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03/05/2022

Il campo pacifista squarcia l’ipocrisia dei guerrafondai

Pare essere riuscita oltre le aspettative la manifestazione “La Pace Proibita” messa in piedi lunedì sera a Roma da Michele Santoro e Vauro Senesi. Non solo c’era il pienone nella sala del Teatro Ghione ma ci sono state migliaia e migliaia di persone hanno seguito l’iniziativa sui mass media che si sono resi disponibili (tra cui il nostro giornale e con ottimi risultati).

Coordinati da un Michele Santoro che ha ritrovato la grinta degli anni migliori, sul palco e in alcuni video si sono alternate personalità della cultura, del giornalismo e dello spettacolo che hanno deciso di opporsi e spezzare l'irricevibile ipocrisia del fronte guerrafondaio (maggioritario in Parlamento ma minoritario nel paese) che sta facendo di tutto per costruire consenso intorno al trascinamento dell’Italia nella guerra in Ucraina di Usa e Nato contro la Russia.

Una operazione di consenso alla guerra, però, niente affatto riuscita – diversamente che nella guerra in Jugoslavia nel 1999 – e contro la quale mano a mano un “campo” si sta dando strumenti di espressione e di rappresentanza a fronte della blindatura imposta dalla Nato, dal governo Draghi e da un parlamento servile.

L’immagine della guerra “giusta”, ma anche dell’Ucraina sdoganata come paese “libero e democratico” mentre così non è affatto, è uscita demolita nelle tre ore di interventi dal palco. Emblematica la scelta di ricordare la strage di Odessa e la crescita di un bubbone neonazista in paese che vuole entrare nella Ue.

Le parole di Gino Strada lette da Elio Germano e le valutazioni illuminanti del gen. Mini (al quale ha prestato la voce Massimo Wertmuller), hanno aperto una serata nella quale sono state declinate in modi anche diversi le ragioni per opporsi ad una guerra che rischia di diventare permanente, devastante, totale per gran parte del mondo, o meglio, sicuramente per quella parte di mondo – l’Europa – nella quale viviamo e agiamo politicamente.

Sulla percezione di questa minaccia assistiamo a declinazioni diversificate ma inevitabili in un “campo largo pacifista”, come chi ha invocato una Europa fin troppo mitizzata ma smentita dai fatti, o una dimensione totalmente etica della pace contrapposta alla guerra che ne depotenzia la natura politica, ma questo è inevitabile quando si tratta di gettare in campo ogni risorsa possibile per fermare la guerra ora!

Abbiamo avuto occasione di apprezzare ancora una volta la schiettezza piena di contenuti di Moni Ovadia e, nuovamente, le parole di Vian nella canzone “Il disertore” affidate a Fiorella Mannoia o le illuminanti storie orali di Ascanio Celestini.

Ma dobbiamo ammettere che l’intervento che meglio di altri ha colto il senso della battaglia “sulle parole della guerra” che si conduce sul fronte mediatico è stato quello Sabina Guzzanti che ha decostruito in modo magistrale la “propaganda”. Conosce l’argomento, il mestiere e i suoi retroscena e ne ha pagato anche il prezzo, come molti degli ospiti del Teatro Ghione.

Una buco che ci sentiamo di sottolineare è che Santoro ha segnalato un po’ troppo frettolosamente la vicenda di Julian Assange, che nel contesto avrebbe meritato più spazio, così come i portuali di Genova ai quali è stato riservato solo un meritato saluto dal pubblico ma che avrebbe avuto più senso far parlare dal palco per quello che rappresentano come indicazione al paese. E poi spazio alla Clancy ma De Magistris solo nel pubblico. Insomma qualche sovraesposizione e qualche sottoesposizione di troppo.

Ma, come direbbe Mao, quando gli elementi positivi sono superiori a quelli negativi occorre saper apprezzare il risultato finale e le sue potenzialità.

Il campo contro la guerra ha preso parola in un contesto di ferro e di fuoco, di demonizzazione delle voci di dissenso e di “ferocizzazione” del dibattito pubblico. L’ampiezza del campo è emersa, ed è un campo sociale che non dispone di rappresentanza. Non ne dispone in un Parlamento vergognosamente appiattito sul governo Draghi e l’interventismo guerrafondaio ed ha la potenzialità per crescere ed aumentare la sua influenza sulla società. Ma è anche una potenzialità che non consente più giochetti di sponda con un Pd guerrafondaio, né sul piano nazionale né su quello locale. È una polarizzazione politica estremamente interessante, per fermare la guerra subito ma anche per provare a cambiare questo paese.

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