di Giorgio Cremaschi
“Chi se magna pane e vino ha da esse giacobino”
Così gridava il popolo dei lazzari napoletani, guidato dall’ultra
reazionario cardinale Ruffo, nell’insurrezione contro la repubblica nel
1799.
Oggi Bolsonaro, presidente del Brasile con dichiarate simpatie per
Pinochet e le dittature fasciste, ha annunciato al suo insediamento che
intende sradicare ogni forma di socialismo, nel nome del popolo.
Dalla Rivoluzione Francese in poi le forze reazionarie hanno sempre
indossato la maschera del popolo, accusando i rivoluzionari, i
progressisti, le sinistre diremmo oggi, di essere delle élites che
possono permettersi di predicare l’eguaglianza dall’alto del loro
intangibile privilegio.
Attenzione, il punto non è quanto sia vera questa accusa di ipocrisia
ed elitarismo verso il progressismo rivoluzionario, a volte lo è stata,
lo è. Il punto è che le forze reazionarie usano le contraddizioni e le
delusioni della lotta per l’eguaglianza per rivendicarne la fine. I
reazionari degli ultimi duecento anni hanno sempre avuto una comune idea
del popolo: quello che si accontenta e rispetta le gerarchie, che non
vuol cambiare la società, che ubbidisce alla trinità reazionaria Dio
Patria Famiglia.
La sconfitta della rivoluzione francese e la restaurazione
comportarono che ciò che prima era diritto tornasse ad essere
elargizione dovuta al buon cuore. Così esplodeva il contrasto dei
sentimenti, il conflitto tra diritto e servitù diventava quello tra
bontà (oggi diciamo buonismo) de egoismo (oggi è realismo). E i
poveri, si sa, sono materialmente costretti al realismo. Nella
letteratura di Charles Dickens, che descrive il capitalismo inglese
trionfante dell’ottocento, i poveri e gli operai sono in generale
feroci tra loro ed insensibili, mentre i ricchi ed i potenti alla fine
sono conquistati dalla bontà.
Il socialismo in tutte le sue versioni ha impiegato un secolo, tutto
il diciannovesimo, per strappare il popolo ai vari cardinali Ruffo e
per portarlo sul fronte giacobino. Per fare questo però il socialismo ha
dovuto praticare la rottura con ciò che era allora la sinistra
ufficiale, ha dovuto affermare contro di essa la centralità della
questione sociale. Nella sostanza ha dovuto spiegare ai poveri e agli
sfruttati come in fondo avessero ragione i reazionari, quando
denunciavano l’ipocrisia di una uguaglianza e di una libertà solo
formali, cui corrispondevano ingiustizia sociale e privilegio. Ma che
non era l’eguaglianza ad essere sbagliata, bensì il fatto che essa non
riguardasse le condizioni di lavoro e di vita delle persone. Così il
socialismo si è affermato nella rottura sia con il pensiero liberale,
che predicava le libertà civili, ma nel nome del capitalismo e del
mercato negava l’eguaglianza sociale, sia contro il pensiero
reazionario, che denunciava la diseguaglianza sociale solo con lo scopo
di mettere in discussione le libertà civili.
Nel ventesimo secolo, dopo la rivoluzione russa e il gigantesco moto
di emancipazione e rivolta sociale promosso dal comunismo, le risposte
delle classi dominanti europee furono il fascismo ed il nazismo. Che
apparentemente recuperavano il protagonismo sociale delle masse, ma per
collocarlo rigidamente nel rispetto della gerarchia e dell’ordine
costituito, per costruire un regime reazionario di massa. La sconfitta
del fascismo in Europa ebbe due effetti fondamentali. Impose
l’eguaglianza sociale come metro fondamentale della politica, con lo
stato socialista pianificato ad est e quello sociale di mercato ad
ovest. In secondo luogo la rovina del fascismo trascinò con essa anche i
valori reazionari di fondo che il fascismo aveva recuperato e
utilizzato: Dio Patria e Famiglia divennero impresentabili ed
impronunciabili.
La reazione del capitalismo iniziò negli anni '70, con la
brutale riaffermazione del potere del mercato, del profitto, del privato
e della ricchezza. Ciò che oggi chiamiamo neo liberismo, che ebbe come
primo paese cavia il Cile, sottoposto alla sanguinaria dittatura
fascista di Pinochet.
La reazione capitalista ebbe successo, sconfisse le lotte dei
lavoratori ed i movimenti sociali in Occidente, provocò il crollo del
socialismo reale nell’Europa dell’Est e in Unione Sovietica. Iniziava
l’epoca della globalizzazione, cioè della sottomissione al mercato,
soprattutto al mercato finanziario, della economia e della società,
ovunque. Apparentemente senza ostacoli.
La globalizzazione è semplicemente il sistema americano esteso a tutto il mondo, sentenziò lapidariamente Kissinger.
