La seconda parte della relazione annuale del “Documento sulla Sicurezza Nazionale” è dedicato soprattutto alle minacce informatiche e alla cyber sicurezza, un dossier che da tempo i servizi segreti seguono con molta attenzione e che sta portando anche ingenti finanziamenti statali su questo fronte.
Secondo quanto riportato nel documento presentato al Parlamento dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), “...la presenza di aziende cinesi – come Huawei e ZTE – nelle infrastrutture strategiche delle telecomunicazioni italiane va valutata con attenzione...”.
La loro presenza nelle attività di installazione/realizzazione delle infrastrutture delle reti 5G giustifica la forte preoccupazione sugli standard di sicurezza per la tutela della sicurezza nazionale, delle imprese di interesse strategico nazionale e dei cittadini.
È evidente come, dopo anni di predominio nel settore ICT dei player USA, la evidente preponderanza delle aziende cinesi si ripercuote pesantemente sui fragili equilibri geopolitici dovuti alla crisi economica-commerciale in atto.
In questo scenario l’Europa si presenta come un vaso di coccio, fragile e non in grado di competere adeguatamente con i colossi cinesi e USA, non possedendo né un apparato tecnologico, né un player digitale non solo sulla tecnologia 5G ma anche sui cavi sottomarini, dove transita il 99% di tutto il traffico internazionale voce e dati, oltre alla gestione dei cloud e alla cybersecurity.
Il controllo e il potenziamento delle infrastrutture diretta/indiretta delle ICT saranno sempre di più fondamentali in termini di sicurezza nazionale e protezione dei dati, tramite il potenziamento della capacità di archiviazione, elaborazione e trasmissione dati.
Agenzie specializzate nel settore stimano che a livello globale si potrebbero raggiungere i 750 miliardi di dollari di spesa per il 2020, per non parlare dell’area dei servizi e applicazioni, che potrebbe raggiungere un tasso di crescita medio annuo dell’11,1% fino al 2023.
Mai come in questo caso, nel panorama europeo degli attuali player di telecomunicazioni e non solo, il ruolo dell’Italia risulta essere marginale complici le operazioni di “privatizzazione” realizzate in funzione clientelare.
Una situazione quella italiana molto preoccupante, tenuto conto delle dichiarazioni perentorie rilasciate dalla Presidente della Commissione Ue Ursula von Der Leyen al forum di Davos: “La priorità dell’Europa è l’autonomia strategica e la sovranità digitale”.
Sulla stessa lunghezza d’onda le dichiarazioni del ministro delle finanze finlandese Katri Kulmuni che ha infatti affermato “... è necessario rendere il nostro continente meno vulnerabile e ridurre la dipendenza da quelle poche aziende che forniscono i sistemi informatici più adoperati anche in Europa”.
Punta all’autarchia informatica l’Unione Europea o, per lo meno, pensa che dovrebbe farlo: “Il rischio maggiore che dovremo affrontare in futuro” ha spiegato Kulmuni – “è la possibilità di interferenze nemiche tramite la gestione delle reti informatiche e dei dati. I concorrenti statunitensi e cinesi sono più avanti di noi”.
In attesa che questo si realizzi la Germania della cancelliera Angela Merkel ha realizzato prontamente una rete di sistemi cloud (Gaia-X), fisicamente collocato sul proprio territorio, per smarcarsi dal controllo di giganti statunitensi e cinesi come Amazon, Microsoft, Google e Alibaba. Si baserà su tecnologie sviluppate dai campioni industriali tedeschi Sap, Deutsche Telekom e Deutsche Bank e sarà attivata entro la metà del 2020. Dovrà rappresentare un’infrastruttura per i dati per l’Europa “potente, competitiva, sicura e affidabile”.
Contrariamente a quanto avviene in Italia, basta vedere l’accordo fra Tim e Google, passando per le molte piattaforme universitarie esternalizzate a Google, che vuol dire esporre quotidianamente il nostro sapere al furto, in cambio di un servizio gratuito.
