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12/09/2019

Catalogna - La “Diada” rivendica la ripresa della mobilitazione indipendentista


Ieri si è celebrata la Diada (la Giornata della Catalogna) del 2019, caratterizzata dall’avvicinarsi della sentenza della Corte suprema contro leader politici e attivisti perseguiti e in carcere per aver organizzato il referendum il 1 ° ottobre 2017 sull’indipendenza della Catalogna.

La manifestazione di circa 750 mila persone, convocata mercoledì a Barcellona dall’Assemblea Nazionale Catalana (ANC), è diventata un buon termometro per verificare che, nonostante le grandi differenze ancora esistenti nella leadership indipendentista, la base ha risposto bene e al di sopra dei contrasti nella ledarship.

Per questo motivo, le centinaia di migliaia di catalane e catalani che hanno riempito la piazza hanno nuovamente richiesto la Repubblica Catalana ed hanno insistito sul fatto che tutta la mobilitazione deve avanzare verso l’indipendenza.

“Le persone non falliscono mai.” È stato uno dei proclami più ascoltati nella manifestazione di indipendenza della Diada. Una visione condivisa da migliaia di manifestanti che esprime allo stesso tempo un rifiuto dell’escalation di contrasti nei partiti politici indipendentisti.

In una intervista, un esponente dell’organizzazione della sinistra indipendentista Endavant (aderente alla Cup, ndr) spiega che in questa nuova fase assistiamo a un doppio fenomeno: “Un aumento delle perplessità all’interno dell’indipendentismo sul ruolo e la strategia giocati da ERC e PDeCat e allo stesso tempo un mantenimento dei buoni risultati elettorali di questi partiti. Anche se sembra contraddittorio, non lo è”. Di fronte alla minaccia di un governo autonomo sotto il controllo del governo di Sanchez, o alla constatazione che se lo Stato si indebolisce non si va oltre ciò che è stato fatto, la base sociale dell’indipendenza continua a sostenere massicciamente la sovranità del governo, sostengono i militanti di Endavant. “Resta da vedere se le invenzioni politiche li supporteranno. Le sentenze stanno arrivando, stanno sostenendo il PSOE in cambio di niente, lo Stato non ha nulla da negoziare e potrebbe arrivare un’altra crisi sociale ed economica”.

Ad un certo momento alcune centinaia di manifestanti si sono avvicinati al palazzo della Generalitat presidiato da un forte dispositivo di sicurezza con diversi furgoni della polizia e un perimetro di recinzioni metalliche che circondava l’edificio. Alcuni giovani manifestanti hanno lanciato recinzioni e fumogeni contro gli agenti ed alcune bandiere spagnole sono state bruciate. Ci sono stati diversi momenti di tensione tra gli agenti antisommossa e i manifestanti che premevano contro la zona rossa.

Lo slogan dell’ottava grande mobilitazione per l’indipendenza lanciata dall’ANC – con il sostegno di Omnium Cultural e dell’Associació de Municipis per l’Indepenència – aveva puntato la Diada su un luogo centrale, la Plaza Espanya, che rappresenta l’Obiettivo cioè l’indipendenza che è stato lo slogan della manifestazione. La piazza centrale è stata raggiunta da sei diverse strade per rappresentare le diverse sensibilità della sovranità. In breve, l’unità strategica è stata rivendicata in tutti i discorsi.

“Non vogliamo una unità qualsiasi, vogliamo l’unità per l’obiettivo comune dell’indipendenza”, ha proclamato la presidente dell’Assemblea, Elisenda Paluzie. La leader dell’ANC ha ammesso che questo 11 settembre è la sua manifestazione “più difficile” poiché, due anni dopo il 1 Ottobre 2017, “non solo non si è avanzati, ma ci sono stati passi indietro e il referendum è stato delegittimato”.

“Non disarmateci” è stata l’invocazione della Paluzie ai partiti indipendentisti. “Siamo consapevoli dei sacrifici e delle difficoltà, abbiamo imparato dagli errori e non fissiamo più le scadenze, sappiamo che dobbiamo rafforzarci, però fatelo anche voi”, ha continuato dal palco principale situato nell’avenida Maria Cristina nella quale questa volta non esisteva una zona riservata per i rappresentanti dei partiti politici e per i rappresentanti di governo e parlamento.

A sua volta, il vice presidente di Omnium, Marcel Mauri ha definito la mobilitazione come “un grido di autostima collettiva”. La sua organizzazione, ha fatto appello alla “forza dell’80%” che “spinge verso l’autodeterminazione”.

“Quando l’ingiustizia è la legge, la disobbedienza civile è un diritto”, ha continuato, citando il prigioniero politico Jordi Cuixart di fronte a una sentenza della Corte suprema “che cercherà umiliazione e vendetta”. Detto questo, ha concluso con lo slogan di Cuixart che si sta diffondendo tra gli indipendentisti: “Lo faremo di nuovo, se saremo condannati per l’esercizio dei diritti fondamentali e la difesa della democrazia, di cui nessuno dubita, lo faremo di nuovo”.

Da parte sua, il presidente dell’Associazione dei Comuni, Josep Maria Cervera, ha garantito che “il mondo delle entità locali ci sarà” quando si tratterà di rispondere a una sentenza contro cui ha sottolineato la “necessità” di tessere una strategia unitaria.

L’atto è stato chiuso con l’inno “Els Segadors”, cantato da centinaia di migliaia di voci, creando e diffondendo una enorme emozione nella gente concentrata nella piazza. Poi c’è stata un’azione che non era prevista nel programma ufficiale: dalle torri veneziane di María Cristina Avenue, due grandi striscioni verticali sono stati srotolati a sostegno della campagna “Tsunami Democratico”, presentata due settimane fa per organizzare la risposta alla sentenza nel processo contro i leader che organizzarono il referendum del 1 ottobre 2017.

La manifestazione indipendentista della Diada ha contribuito a mettere in scena l’unità delle forze. Ce n’era un grande bisogno ampiamente manifestato dalla base, soprattutto per affrontare la sentenza del processo ai leader e ai prigionieri militanti che la Corte Suprema annuncerà prima del 16 ottobre.

Il presidente della Generalitat, Quim Torra, ha fatto riferimento a questo, pochi minuti prima dell’inizio della mobilitazione. “Oggi si chiude una fase e si comincia a preparare una risposta, mettendo l’indipendenza oggettiva al centro dell’azione politica”, ha sottolineato. A differenza dell’anno scorso, l’attenzione centrale non è stata rivolta ai “prigionieri politici e agli esiliati” allora rivendicati, ma al diritto all’autodeterminazione, che ha chiesto non solo di difendersi, ma di esercitarsi nuovamente.

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