La sinistra occidentale, di fronte a questo processo reazionario
mondiale, cercò di salvare se stessa percorrendo a rovescio il cammino
del secolo diciannovesimo. Cioè, almeno nei suoi partiti maggiori e
anche in tanti gruppi dirigenti sindacali, la sinistra abbandonò la
questione sociale, proprio quando essa esplodeva di nuovo per le
politiche liberiste, e si rifugiò nelle libertà civili.
Su queste basi l’Unione Europea fu costituita con il trattato di
Maastricht nel 1992. Che esprimeva una sorta di compromesso politico ed
ideologico. La sinistra abbandonava ogni forma di socialismo e si
sottometteva al dominio del libero mercato, libera volpe in libero
pollaio lo aveva definito Joyce. La grande borghesia ed il potere
economico facevano propri i valori civili e liberali, sostenevano la
massima estensione dell’eguaglianza formale in cambio del proprio pieno
dominio su quella reale.
Così la UE nasceva rompendo con il nucleo centrale delle
costituzioni antifasciste varate dopo il 1945. Quel nucleo che la Banca
Morgan, in un suo documento del 2013, avrebbe poi definito come
l’ostacolo ancora da abbattere per un pieno dispiegamento del mercato.
Le costituzioni antifasciste sono democratiche e sociali, non credono
affatto nella capacità di autoregolazione del mercato. Anzi esse
affermano l’esatto contrario, cioè che il mercato va controllato dal
potere pubblico, che ha il dovere di garantire l’eguaglianza sociale.
Il
ritorno, attraverso la UE, ai principi delle costituzioni liberali
contro quelli delle costituzioni antifasciste ha gettato le fondamenta
ideologiche per il riemergere in Europa della destra reazionaria e del
fascismo. Fino alla crisi del 2007 in Europa il connubio tra liberalismo
politico e liberismo economico ha funzionato, con il governo di una
coalizione politica di fatto tra partiti democristiani e conservatori e
partiti socialdemocratici. Con l’esplodere della grande crisi, con
l’impoverimento dei ceti medi e della maggioranza della popolazione,
l’equilibrio sociale e politico europeo è saltato e le forze reazionarie
hanno potuto innalzare di nuovo i vessilli del passato, nel nome del
popolo e contro i radical chic, versione moderna dei giacobini sazi di pane e vino.
A loro volta le forze liberali e di centro sinistra hanno riscoperto i
principi etici del liberalismo ottocentesco, quella sovrabbondanza
parolaia dei buoni comportamenti e dei valori verso la quale Marx
rivolgeva il più feroce sarcasmo.
Lo scontro tra liberali e reazionari ha alimentato la separazione tra
diritti civili e diritti sociali. Con i reazionari in veste popolare
che accusavano le sinistre liberali di difendere la licenza di costumi
dei ricchi, e le sinistre che accusavano le destre di volere il ritorno
al Medio Evo. Ha trionfato così la dimensione ideologica del conflitto,
in una società che, dopo aver proclamato la fine delle ideologie, si è
vista proiettata in conflitti politici fondati sulla negazione dei
fatti. Decisivo più che mai è diventato il ruolo dei mass media vecchi e
nuovi e di chi ha i soldi ed il potere per indirizzarli.
Una nuova definizione ha giustificato lo sganciamento del conflitto
politico dalla realtà, quella di “realtà percepita”. La percezione
superficiale determinata dalla ripetizione ossessiva di un tema o di un
evento sui mass media, ne definisce l’importanza politica. Così i temi
della insicurezza di fronte alla criminalità e della invasione dei
migranti, spesso uniti tra loro, hanno alimentato la percezione del
bisogno di legge ed ordine, che ha fatto risorgere la destra
reazionaria. D’altra parte la criminalizzazione della spesa pubblica e
dei diritti dei lavoratori, trasformati in privilegi, ha fatto percepire
la disoccupazione e la crisi economica come risultato della politica di
giustizia sociale del passato. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre
possibilità, siamo stati cicale ed ora paghiamo: questo il senso comune
con il quale viene affermata la funzione regolatrice della Unione
Europea.
Lo scontro tra liberali e reazionari che domina l’Europa oggi è tutto
fondato sul “percepito“, cioè su una realtà dalla quale sono state
espulse le questioni sociali ed il potere economico. Liberali e
reazionari hanno entrambi accettato la separazione tra diritti civili e
diritti sociali, confliggono sui primi, ma hanno lasciato al mercato i
secondi. Liberali e reazionari hanno due modi diversi di valutare la
globalizzazione, per i primi una specie di ballo Excelsior del
progresso, per i secondi un male per la fede e la razza. Ma entrambi in
fondo l’accettano e la considerano inevitabile, con tutta la sua
ferocia: essi divergono solo sul modo di adattarsi ad essa.
