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09/02/2022

La pianificazione ci salverà…

“Il nucleo di giganti situati al comando della rete di capitale non muta granché, nemmeno dopo la crisi.. ( cominciata nel 2007).. Da JP Morgan a Exxon, da Nissan a S1 Corp, e giù fino alle persone fisiche, tra cui Bezos, Utemuratov, Buffet, Bolloré e altri, i massimi detentori delle quote di controllo del,capitale mondiale sembrano resistere piuttosto bene alle trasformazioni dell’economia e ai continui sommovimenti del mercato...

I proprietari che escono vincitori dal meccanismo della centralizzazione somigliano sempre più ad un club esclusivo e sclerotizzato, in cui è tanto difficile entrare quanto uscire. Una nuova oligarchia capitalistica.”


È la “Democrazia sotto assedio”, come titola il bel libro dell’economista (marxista... non credo che si offenda per questa mia definizione) Emiliano Brancaccio.

Questo assedio alla democrazia liberale occidentale viene dal suo stesso cuore, il capitalismo. Che al di là della ideologia ufficiale che lo presenta come il “regno della concorrenza e delle possibilità”, sta sempre di più diventando un sistema guidato da pochi poteri di fatto monopolistici.

Non è “il complotto” di qualche miliardario che vuole impadronirsi del mondo assieme ai rettiliani. I complottisti, scrive Brancaccio, dicono sciocchezze o banalità, persino inferiori alla realtà.

La realtà è che l’80% dell’intero patrimonio azionario mondiale è in mano a solo il 2% degli azionisti. Questo non è un complotto, ma una legge del sistema che si può comprendere con la scienza.

Tutto il libro è percorso dalla rivendicazione della critica scientifica al sistema capitalista, che naturalmente non cancella quella morale, ma la sostiene e la fa scendere dai cieli delle buone intenzioni alla dinamica delle contraddizioni reali.

È chiaro perché gli economisti ortodossi che diffondono l’ideologia liberista dominante sfuggano al tema scientifico di definire leggi e tendenze generali del capitalismo come sistema. Perché in questo modo il capitalismo assumerebbe tutti i confini ed i limiti delle costruzioni umane, sarebbe compreso come una fase della storia umana, che come le precedenti può avere la sua conclusione, il suo superamento.

“C’era la storia, ora non c’è più“, diceva Marx ironizzando sugli economisti ortodossi della sua epoca, per i quali il capitalismo non era una formazione sociale storicamente definita e definibile, ma la gloriosa ed eterna conclusione dell’evoluzione umana.

Marx non sapeva che nel 1992, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, uno pseudo-filosofo liberista, Francis Fukuyama, avrebbe proclamato seriamente e senza tema di ridicolo “la fine della storia”.

Paradossalmente invece, ci spiega Brancaccio, proprio il crollo dell’avversario socialista ha tolto i freni al dilagare del capitalismo più brutale, con tutte le sue leggi e contraddizioni di sistema.

La principale è che più cresce, più il capitalismo è costretto a smentire il suo punto di partenza, quello della libera concorrenza, della mano invisibile di Adam Smith, ove l’egoismo e l’interesse di ogni imprenditore finisce magicamente per realizzare l’interesse di tutti.

Certo, sul piano morale un sistema che giustifichi la pirateria individuale con agente del bene collettivo scricchiola alquanto, e alla luce della crisi climatica attuale sembra pura follia.

Ma la realtà è che il sistema capitalista più cresce, più nega la sua premessa con la progressiva centralizzazione del potere sulla ricchezza e sugli affari. Il capitalismo è guerra civile tra imprenditori, è Highlander, alla fine solo pochi resteranno al comando.

La centralizzazione capitalistica è un legge del sistema già scoperta da Marx di cui Brancaccio verifica scientificamente, numeri alla mano, la realizzazione oggi.

La crisi della globalizzazione esplosa nel 2007, e poi gli effetti economici e sociali della gestione occidentale della pandemia, hanno accelerato la centralizzazione e la concentrazione di potere capitalista. Rispetto alla quale “i proclami e le regole anti trust dei governi e della UE sono come i fischi di un vigile urbano messo all’inseguimento di un serial killer“, scrive Brancaccio riprendendo Galbraith.

Anche negli economisti ufficiali più attenti comincia a comparire la convinzione che il sistema capitalistico mondiale si stia avviando ad una crisi pesantissima.

Brancaccio interloquisce con Blanchard, ex direttore del FMI, e con Acemoglu, uno degli studiosi oggi più seguiti, e con loro si misura non solo sull’analisi, ma su come affrontare la realtà. E anche quegli economisti riconoscono la gravità della crisi e le nubi che si addensano, di cui come sempre i venti di guerra sono un terribile avviso.

Ma qui si sente tutta la difficoltà, persino la disperazione, di chi non può proporre una vera uscita dalla crisi di sistema perché non riconosce il sistema.

La pianificazione economica e sociale il ritorno del potere pubblico nell’indirizzare e guidare le scelte di fondo, la priorità dell’eguaglianza sociale, sono queste le necessità democratiche per impedire che la democrazia sia semplicemente in mano ad un ristretto club di miliardari.

Questo è ciò Brancaccio individua come necessario. È il ritorno del socialismo? Certo ma con la consapevolezza acquisita dalla conclusione dell’esperienza sovietica. Del resto la Cina, pur con tutte le sue contraddizioni, mostra nuove vie per la pianificazione, e se i ricchi paesi dell’Occidente liberale scegliessero questa via, altre scoperte, altri strumenti sarebbero sicuramente trovati.

Qui c’è però il nodo politico attorno a cui si aggroviglia la crisi economica. La democrazia sotto assedio ha visto esaurirsi al suo interno le alternative politiche reali. Democratici e repubblicani, centrosinistra e centrodestra, tecnocratici e populisti si scontrano e maledicono. Ma alla fine fanno tutti da anni le stesse politiche. E in Italia con Draghi governano assieme.

Brancaccio non si nasconde certo la realtà di una democrazia sottomessa alla centralizzazione capitalista e svuotata al suo interno da classi politiche selezionate solo per assecondare le tendenze del sistema. Anni e anni di subalternità della sinistra all’ideologia neoliberale hanno prodotto subalternità sia alla tecnocrazia, sia al complottismo populista, entrambi strumenti e falsa coscienza della centralizzazione capitalista.

Per ricostruire il blocco sociale degli oppressi e degli sfruttati, che sono la grande maggioranza oggi, bisogna prima di tutto affermare l’indipendenza del suo punto di vista. Da lì si parte per ricostruire capacità di azione e alternative nella politica, sia sul piano interno sia su quello internazionale.

Certo non è semplice, ma la scienza critica alla quale faceva sempre rifermento Marx può porre la basi della nuova impresa.

La pianificazione economica e sociale ci salverà, ma non come elaborazione a tavolino di pochi illuminati, bensì come movimento reale. Quello che in una celebre frase di Marx “abolisce lo stato di cose presente“.

Ecco, il libro di Emiliano Brancaccio ci dà idee e argomenti per costruirlo quel movimento, è la scienza che sostiene le necessità della lotta. Il resto è compito nostro.

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