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12/09/2019

“Bombardo per esistere”. La strana guerra di Trump contro l’Isis

“Quando non hai una strategia bombarda qualcosa”. Sembra rispondere a questa articolazione della dottrina “bombardo per esistere”, una brutale e inutile operazione militare condotta dagli Stati Uniti in Iraq.

Aerei F-15 e F-35 statunitensi, decollati dalla base di Al Dhafra negli Emirati Arabi Uniti, hanno seppellito sotto circa 40 tonnellate di bombe l’isola di Qanus, nella provincia di Salah ad Din, a Nord di Baghdad, per interrompere la “capacità dei combattenti” dello Stato Islamico di nascondersi nella fitta vegetazione”.

Le fonti ufficiali hanno presentato l’operazione in coordinamento con un battaglione di forze speciali irachene, al quale spetta il compito di “ripulire” l’area che viene definita dalla coalizione come un “importante snodo di transito per i membri dell’Isis che si spostano dalla Siria e dal deserto di Jazira verso Mosul, Makhmur e la provincia di Kirkuk.

Ma il video diffuso a seguito del bombardamento a tappeto dell’isoletta, mostra espressioni dei volti piuttosto perplessi e riluttanti degli ufficiali iracheni che avrebbero dovuto beneficiare “sul campo” del bombardamento statunitense. Insomma una brutale azione di guerra a fini di propaganda da parte degli Usa su un teatro – quello tra Iraq e Siria – in cui l’amministrazione Usa continua a impilare azioni contraddittorie sia contro l’Isis (fino a ieri sostenuto) sia verso i governi siriani e iracheno, incluso quello della Turchia ancora formalmente “alleato nella Nato”.

“Gli sforzi degli Stati Uniti per creare una zona cuscinetto nella Siria nord-orientale sono esclusivamente di facciata”, ha dichiarato oggi ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, accusando Washington di tergiversare sull’intesa raggiunta lo scorso mese con Ankara per la creazione di una zona di sicurezza lungo il confine con la Siria ad est del fiume Eufrate controllata dalle forze curdo siriane sostenute dagli Usa ma considerate “terroristiche” dalla Turchia. “Ci sono state pattuglie comuni (di soldati statunitensi e turchi), è vero, ma gli sforzi per andare oltre si sono rivelati solo cosmetici”, ha detto Cavusoglu ai giornalisti di Ankara e riportato dall’agenzia di stampa turca Anadolu.

La Turchia ha ripetutamente minacciato un’azione militare unilaterale contro le forze curde mentre il perimetro della futura zona cuscinetto rimane ancora poco chiaro. Martedì è previsto un incontro tra alti funzionari militari statunitensi e turchi, ha dichiarato il Ministero della Difesa turco su Twitter.

Nei giorni scorsi, su pressione degli USA, le milizie curde avevano annunciato l’inizio di un ritiro parziale dalle loro postazioni a ridosso della frontiera turca a nord di Raqqa, mentre il 5 settembre forze militari turche e statunitensi hanno condotto per la terza volta in pochi giorni un pattugliamento aereo della zona frontaliera sui distretti di Ras al Ayn e Tall Abyad, tra il confine turco e la zona rurale a nord di Raqqa.

Il sostegno fin qui offerto dagli Stati Uniti alle YPG (Unità di Difesa del Popolo” curdo, in prima linea nella lotta contro i jihadisti dello Stato islamico), rimane un punto estremamente critico tra i due paesi alleati all’interno della NATO. Per la Turchia infatti, le YPG sono considerate un’organizzazione “terrorista”. Il presidente turco Erdogan dovrebbe incontrare Trump e sollevare la questione a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York prevista fine settembre.

La Siria, come noto, si oppone all’iniziativa di Ankara, impegnata a sostenere i ribelli qaedisti e milizie filo-turche asserragliati nel nord della provincia nord-occidentale di Idlib, e considera la “zona di sicurezza” invocata dalla Turchia come un’invasione legittimata da altri invasori, i militari anglo-franco-americani della Coalizione la cui presenza in territorio siriano, al pari di quella turca, non è legittimata dal diritto internazionale né da risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

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