18/03/2020
Come stalker sul ciglio della strada. Nemici vecchi e nuovi nella pandemia
“Che cos’è stato? La caduta di un meteorite? La visita di alieni? Sta di fatto che nel nostro piccolo paese è comparso uno straordinario prodigio: la Zona. Vi abbiamo mandato subito dei soldati. Non sono tornati. Allora abbiamo circondato la Zona con un cordone di polizia… E probabilmente abbiamo fatto bene. Del resto, non lo so, non lo so”.
Andrej Tarkovskij, Stalker
In Picnic sul ciglio della strada (1972), di Arkadij e Boris Strugackij, si racconta di una visita di esseri alieni sulla Terra: tredici anni prima delle vicende narrate nel romanzo, appaiono improvvisamente manufatti di origine extraterrestre in sei punti del pianeta, disposti lungo una curva (come se gli alieni avessero fatto un picnic lungo la Via Lattea, lasciando i rifiuti). Fra queste zone vi è l’immaginaria cittadina di Marmont, dove il romanzo è ambientato. Nei luoghi visitati dagli alieni sono rimasti in gran quantità residui tecnologici, di natura sconosciuta ai terrestri e, in diversi casi, pericolosi, tanto che quegli stessi luoghi, chiamati “Zone”, sono stati recintati e sorvegliati continuamente dalla polizia e dall’esercito. In essi possono avventurarsi solamente gli “stalker”, veterani esperti e contrabbandieri che vi entrano, di nascosto e a rischio della propria vita, per portare all’esterno oggetti da rivendere a caro prezzo. Il protagonista del romanzo è Redrich Schuhart, detto “Roscio”, uno dei più abili stalker di Marmont, il quale accompagna anche, dietro compenso, dei visitatori nella “Zona”, nel tentativo di raggiungere una fantomatica sfera dorata che avrebbe il potere di realizzare tutti i desideri.
Nel 1979, il regista Andrej Tarkovskij ha tratto un film dal romanzo dei fratelli Strugackij, dal titolo Stalker. Il film si allontana dalla trama del libro per intraprendere un percorso personale: tutta la vicenda si dipana infatti in un unico, lungo viaggio all’interno della “Zona”, nel quale lo stalker accompagna due personaggi, uno scrittore e uno scienziato, nel tentativo di raggiungere la “stanza della felicità”, un luogo dove, come di fronte alla sfera dorata del romanzo, verrebbero esauditi tutti i desideri.
Lo stalker (dall’inglese to stalk, che significa anche “avanzare silenziosamente”), sia nel romanzo sia nel film, si muove con circospezione, cerca di evitare trabocchetti mortali, ambienti contaminati e pericolosi. Continuamente all’erta, continuamente in ansia.
Percorrere un tratto di strada a piedi, oggi, semplicemente per andare a fare la spesa, è diventata quasi un’impresa da stalker. Muoversi in uno spazio esterno si è trasformato in uno sforzo sovrumano, ai limiti della legge, all’interno di quella grande “zona” recintata e sottoposta a controllo che è diventata l’Italia intera. Chi si incontra per strada si lancia sguardi malevoli, si allontana spostandosi dal marciapiedi sulla strada o viceversa per mantenere la distanza di “almeno un metro dalle altre persone”, come prescrive la legge.
Dall’oggi al domani, ci siamo trovati proiettati all’interno di una distopia quotidiana nella quale è stato identificato un nuovo nemico: colui che esce di casa apparentemente senza motivo (senza considerare il fatto che molte persone devono recarsi al lavoro). Quest’ultimo diventa il nuovo capro espiatorio, il ‘diverso’, il possibile “untore” che va eliminato. Si accentua insomma in forma iperbolica la profonda dicotomia fra stanziali e nomadi che ha da sempre caratterizzato la società umana. Non è un caso, poi, che il nomadismo possieda in sé degli elementi sovversivi e perturbatori dell’ordine costituito. Basta ricordare la “macchina da guerra nomade” di cui parlano Deleuze e Guattari in Mille Piani: essa, muovendo dallo “spazio liscio” del deserto, conduce il suo attacco allo “spazio striato” e stanziale della città. E non è neppure un caso che una delle figure sociali più odiate nella contemporaneità sia proprio quella del “nomade”, parola che va a coincidere spesso con “rom” o “zingaro” (soprattutto nei titoli dei giornali, quando leggiamo dei “nomadi che rubano” o “che vengono bloccati dalla polizia”, ecc.).
Chi è fuori, all’esterno, chi si muove, cammina e si sposta è diventato un vero e proprio nomade pericoloso per gli ‘stanziali’. Del resto, il capro espiatorio, nella società, è sempre stato un “soggetto debole” (uno straniero, un immigrato, un ‘diverso’). Secondo René Girard, nelle società antiche, il capro espiatorio è sempre stato scelto fra “esseri che non appartengono affatto, o ben poco, alla società, i prigionieri di guerra, gli schiavi, il pharmakós”.
Inutile dire che la caccia all’untore (il “dagli all’untore” di manzoniana memoria) si propaga anche in quegli spazi virtuali in cui tutti ci offriamo volontariamente e beatamente al controllo: i cosiddetti “social”. Tutti sono diventati virtuali paladini dell’ordine e della salute, pronti a denunciare una eccessiva presenza di persone in fila al supermercato o i vicini di casa per presunti ospiti a cena, fino a richiedere l’intervento dell’esercito (non sto scherzando) o a lanciare offese contro i detenuti che hanno osato ribellarsi (“ma come, io devo stare a casa e loro che, per di più, sono anche delinquenti osano protestare…”). Si profila una nuova, tecnologica e virtuale caccia alle streghe.
E comunque, se non abbiamo del tutto disimparato a pensare siamo anche capaci di distinguere, in un fenomeno, la causa dall’effetto. All’interno di questo grande fenomeno tragico che ci troviamo malauguratamente ad affrontare, la causa è la propagazione del virus. Per evitarla è assolutamente necessario assumere un comportamento rispettoso delle norme che, a loro volta, rappresentano un rispetto per se stessi e per gli altri. Ne va veramente della vita.
L’effetto è la società distopica e controllata, piena di ansia e di paura, di timore per l’altro, di odio pervasivo e diffuso. Se, per un attimo, ci astraiamo dalla causa per cui sta avvenendo tutto questo, ci ritroviamo sotto gli occhi uno stato di cose, il quale può essere determinato da diverse cause scatenanti (non per forza da quella reale del virus).
C’è da augurarsi che questo stato di cose duri soltanto nel periodo dell’emergenza, che non continueremo a spostarci quotidianamente come stalker sul ciglio della strada, impauriti da controlli e delazioni. Come scrive Michel Foucault in Sorvegliare e punire, sopra la città sottoposta a una quarantena per la peste, nel XVII secolo, si distende il sogno del potere politico di un perfetto governo e controllo: La città appestata, tutta percorsa da gerarchie, sorveglianze, controlli, scritturazioni, la città immobilizzata nel funzionamento di un potere estensivo che preme in modo distinto su tutti i corpi individuali – è l’utopia della città perfettamente governata.
Un’utopia per il potere, una distopia amara per noi.
Riferimenti bibliografici:
Gilles Deleuze, Félix Guattari, Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, trad. it. Castelvecchi, Roma, 2010.
Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, trad. it. Einaudi, Torino, 1993.
René Girard, La violenza e il sacro, trad. it. Adelphi, Milano, 1980.
Fonte
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