi abbiamo bisogno di maggior progresso e della
partecipazione delle donne», conclude Abu Daqqa.
Da alcuni giorni è al lavoro un comitato che racchiude i rappresentanti delle cinque formazioni,
con l’incarico di definire le strategie per combattere quelle che
l’Unione democratica ritiene le malattie che stanno uccidendo la causa
palestinese. «A cominciare dagli Accordi di Oslo (con Israele 1993)» ci
spiega Iyad Abu Rahme, ex portavoce del Fplp, «che si sono rivelati una
trappola per il nostro popolo. La loro fine è essenziale per ridare
slancio all’idea di un progetto politico di tutti i palestinesi e per
mettere fine allo scontro tra Fatah e Hamas». Khaled al Khatib, del
Feda, teorizza una «strategia per costruire la giustizia sociale e
creare uno Stato palestinese indipendente con piena sovranità sui
Territori palestinesi occupati da Israele». Strategia che, prevede al
Khatib, deve realizzarsi «sotto l’egida dell’Organizzazione per la
liberazione della Palestina (Olp), l’unico e legittimo rappresentante di
tutti i palestinesi».
Se la fine, graduale, degli Accordi di Oslo e la rinascita
dell’Olp rappresentano un principio condiviso, le cinque formazioni
dell’Ud non si esprimono, o almeno non ancora, sul futuro dell’Autorità
nazionale palestinese nata dalle intese del 1993 tra l’Olp e Israele.
Così come non hanno ancora deciso una posizione comune su una soluzione
a Due Stati (Israele e Palestina) o a Stato unico non sionista
sull’intero territorio storico della Palestina, per ebrei e palestinesi
insieme. Dall’Ud giungono voci di discussioni accese tra i
rappresentanti del Fplp e del Fdlp, più orientati verso lo Stato unico, o
almeno binazionale, e i partiti più moderati, Ppp e Feda, favorevoli ai
Due Stati. Non meno importante sarà capire nelle prossime settimane con
quali politiche ed iniziative pubbliche l’Unione democratica pensa di
strappare a Fatah e soprattutto ad Hamas a Gaza il favore di milioni di
palestinesi. Tenendo conto anche che l’unico dei cinque partiti della
coalizione che gode di un consenso di un certo rilievo è il Fplp mentre
le altre formazioni appaiono più marginali se non residuali all’interno
della società e della politica palestinese.
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