L’Enciclopedia Treccani definisce tabu
una “proibizione di carattere magico-religioso nei confronti di
oggetti, persone, luoghi considerati di volta in volta sacri, oppure
contaminanti, impuri e dunque potenzialmente pericolosi.” Sembra proprio
che una simile proibizione copra il complesso tema del rapporto tra
banca centrale e debito pubblico, un vero e proprio tabu che la
RAI, in seconda serata, ha osato provare a scalfire con un brevissimo
servizio del programma “Povera Patria”, il quale aveva ad oggetto il
cosiddetto ‘signoraggio’, ossia il potere esclusivo di creare moneta a
corso legale detenuto dalle banche centrali. In appena due minuti,
il servizio afferma che in Italia questo potere, prima degli anni
Ottanta, veniva sfruttato per finanziare la spesa pubblica in disavanzo a
beneficio della collettività e senza particolari limitazioni; questo
circolo virtuoso tra creazione di moneta e spesa in disavanzo sarebbe
venuto meno in seguito a due passaggi fondamentali: prima con il
‘divorzio’ tra Banca d’Italia e Tesoro e poi con l’adesione alla moneta
unica, con la definitiva perdita di sovranità monetaria connessa alla
subordinazione della Banca d’Italia alla Banca Centrale Europea (BCE).
Più che il servizio in sé, troviamo davvero interessante il coro di reazioni isteriche che si è immediatamente levato da ogni dove: Davide Serra, Carlo Cottarelli, Luigi Marattin, Mario Seminerio, Riccardo Puglisi
e tanti altri si sono gettati nella mischia nel disperato tentativo di
screditare le tesi esposte sulla RAI.
La tesi di fondo che ha mandato in
tilt le tastiere dei liberisti del venerdì sera è l’idea che la
monetizzazione del debito pubblico possa funzionare. Quando lo Stato
spende risorse, mette in moto l’economia e genera crescita; se quelle
risorse, però, sono prelevate dall’economia stessa attraverso tasse e
imposte, in ossequio al pareggio di bilancio, allora l’impatto positivo
della spesa pubblica sulla crescita ne risulta contenuto. Al contrario,
gli effetti positivi della spesa pubblica sono massimi quando le risorse
necessarie, fuori dal paradigma del pareggio di bilancio,
vengono create dalla banca centrale: in questo caso allo stimolo della
spesa pubblica non corrisponde alcun contrappeso dal lato della
tassazione, a tutto beneficio della crescita economica. In buona
sostanza, le economie moderne avrebbero a disposizione tutti gli
strumenti necessari a generare crescita ed occupazione; le armi per
combattere disoccupazione e povertà sono lì davanti a noi. Ma non si possono toccare.
Guai a dire in televisione che la
disoccupazione e la povertà possono essere sconfitte con strumenti che
sono a portata di mano, se non immediatamente disponibili. Guai a dire,
insomma, che gli strumenti tecnici ci sono e non vengono usati, perché
altrimenti bisognerebbe spostare il discorso economico sul piano
politico, e spiegare il perché non vengano usati. Bisognerebbe in altre
parole discutere del contenuto politico dell’integrazione europea,
che ha progressivamente inibito tutti gli strumenti utili al
perseguimento della piena occupazione e alla difesa dei salari.
Bisognerebbe cioè ammettere che piena occupazione e salari dignitosi
entrano in conflitto con la sete di profitto, e per questa ragione sono
stati banditi dall’Europa a suon di Trattati, vincoli e spread.
Questo, dunque, è il tabu che non può, non deve essere violato: la dimensione politica entro cui esiste l’economia.
Al contrario, l’economia deve essere raccontata sempre come una
questione tecnica, un problema di scarsità delle risorse che prescinde
dal contesto storico e sociale entro cui quella scarsità si manifesta.
La crisi, la disoccupazione, la precarietà devono apparire come mali
necessari, al più come incidenti di percorso, mai come armi di
disciplina dei lavoratori e strumenti di difesa del profitto.
