La paura del voto ha portato la CGIL indietro di quasi trent’anni. Non alle lotte di allora, beninteso, che sarebbe una buona cosa, ma alla struttura interna ingessata tra le componenti, allora di partito. Ora i partiti non ci sono più ma quella ingessatura torna.
L’accordo tra Landini, Camusso e Colla per la gestione cosiddetta “unitaria” del più grande sindacato italiano è una ulteriore dimostrazione della sua involuzione e crisi. Non che il voto tra i due avrebbe rappresentato di per sé un progresso. Landini e Colla si contrapponevano alla carica di segretario generale non avendo dichiarato nessuna differenza politica, facendo parte dello stesso documento congressuale che aveva ricevuto il solito 98% nei congressi di base, con una partecipazione reale bassissima, poi come sempre gonfiata dai dati ufficiali finti.
Tuttavia il voto tra i due candidati avrebbe sconvolto le certezze burocratiche dell’organizzazione, avrebbe forse aperto qualche spiraglio ad un salutare confronto di posizioni. Forse avrebbe davvero costretto i due candidati a dire qualcosa di diverso l’uno dall’altro.
Proprio per evitare questo alla fine si è giunti all’accordo, che instaura la carica di vicesegretario della CGIL – anzi, di doppio vice segretario per la “questione di genere” – carica inesistente nello Statuto. Si annuncia così un Manuale Cencelli nei ruoli di direzione che si diffonderà rapidamente in tutta l’organizzazione.
In un certo senso la Cgil torna all’architettura con la quale era organizzata nel passato, quando il direttivo nazionale era spartito a tavolino tra un 60% di comunisti, un 35 di socialisti e il resto alle varie anime della sinistra radicale. E i socialisti avevano il vice segretario, chiamato segretario generale aggiunto. Poi lo scioglimento del PCI e la fine del PSI privarono di senso le componenti di partito, che furono superate, anche per merito della minoranza di Essere Sindacato, che nel 1991 fece saltare il banco, presentando al congresso un documento politico alternativo a tutta la vecchia maggioranza dell’organizzazione.
Ovviamente la diarchia Landini - Colla non può materialmente riproporre una CGIL finita negli anni '80. Però la sostanza sarà che la corrente del vicesegretario finirà per essere sempre più identificata ed identificarsi con un PD derenzizzato, mentre la maggioranza landiniana dovrà inventarsi una identità che non ha. Quale sarà?
Landini viene eletto segretario per accordo politico con Susanna Camusso, la cui direzione della CGIL è sicuramente stata la peggiore dal dopoguerra. Il più grande sindacato si è inabissato nel burocraticismo, nella marginalità e nella inconsistenza dell’iniziativa, cui hanno corrisposto catastrofici arretramenti delle condizioni di lavoro, precarietà, disoccupazione. E la legge Fornero ed il Jobsact, lasciati passare dalla CGIL senza reagire.
Landini divenne un leader nazionale quando nel 2010 disse NO al piano Marchionne. In realtà quel suo “no” era frutto della storia di un quindicennio della FIOM, che a partire dagli anni '90 aveva assunto un profilo politico e sindacale decisamente distinto da quello della CGIL.
Era quella la FIOM che aveva sfilato a Genova nel 2001, contravvenendo alle decisioni della CGIl, e che aveva condotto una lunga lotta contro gli accordi sindacali al ribasso.
Era quella la FIOM che diceva no alla FIAT. Landini appena eletto segretario assunse quel no e fu la sua fortuna. Poi, forte del consenso per quel no, nei suoi otto anni di mandato Landini ha operato per riportare la FIOM nell’attuale normalità sindacale, sia rispetto alla CGIL, sia rispetto alle controparti.
L’ultimo contratto nazionale da lui sottoscritto per i metalmeccanici è il peggiore della storia della categoria, cancella venti e più anni di lotte e conquiste della FIOM, sposa totalmente il modello sindacale legato all’impresa, al mercato, agli enti bilaterali su pensioni, sanità e quant’altro. Dopo questo accordo Landini è entrato nella segreteria CGIL, che poi a maggioranza lo ha designato a successore di Susanna Camusso.
Gran parte degli iscritti della CGIL saluteranno comunque con soddisfazione e speranza l’elezione di Landini. La sua immagine mediatica di combattente radicale è infatti ancora molto forte, anche se tutti i comportamenti concreti di questi anni l’hanno smentita. D’altra parte il buio della direzione Camusso può essere rischiarato anche solo dal bagliore di qualche buona battuta.
Tuttavia il favore mediatico non basta e non dura, qualche scelta politica andrà fatta.
Non credo affatto che Landini vorrà distinguersi da Colla per movimentismo o per giochi politici spregiudicati coi Cinque Stelle, come qualcuno gli attribuisce. L’uomo è sufficientemente scaltro e spregiudicato per fare di queste scelte: nel passato tentò una alleanza tra rottamatori con Renzi, finita subito male, come il suo tentativo di una “coalizione sociale” mirante alla politica.
Dopo queste esperienze non credo che Landini tenti nuove incursioni nel campo minato della politica attuale. Penso invece che punterà alla unità con CISL e UIL e alla alleanza con Confindustria e imprese, su un terreno i cui confini sono già indicati dal contratto dei metalmeccanici.
Una volta nella CGIL questo si chiamava “patto dei produttori” , cioè l’alleanza corporativa tra imprese e sindacati per presentarsi uniti nei confronti della politica. Una scelta sempre sostenuta dalla CISL e dalla maggioranza moderata della CGIL. Questa scelta sarà ora la base della maggioranza landiniana e verrà presentata come quella di un sindacalismo “puro”, non inquinato da collocazioni politiche. Colla a sua volta potrà caratterizzarsi come più legato alla storia di collocazione “a sinistra” della CGIL e rivendicare un maggior protagonismo politico del sindacato.
Da un lato l’alleanza corporativa con CISL UIL e Confindustria, dall’altro il fiancheggiamento collaterale a ciò che resta del centrosinistra, due scelte perdenti del passato che verranno presentate come il luminoso futuro di una CGIL che cerca di uscire dalla sua crisi con il passo del gambero. E che intanto festeggia di non aver votato, non sia mai...
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