Primarie Usa 2020: il Super Tuesday ha visto prevalere, seppur di poco, Joe Biden nei confronti di Bernie Sanders grazie dell’appoggio dei due candidati Democratici “civetta” che si sono ritirati: Pete Buttigieg e Amy Klobuchar. Peraltro anche Elisabeth Warren, dopo l’ennesima batosta, si è subito precipitata ad annunciare che farà la stessa cosa. Ordine di scuderia.
Tuttavia, Bernie Sanders è riuscito ad aggiudicarsi il potente stato della California e, grazie al gran numero di delegati che ha ottenuto, resta saldamente incollato a Joe Biden dal quale lo separano soltanto poche decine di delegati.
E con il successivo ritiro dalla competizione di Mike Bloomberg, si sta completando la manovra di isolamento, avviata dall’establishment democratico, dell’unico candidato non condizionato dalle grandi lobbies che tengono ben salde le redini dei vertici del partito.
Secondo Alan Friedman “solo Joe Biden può battere Donald Trump anche perché gli statunitensi sono spaventati dalla proposta di #BernieSanders di rendere universale la copertura assicurativa sanitaria”. Un’affermazione apodittica, sparata, ieri sera, nel corso di un TG nazionale, in prima serata, senza che Friedman si sia minimamente preoccupato di fornire alcun dato a supporto della sua tesi (evidente di per sé?) con il giornalista in studio che, peraltro, non gli ha fatto nessuna domanda.
Insomma, un vero e proprio comizio pro-Biden. Poco più tardi, su #La7, Andrea Purgatori, nel corso della sua trasmissione “Atlantide”, intervistava Furio Colombo chiedendogli, innanzitutto, un parere sul “carattere velleitario del programma di Sanders” e l’ex corrispondente dagli USA de La Stampa e di Repubblica, per tutta risposta, ha accusato il settantottenne senatore del Vermont, di “giovanilismo”(!) per poi infilare un pippone agiografico sulle grandi doti del moderato Biden e sulle sue grandi chances di vittoria nel confronto con Trump. Anche qui, nessuna argomentazione né il minimo accenno a qualche ricerca o dato che avvalori una tale ipotesi.
Eppure sul New York Times, appena qualche giorno fa, si spiegava come la maggior parte delle prove empiriche disponibili mostra non solo che #BernieSanders ha già sconfitto il presidente Trump nel voto popolare nazionale e negli stati critici del Midwest che hanno avuto l’ultima parola al Collegio elettorale nel 2016, ma anche che “...le sue specifiche forze elettorali si allineano ai cambiamenti nella composizione della popolazione del paese in modo che queste ultime potrebbero effettivamente renderlo un formidabile nemico per il presidente in carica.”[1]
Allora la domanda è: quanta paura hanno i democratici di Sanders? Di sicuro tantissima, fino al punto di accettare di rischiare seriamente di rimettere nelle mani di Trump un secondo mandato.
Certo, ora che si è ritirato, il tycoon Michael Bloomberg (da ex sindaco di New York razzista e sessista discriminatore di donne conclamato) farà, ovviamente, una campagna feroce a favore di Joe Biden a suon di miliardi di dollari e canali televisivi spianati esattamente così come fece quattro anni fa a ridosso dello scandalo per le email di Hillary Clinton annunciandole il pieno sostegno nel bel mezzo della convention del luglio 2016. E così anche tutto l’establishment democratico che conta si prepara, anche questa volta, alla resa dei conti finale con il “vecchio” leone socialista.
Non gli è bastata la sconfitta di Hillary Clinton alle elezioni presidenziali del 2017 causata, né più, né meno, dalla stessa ottusa e pervicace ostilità “democratica” nei confronti di colui che, ora come allora, è ancora indicato come l’unico candidato in grado di battere Donald Trump: Bernie Sanders. Allora, per farlo fuori, si spinsero oltre ogni limite, tanto che, alla convention democratica del luglio 2016 che doveva designare il candidato del partito alle elezioni presidenziali, arrivarono perfino a truccare i risultati delle 55 contee determinanti per la designazione in cui Sanders aveva stravinto.
A ciò si aggiunse, poi, il voto unanime dei superdelegati (funzionari) del partito a favore della Clinton, in spregio totale alla volontà – e al voto – dei cittadini che avevano scelto in massa Sanders. Uno schifo che provocò la delusione e la spinta verso l’astensione alle elezioni presidenziali del gennaio 2017 di tantissimi sostenitori di Sanders.
Ed anche stavolta i superdelegati democratici sono disposti a danneggiare il proprio partito pur di fermare Bernie Sanders. Dozzine di interviste con i leader dell’establishment democratico dimostrano che non sono solo preoccupati per la candidatura di #BernieSanders, ma che sono anche disposti a perdere pur di interrompere la sua corsa alla nomina alla convention nazionale di luglio.
Dalla vittoria di Sanders nei caucus del Nevada sabato, il New York Times ha intervistato 93 funzionari del Partito Democratico – tutti superdelegati del partito – ed ha riscontrato un’opposizione schiacciante a consegnare la nomination al senatore del Vermont se quest’ultimo riuscisse ad arrivare con il maggior numero di delegati senza però raggiungere la maggioranza. Una situazione del genere può sfociare in una convenzione di mediazione: una disordinata battaglia politica che i democratici non vedono dal 1952, quando il candidato era Adlai Stevenson.[2]
Ora capite come nascono (e vincono) i Trump?
Note:
[1] “Bernie Sanders Can Beat Trump. Here’s the Math. Most available evidence points in the direction of a popular vote and Electoral College victory.“, Steve Phillips New York Times del 28/02/2020
[2] “Democratic Leaders Willing to Risk Party Damage to Stop Bernie Sanders. Interviews with dozens of Democratic Party officials, including 93 superdelegates, found overwhelming opposition to handing Mr. Sanders the nomination if he fell short of a majority of delegates”, New York Times del 02/03/2020
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento