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01/05/2019

Parigi e Berlino “intermediarie di guerra” nei Balcani

Concluso praticamente con un nulla di fatto il summit sui Balcani che si era aperto lunedì scorso a Berlino, con l’obiettivo di Angela Merkel e Emmanuel Macron di porsi quali intermediari per “riavviare il dialogo” tra Serbia e Kosovo. Unico risultato, la promessa di un nuovo incontro, il prossimo luglio a Parigi, tra il Presidente serbo Aleksandar Vučić e il cosiddetto presidente dell’autoproclamata “Repubblica del Kosovo”, l’ex comandante dei tagliagole del UÇK, Hashim Thaçi.

Quest’ultimo, rimane fermo nelle sue pretese territoriali nei confronti di Belgrado. Consapevole del ruolo affidato dagli USA al Kosovo, in cui è dislocata una delle più grandi basi yankee in Europa, Priština non dimostra alcuna intenzione di fare passi indietro nella questione dei dazi sui prodotti serbi destinati alle enclavi serbe nel Kosovo, il cui ritiro fa anzi dipendere dal riconoscimento dell’indipendenza da parte di Belgrado. E’ questa la condizione di ogni trattativa e su questo punto gli “indipendentisti” kosovari possono vantare il sostegno, oltre che di Washington, della maggioranza delle capitali UE.

A giudicare dai rapporti delle agenzie, abbastanza di contorno il ruolo svolto a Berlino dagli altri leader dei Balcani occidentali presenti al summit – Bosnia-Erzegovina, Croazia, Montenegro, Slovenia – per non dire dell’Alto Rappresentante per la politica estera UE, Federica Mogherini.

Nell’elenco dei presenti, nota Sicurezza internazionale, senza nascondere le proprie simpatie kosovare, si nota la mancanza di una qualche rappresentanza italiana; ora, affermano alla Luiss, “mentre il Kosovo vorrebbe entrare a far parte dell’Unione Europea e, possibilmente, anche della NATO”, stupisce proprio l’assenza “dell’Italia al summit. Nella parte occidentale del Kosovo infatti è presente il Multinational Battlegroup NATO, a guida italiana”, che fa il paio con quello di stanza nella parte orientale della regione, a guida americana: tanto per non farci mancare nessuna missione militare estera “di pace”.

In sostanza, le mire kosovare, con il pretesto della “composizione etnica dei rioni meridionali della Serbia”, sono sempre quelle sui distretti serbi di Preševo, Bujanovats e Medveđa, che Hashim Thaçi vorrebbe unire al Kosovo, fidando “sulla comprensione di Francia e Germania, che dovrebbero convincere Belgrado a riconoscere l’indipendenza del Kosovo”.

Esempio lampante di come NATO ed establishment occidentale sostengano tanto il “presidente” quanto la sua “repubblica” illegale, notava news-front.info alla vigilia del vertice, è il fatto che, dopo le dichiarazioni di Thaçi, non siano state adottate sanzioni, né convocata una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza dell’ONU: sottinteso, come avvenuto a suo tempo con le questioni della Crimea o delle Repubbliche popolari del Donbass.

Oltre al riconoscimento dell’indipendenza dell’autoproclamata repubblica, Thaçi pretende anche che Belgrado non “sollevi più la questione della sovranità” del Kosovo e ha dichiarato l’impossibilità di dar vita, a nord della regione, a municipalità serbe dotate di poteri simili a quelli di Serbia e Bosnia-Erzegovina. L’ex capo del UÇK va oltre e avanza, quale passo verso la riconciliazione, il “processo di liberalizzazione dei visti”, su cui un ruolo decisivo dovrebbe essere giocato da Germania e Francia e, bontà sua, dichiara che la sua repubblica è “pronta per un accordo globale sulle relazioni interstatali con la Serbia”.

E mentre all’interno del Kosovo, scrive topwar.ru, non si placano le proteste contro corruzione e abusi del governo di Ramush Haradinaj (altro capo del UÇK), da Belgrado, in risposta alle esternazioni di Thaçi sul “riconoscimento dell’indipendenza”, si fa osservare che la retorica delle cosiddette “autorità della provincia” del Kosovo rimane “aggressiva e ultimativa”. Si sottolinea anche come Priština non perda occasione per dimostrare quanto ambisca a “ulteriori espansioni” e, ciò, in alcun modo può esser definito una posizione di disponibilità delle “autorità del Kosovo” a un dialogo politico e diplomatico.