E la sinistra? All’inizio del nuovo millennio un grande movimento
radicale e di sinistra aveva proprio individuato nella globalizzazione
capitalista l’avversario con il quale misurarsi. No Global vennero
chiamati i giovani che da tutta Europa vennero a Genova nel 2001, per
subire una violentissima repressione di stato culminata con l’uccisione
di Carlo Giuliani.
Allora la sinistra stava ricostruendosi proprio contro la
globalizzazione, ma poi tutto naufragò e la sinistra divenne tifosa
della globalizzazione capitalista scambiandola con quella dei diritti.
Si esaltavano i giovani che potevano permettersi gli Erasmus e si
dimenticavano quelli, molti di più, ai quali il liberismo negava una
istruzione pubblica decente.
Così la sinistra ha regalato alla destra reazionaria la critica della
globalizzazione. La quale destra ha ringraziato del dono, che ha
utilizzato non certo per mettere in discussione il dominio del mercato,
ma per rispolverare il patriottismo ipocrita di Dio Patria e Famiglia.
Parole che han potuto essere pronunciate di nuovo in Europa senza essere
coperte dalla vergogna che meritano. La sinistra ha varato la parola sovranismo per
definire la destra neofascista, volutamente per confondere la sovranità
popolare con il fascismo. La destra ha incassato ed accusato la
sinistra di essere elitaria, inglobando in questa definizione ogni
distacco dal senso comune reazionario che la destra stessa diffonde.
Entrambe, destra reazionaria e sinistra liberale, hanno usato la
definizione dell’avversario per chiudere il proprio campo alla questione
sociale riaperta dalla globalizzazione.
Ma oggi noi non subiamo più solo gli effetti sociali negativi della
globalizzazione, ma quelli ancor più gravi della sua crisi. Lo sviluppo
globale si è fermato e frantumato. Il sistema americano è andato in
crisi. La Cina e nuove potenze economiche accrescono il loro peso nel
mondo, mentre gli USA si ritirano con minacce e guerre. Tornano i dazi.
Tutto il mondo neoliberale sul quale è stata edificata l’Unione
Europea si va esaurendo. Confusamente e contraddittoriamente il vecchio
mondo muore, ma quello nuovo fatica a sorgere ed è in questo
chiaroscuro, come scriveva Gramsci, che nascono i mostri.
Il conflitto politico tra liberali e reazionari, al quale è stata
ridotta l’Europa dalle sue classi dirigenti, diventa un elemento di
paralisi politica del continente. L’eccesso di liberismo della sinistra
liberale crea le paure sulle quali avanza la destra reazionaria e
neofascista. Poi la paura ed il richiamo degli orrori della destra
europea, fanno di nuovo avanzare i liberali. È l’alternanza delle paure,
vince quella percepita al momento come più grave. Ma tutto resta
compresso nell’assenza di reali alternative.
Fino a che il conflitto europeo fondamentale sarà tra un fronte
liberale – nel quale viene assorbita la sinistra ufficiale e che
sostiene liberismo e mercato come basi della democrazia – ed un fronte
reazionario – che unisce destre conservatrici e fasciste e che coniuga
liberismo e autoritarismo – l’Europa sarà un continente bloccato nel
passato. Dove due diversi ipocriti patriottismi, quello europeista e
quello nazionalista, concorreranno allo stesso dominio sociale.
Tocca
a una nuova sinistra il compito di sbloccare il sistema. Una sinistra
capace di rompere con le esperienze della sinistra europea degli ultimi
trent’anni e di riportare nel continente dove è nata quella parola che
la politica dominante ha espulso: il socialismo. Ovvero l’eguaglianza
sociale, la lotta contro lo sfruttamento capitalista della persona e
della natura, il controllo pubblico democratico sull’economia. Questo è
ciò che oggi è necessario per affrontare la questione sociale in
Europa, superando l’alternanza, che ci viene continuamente proposta, tra
capitalismo ottocentesco e Medio Evo. Questo è il socialismo, parola
che si ha più paura di pronunciare oggi in Europa che negli Stati Uniti.
Oggi in Europa stanno rinascendo movimenti civili ed ambientali che
pongono questioni radicali. Se questi movimenti non avranno la capacità e
la forza di giungere al nodo della questione sociale, se resteranno
alla superficie dei rapporti economici e di potere, saranno assorbiti e
sconfitti dalla macchina del "percepito".
Compagni parliamo dei rapporti di proprietà, incitò Bertold Brecht. E
oggi in Europa non si può parlare di rapporti di proprietà senza fare i
conti con l'istituzione che si è incaricata di tutelarli: l’Unione
Europea. Chi vuole uscire dal loop infinito liberalismo/reazione, ha
oggi il compito di affermare che il socialismo è necessario e che la UE
ed il socialismo sono incompatibili tra loro. Senza paura di sembrare
difensore del passato. Il passato è ciò che ci governa, il futuro è il
socialismo.
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