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04/02/2019

I dati sull’economia restituiscono una situazione impietosa

Nubi si addensano sull’immediato futuro e già si comincia a parlare di una correzione dei conti pubblici.

Infatti, mentre il governo grillin-leghista gioca cinicamente sulla pelle dei migranti e il PD prova a riciclarsi in chiave anti razzista inviando Martina ed Orfini sulla Sea Watch, i dati riportati da alcuni istituti certificano in maniera impietosa la condizione reale nella quale è immerso il paese.

Qualche giorno fa era toccato all’Oxfam registrare che nel nostro paese il 5% più ricco degli italiani detiene da solo una quota di patrimonio pari al 90% della parte più povera del paese, e che il 20% più ricco detiene il 72% del patrimonio totale.

Il secondo rapporto del Censis sul welfare aziendale registra invece tre dati:

1) il calo del numero dei lavoratori (negli ultimi dieci anni il numero di occupati nel paese è diminuito dello 0,3%);

2) l’aumento dell’orario di lavoro e dell’intensità lavorativa (2,1 milioni di lavoratori dipendenti svolgono turni di notte, 4,1 milioni lavorano da casa ben oltre il normale orario di lavoro, 4 milioni lavorano di domenica e festivi e 4,8 milioni lavorano oltre l’orario senza pagamento dello straordinario);

3) le buste paga si alleggeriscono sensibilmente (il reddito degli operai negli ultimi 20 anni è sceso del 2,7%, quello degli impiegati del 2,6%, mentre quello dei dirigenti è aumentato del 9,4%).

Tralasciamo il fatto che quest’ultimo rapporto punta a far decollare il welfare aziendale e a magnificarne gli effetti, gli elementi che emergono suggeriscono una riflessione.

Un tempo lo slogan “lavorare meno lavorare tutti” indicava la strada da perseguire per garantire piena occupazione e minore sfruttamento lavorativo.

Oggi lavorano sempre meno persone, con un tasso di sfruttamento sempre più elevato e con retribuzioni sempre più magre.

Infine ieri l’Istat ha fotografato la marcia indietro dell’economia italiana e più nel dettaglio quella contrazione del PIL per il secondo trimestre consecutivo che gli esperti definiscono col termine di “recessione tecnica”.

L’incrocio di tutti questi dati sarebbe ampiamente sufficiente per decostruire quella narrazione fallace che ha infarcito la propaganda dei governi che si sono fin qui succeduti e che anima anche la propaganda dell’attuale governo del falso cambiamento.

Ma naturalmente una riflessione seria comporterebbe mettere in discussione il processo di integrazione europeista e quella architettura giuridica/economica costituita dai trattati che costringe il nostro paese ad una ferrea disciplina di bilancio.

Significherebbe, per esempio, mettere in discussione quel dogma della lotta all’inflazione e della stabilità monetaria che è nemico di ogni pulsione di giustizia sociale e preclude inevitabilmente, in quanto potenzialmente inflazionistiche, qualsiasi politica di investimento nella spesa sociale.

O significherebbe riconoscere il fallimento di quella ideologia dell’impresa in nome della quale tutte le risorse pubbliche vengono sistematicamente indirizzate nei loro confronti, in quanto individuati come unici soggetti capaci di rilanciare l’economia.

E così mentre vengono elargiti alle imprese benefit fiscali e sgravi contributivi di ogni sorta (anche la recente legge di bilancio non si sottrae a questa logica, spostando leggermente le poste dalla grande impresa alle piccole e medie che costituiscono il naturale bacino elettorale della Lega) non si produce alcun effetto positivo in termini occupazionali: d’altronde non occorre essere esperti di economia per comprendere che le imprese assumono soltanto se hanno la percezione che possa aumentare la domanda dei beni prodotti, ipotesi alquanto stravagante in un periodo di piena recessione.

Ma naturalmente queste analisi non possono certo provenire né da chi (PD e affini) da sempre svolge il ruolo di pasdaran della disciplina di bilancio, né da chi (l’attuale governo) dopo aver sfidato a parole Bruxelles, non ha esitato ad arruolarsi prontamente nel campo europeista, spostando la polemica con le istituzioni europee sul terreno dei diritti dei migranti.

Rimosso tutto questo non resta che l’isteria collettiva, lo scarico delle responsabilità e il consueto balletto di accuse incrociate tra governo ed opposizione.

Si tratta di dati del 2018 che quindi chiamano in causa la precedente compagine governativa, tuonano dagli ambienti governativi, nel commentare i dati Istat sulla recessione in corso.

“La contrazione inizia con le prime scelte di questo governo e con gli effetti determinati sullo spread” replica l’ex segretario Martina.

In questo contesto si inserisce poi il leader di Confindustria Boccia che coglie l’occasione per illustrare la sua innovativa soluzione: aprire immediatamente i cantieri, a partire dalla Tav...

Ma l’oscar del candore va forse assegnato all’economista Cottarelli che chiarisce il suo pensiero “Se andassimo in crisi adesso io temo ci sarebbe una grossa patrimoniale”.

Un pericolo da scongiurare, non sia mai che, chi guadagna di più, cominci a pagare in proporzione alle sue entrate. In fondo lo dice quella Costituzione, al cui smantellamento lavorano alacremente ogni giorno...

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