Andiamo ora al cuore della questione, e
chiediamoci se davvero la monetizzazione del debito pubblico possa
funzionare. Per una volta, lo anticipiamo, vi raccontiamo una storia a
lieto fine. Il nostro eroe è, del tutto involontariamente, Carlo
Cottarelli. Costui, spedito in missione punitiva per dare una lezione ai
“sovranisti” della RAI, si ritroverà a firmare un goffo articolo,
dal titolo “Stampare soldi non crea ricchezza (di solito!)”, che spiega
chiaramente come la monetizzazione del debito pubblico certamente
funzionerebbe oggi. Nel suo capolavoro di idiozia, Cottarelli descrive
così il servizio andato in onda venerdì sera:
“Il servizio è stato aspramente criticato
in rete. I critici hanno notato che stampare moneta crea inflazione
(aumento dei prezzi) e svalutazione (caduta del valore della moneta
rispetto alle valute estere). Se si stampa troppa moneta la gente cerca
di liberarsene (perché pensa che la moneta perderà valore nel tempo) o
comprando beni (il che fa aumentare il prezzo dei beni ossia crea
inflazione) o comprando valuta estera (il che faceva aumentare il prezzo
dei dollari o marchi tedeschi, quando ancora avevamo la lira, ossia
causa una svalutazione). Questo è senz’altro vero. Ma il punto che
voglio fare in questo post è che se anche, per qualche motivo, stampare
moneta non creasse inflazione o svalutazione, il finanziamento monetario
del deficit non significherebbe che i servizi pubblici possono essere
finanziati senza che qualcuno rinunci a qualcosa: insomma, non c’è nulla
che si può ottenere gratis, neppure stampando moneta.”
Cottarelli sa bene, dunque, che la critica alla monetizzazione del debito pubblico non può limitarsi ad agitare gli spettri dell’inflazione
e della svalutazione: sarebbe troppo debole, e dunque bisogna andare
oltre. È qui che il nostro sfodera uno strampalato esempio. Lo Stato
eroga un trasferimento a Tizio, e può farlo tassando Caio, oppure
prendendo i soldi in prestito da Caio, o infine creando la moneta grazie
al signoraggio. Nel primo caso “Caio, che si sarebbe comprato con quei
soldi delle banane, non potrà mangiare banane. Le banane le mangia
Tizio.” Nel secondo caso “Caio rinuncia a mangiare le banane
volontariamente, non perché è tassato”, ma il ricorso al debito non può
essere eccessivo perché altrimenti spaventa i mercati e apriti cielo.
Infine, e veniamo al punto, nel terzo caso “lo stato può stampare moneta
e con questa moneta compra le banane di Caio”, ma – attenzione – “non
si creano risorse dal nulla: Caio comunque deve rinunciare a mangiare
oggi le banane per consentire a Tizio di mangiarle. Chiaro?” Insomma...
Perché sia chiaro, dobbiamo spiegare
quale sia il contesto teorico entro cui tutti gli economisti liberisti
abitualmente ragionano: dal momento che le forze di mercato, libere di
operare, creano il massimo benessere possibile – o almeno questo credono
i liberisti – l’economia si trova normalmente in una situazione di
piena occupazione. Cottarelli sta ragionando dentro a un mondo in cui vi
è piena occupazione: tutti lavorano e tutto il capitale disponibile è
impiegato, in modo tale che sia impossibile aumentare la produzione.
Solo dentro a questo mondo immaginario – utile solo a deliziare i
venerdì sera di Cottarelli – sembra possibile affermare che la banana di
Tizio non possa essere prodotta, come tutte le merci, ma debba essere
strappata, per così dire, al povero Caio. Ovvero che se lo Stato
decidesse di spendere risorse per aumentare la domanda di banane e
poterne dare una a Tizio, la produzione di altre banane sarebbe
tecnicamente impossibile perché non vi sarebbero lavoratori disponibili
per arare nuovi campi, piantare nuovi banani e poi raccoglierne i
frutti.
Solo in uno schema astratto di questo tipo, ovvero solo se tutta
la capacità produttiva fosse già impiegata al massimo, solo allora si
potrebbe pensare che non vi sia alcuno spazio per espandere la
produzione: banane, mele, automobili o qualunque altro bene o servizio. E
la cosa più interessante è che questa semplice asserzione di buon senso
non la affermiamo noi, ma la fa propria il nostro eroe alla fine
dell’articolo, in un curioso post scriptum in cui si buttano
alle ortiche tutte le farneticazioni precedenti: “se l’economia è
lontana dalla piena occupazione, se cioè c’è disoccupazione, stampare
soldi può servire a far ripartire l’economia cioè ad aumentare la
quantità di banane a disposizione. Ma questo avviene solo fino al
raggiungimento della piena occupazione.”
Stavolta lo scriviamo noi: è
chiaro? In Italia c’è un tasso di disoccupazione maggiore del 10%,
quindi c’è uno spazio enorme per aumentare i consumi, la domanda e
l’occupazione di forza lavoro attraverso la monetizzazione del debito
pubblico. Saremmo felicissimi se l’Italia si trovasse in una situazione
di pieno impiego, ovvero senza disoccupati, sotto-occupati e lavoro
precario! Allora sì che potremmo discutere con Cottarelli di eventuali
effetti inflazionistici o di risorse scarse da redistribuire come
possibile effetto delle politiche di monetizzazione del debito. Sarebbe
bello, ma non è certo questo il mondo in cui noi e Cottarelli viviamo.
Povero Carlo, sembra proprio che questa
storia della banana – pensata forse come raffinata ironia contro i suoi
avversari – gli sia sfuggita di mano.
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