di Stefano Mauro
La tensione resta alta
lungo il confine tra Libano ed Israele e, secondo alcune testate
mediorientali, potremmo essere vicini alla “resa dei conti”, soprattutto
dopo le recenti dichiarazioni di Hassan Nasrallah, segretario di
Hezbollah, o il monito di Bashar Jaafari, rappresentante siriano
all’Onu, su una possibile risposta militare di Damasco contro
l’aeroporto di Tel Aviv a fronte delle continue provocazioni israeliane.
Numerosi analisti, della stessa stampa israeliana, affermano che
l’obiettivo del governo di Netanyahu, perseguito in questi anni,
sarebbe quello di aumentare la tensione in Libano con l’intenzione di
aprire un nuovo fronte nella continua lotta tra Arabia Saudita, Israele e
Usa contro l’asse sciita (Iraq, Siria, Libano) guidato dall’Iran.
Proprio per evitare tensioni e ulteriori frizioni lo stesso Hezbollah
aveva deciso di mantenere un basso profilo, non replicando alle
provocazioni di Netanyahu, durante l’operazione “Margine del Nord”. Una
scelta legata al difficile clima politico interno e all’impasse nella formazione del governo libanese, ad 8 mesi dalle elezioni parlamentari.
Dopo un’assenza di tre mesi, il segretario generale di Hezbollah ha
rotto il silenzio ed ha rilasciato un’intervista sul canale televisivo
libanese Al Mayadeen, smentendo tutte le recenti illazioni
della stampa israeliana su una sua “grave malattia invalidante”. “Il
primo ministro israeliano ha reso comunque un grande servizio alla
Resistenza libanese, instillando la paura in tutti quei coloni che
vivono lungo la frontiera” – ha affermato Nasrallah – “ed ha aiutato
Hezbollah nella sua guerra psicologica di deterrenza”. Un’operazione
“mediatica” da parte del governo israeliano, senza nessuna rilevanza
militare anche perché, secondo numerose fonti, quei tunnel “inutilizzati
e vecchi” risalirebbero al conflitto del 2006.
“In caso di aggressione contro il Libano, noi dovremo difendere la
nostra terra e ci riserviamo il diritto di ricorrere a tutte le nostre
capacità militari” – ha ironizzato il segretario di Hezbollah – “se
decideremo di entrare in Galilea, loro non sapranno da dove arriveremo
se dal mare, dal cielo o dalla terra”.
I recenti bombardamenti in Siria, il continuo sconfinamento ed
utilizzo dello spazio aereo libanese, le minacce di un possibile attacco
contro le postazioni dello Hashed Shaabi (Unità di Mobilitazione
Popolare) in Iraq, vengono considerate, al contrario, una strategia
molto rischiosa per Tel Aviv. Una possibilità di conflitto che sembra
essere diventata molto più “concreta che in passato” a tal punto da aver
portato al rientro di oltre 3mila militari dei reparti scelti di
Hezbollah dalla Siria. Soprattutto alla vigilia della prossima
conferenza di Varsavia per la creazione di una “Nato Araba” con
l’obiettivo di combattere l’Iran ed i suoi alleati.
La possibilità di un conflitto sembra vicina e lo stesso quotidiano israeliano Maariv ha
riportato la notizia della richiesta fatta del ministro francese, Jean
Yves Le Drian, ad Israele “di ritardare un’eventuale azione militare
contro Hezbollah fino al mese di marzo lanciando un ultimatum a Beirut
per la formazione di un governo”.
Nell’intervista Nasrallah ha chiarito che la “Resistenza libanese è
pronta a qualsiasi aggressione” e “potrebbe concretamente rispondere
alle provocazioni israeliane” come i recenti bombardamenti in Siria che
hanno come obiettivo quello di distruggere le armi iraniane. Una
“motivazione ridicola”, secondo il segretario generale di Hezbollah,
visto che il partito sciita, com’è ormai noto, possiede da diverso tempo
un arsenale militare (si parla di oltre 120mila testate) con missili di
alta precisione pronti a colpire obiettivi in tutto il territorio
israeliano.
Dello stesso parere il direttore del giornale online Rai Al Youm,
Abdel Bari Atwan, che considera l’atteggiamento di Netanyahu, in calo
di consensi per le accuse di corruzione nei suoi confronti, maggiormente
aggressivo proprio a fini elettorali, con l’intento di creare un
sentimento di minaccia nei coloni per ottenere i loro voti. I
bombardamenti aerei di queste settimane sarebbero, sempre secondo Atwan,
il tentativo di “risollevare, a livello mediatico, l’immagine di
Israele come potenza militare da temere” dopo le sconfitte di questi
anni e la scomparsa di tutti i gruppi jihadisti sostenuti e finanziati
da Tel Aviv nelle alture del Golan.
“La strategia dell’asse sciita” – conclude Atwan – “sta cambiando e
potrebbe portare ad una concreta risposta militare in caso di una nuova
possibile aggressione israeliana contro la Siria o il Libano, anche
perché siamo in un contesto in cui gli USA sono in un momento di stallo e
si stanno ritirando dalla Siria e gli stati arabi del Golfo sono in
crisi nella loro lotta interna tra sauditi e qatarioti”.
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