Per quanto ci riguarda, il tema della sicurezza delle TLC è ancora più delicato tenuto conto che TIM, principale player italiano delle telecomunicazioni, controlla Telecom Sparkle, ovvero il traffico dati che transita dai cavi del “Mediterraneo”, attualmente controllata dai Francesi di Vivendi con il 23,68% e Elliott Management Corporation, società statunitense, con il 9%.
Proprio sul territorio libico passano e passeranno i preziosi cavi delle telecomunicazioni dove sono collocate le centrali di raccordo. Ed è per questo che la Libia ha attratto l’attenzione di Francia, Usa, Egitto e Russia. Uno scenario che, al solito, vede l’Italia ai margini.
Sarà interessante capire come il Governo Italiano intenda muoversi alla luce della crescente capacità tecnologica dei principali operatori del settore americani, cinesi e comunitari, sia in termini finanziari che industriali, oppure se circoscriverà la sua azione all’utilizzo della Golden Power in funzione di protezione del patrimonio economico, scientifico e industriale del Paese.
Oggi più che mai i settori strategici, come le infrastrutture e le tecnologie di telecomunicazione, sono al centro della discussione politica con l’obiettivo di contenere, se non fermare, possibili acquisizioni, aggregazioni e joint venture che possano giungere da aziende anche di altri Stati europei che puntano ad impossessarsi di tecnologie chiave in settori strategici comprando le società che li producono.
In via informale, i ministri UE hanno già concordato il Cybersecurity Act, che prevede la certificazione di infrastrutture critiche come reti idriche, energetiche e sistemi bancari, ma sono opzionali e su base volontaria. Entro il 2023 la Commissione Europea deciderà se renderle obbligatorie.
La sempre maggiore integrazione delle economie e dei mercati a livello globale potrebbe suggerire possibili aggregazioni a livello europeo dei principali player del settore che permettono un’efficace mitigazione dei rischi al fine di progettare e implementare le reti 5G in modo sicuro in tutta Europa.
Si sta inoltre pensando di mettere a fattor comune l’ipotesi di far confluire in cloud, sotto la giurisdizione Ue, la gestione delle infrastrutture critiche dei dati delle imprese pubbliche e private, sanità e università, in maniera tale da non temere imprevisti impedimenti di servizi, di gestione, di controllo o di perdita di dati attualmente accessibili ai colossi tech statunitensi e cinesi che li usano a loro piacimento per trarne profitto.
Al momento, come sappiamo, in Europa le posizioni sono molteplici non solo tra Stato e Stato, ma anche tra vari politici dello stesso governo.
In linea di massima però le posizioni sono due, la prima seguire gli avvertimenti degli Stati Uniti, secondo cui esiste il rischio che Huawei compia atti di spionaggio attraverso i propri equipaggiamenti, oppure fidarsi di Huawei, che ribadisce di non aver alcuna intenzione di farlo.
Il problema sono le sfumature, i dettagli e le posizioni intermedie.
Se non si trova un accordo, dice la Merkel, l’esito potrebbe essere disastroso non per la Cina, ma per l’Europa. Lo scontro di vedute, in linea di massima, è tra Berlino e Parigi: prima dovranno mettersi d’accordo queste due parti, sempre secondo Merkel, e poi estendere la conversazione al resto dell’Europa.
Questo quadro evidenzia la sostanziale irrilevanza dell’Europa a livello tecnologico, ancora peggio da noi in Italia dove ancora non si scioglie il nodo della governance di TIM.
Nel quadro di una resa ai meccanismi perversi di quella che è stata definita “globalizzazione” e dei processi dirompenti di finanziarizzazione dell’economia, “l’Italia si presenta senza un progetto industriale sulle prospettive dell’economia italiana”.
“repetita juvant”
È tempo di riportare l’infrastruttura delle TLC e di TIM in mani pubbliche per una gestione che garantisca l’interesse generale, la democrazia nella rete e l’indipendenza della politica industriale.
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