Di fatto, a proposito del ruolo di Parigi e Berlino nel “dialogo” tra Serbia e Kosovo, e a proposito dell’idea di Angela Merkel di una variante del tipo dell’accordo sottoscritto nel 1972 tra BRD e DDR, per cui Bonn e Berlino riconoscevano l’esistenza di due stati tedeschi, normalizzando così i rapporti reciproci, Thaçi ha risposto di respingere qualsiasi ipotesi “del tipo delle due Germanie”, perché giudica impossibile qualsiasi “dialogo con la Serbia, senza il coinvolgimento degli Stati Uniti”.

È noto che la Merkel, osserva Aleksandr Braterskij su gazeta.ru, si oppone a una ridefinizione dei confini tra Serbia e Kosovo; un anno fa aveva affermato che “l’integrità territoriale degli stati dei Balcani occidentali è fissata e inviolabile”, aggiungendo che “si ripetono continuamente tentativi di parlare di confini, ma non possiamo farlo”. All’opposto, anche a dimostrazione della “unità” franco-tedesca e del primato, non solo economico, che Parigi e Berlino si contendono al vertice della tanto declamata “Europa unita”, ecco che Emmanuel Macron sostiene la necessità di “un accordo sulla correzione delle frontiere della Serbia” e l’unione al Kosovo dei distretti serbi di Preševo, Bujanovats e Medveđa o della parte centrale della Serbia, proprio come preteso da Priština.

Il politologo Oleg Bondarenko nota come sia comprensibile l’obiettivo di Thaçi di coinvolgere Washington nella questione, dato che è il “principale curatore” del Kosovo; gli interessi USA e UE nei Balcani divergono: nelle capitali europee, afferma Bondarenko, si parte dal presupposto che l’Europa come istituzione sia definitivamente completata e pertanto le decisioni debbano esser prese a Bruxelles e a Berlino. Oltretutto, pare che non ci sia particolare fretta di includere nell’Unione europea Kosovo e Albania; di contro, Washington sta attivamente promuovendo gli interessi kosovari e albanesi, completamente dipendenti dagli Stati Uniti.

Una sorta di dialogo tra Belgrado e Priština era iniziato lo scorso anno e pur se la Serbia non riconosce l’indipendenza del Kosovo, entrambe le parti, osserva Braterskij, sono interessate alla regolarizzazione delle relazioni, con l’obiettivo dell’ingresso nella UE. Il fatto è che, da parte kosovara, le posizioni oltranziste del “presidente” Thaçi su uno “scambio territoriale” con la Serbia, sono portate all’estremo dal “primo ministro” Haradinaj che, con la pretesa di imporre proprie forze di polizia nei territori del Kosovo abitati da popolazione serba, potrebbe portare di fatto allo scontro armato.

Il dialogo sulla normalizzazione dei rapporti si era praticamente arenato dopo che Priština aveva introdotto dazi del 100% (praticamente, il blocco delle enclavi serbe della regione) imposto sui beni forniti da Belgrado ai serbi del Kosovo. Alla proposta di dialogo avanzata dal Presidente serbo Aleksandar Vučić, in cambio dell’abolizione del dazio, Haradinaj aveva opposto un ultimatum: abolizione dell’imposta, solo dopo il riconoscimento dello status indipendente del Kosovo. Vučić, quale opzione per escludere rivendicazioni territoriali, aveva proposto un referendum per decidere che la regione del Kosovo di Mitrovitsa, abitata da serbi, si unisca alla Serbia, mentre gli albanesi delle regioni meridionali della Serbia, al Kosovo.

Apparentemente, Bruxelles sembra voler giungere a una regolazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo: ciò è vero, secondo Bondarenko, soprattutto per quanto riguarda Angela Merkel, che vorrebbe ritirarsi dalla politica, nel 2021, avendo alle spalle almeno un qualche successo in politica estera.

Ma non si può scordare come, per un verso, la Germania sia stata, sin dal 1991, uno dei principali responsabili della disgregazione della Jugoslavia e, per un altro verso, come l‘aggressione NATO del 1999 si fosse conclusa con la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che garantiva sovranità e integrità territoriale della Serbia e un ampia autonomia di Kosovo e Metohija nella compagine serba e come invece, nel 2010, la Corte internazionale di giustizia dell’ONU avesse deciso che la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo non contraddicesse le norme del diritto internazionale.

Di fatto, Bruxelles chiede oggi a Belgrado, quale condizione di adesione alla UE, il riconoscimento della secessione del Kosovo e, ancora una volta, Francia e Germania gareggiano per assicurarsi nella regione una base di espansione, erodendo le posizioni USA e ponendo le premesse per ribadire, a suon di cannoni, cosa sia in realtà quella che i social-liberali del PD qualificano come “la “nuova” Europa ... che ci ha garantito più di 70 anni di pace”.

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