Taylor Swift è la più importante popstar al femminile del nuovo millennio, con un riscontro commerciale paragonabile soltanto a quello di Adele, ma rispetto a quest'ultima ha pubblicato molti più album (quindici contro quattro).
Un simile impatto ha tuttavia creato un clima di omertà intorno alla sua figura: è difficilissimo leggere analisi critiche sul suo operato e l'industria dello spettacolo americana la premia a prescindere, qualsiasi cosa pubblichi. Basti pensare ai quattro Grammy vinti per l'album dell'anno, record di tutti i tempi (staccati Frank Sinatra e Stevie Wonder, fermi a tre).
Si tratta di un vero e proprio soft power,
che pone in estrema difficoltà chi le muove critiche. Persino molte
riviste di critica alternativa hanno capitolato al riguardo.
In
questo articolo si prenderanno in analisi tutti i punti controversi
della sua figura, vedendo come la sua mitologia si poggia su
comportamenti contraddittori, niente affatto allineati a quelli
dell'icona positiva che l'artista e il suo entourage promuovono.
1. La guerra con Spotify
Nel
novembre del 2014 Swift rimosse il suo catalogo da Spotify, per poi
annunciare il ritorno nel giugno del 2017. È stato all'epoca
rumoreggiato che fosse riuscita a strappare un patto conveniente con la
società svedese, tuttavia qualunque sia stato il motivo del suo ritorno,
non è vero che l'industria della musica ne ha guadagnato, come si è
letto un po' ovunque. Anzi, i servizi di streaming da allora hanno
concentrato sempre di più i propri sforzi verso gli artisti di punta,
lasciando alla maggior parte dei musicisti senza supporto di una major
appena qualche briciola. Non c'è stata nessuna lotta di Taylor Swift
per i musicisti più sfortunati e, in sostanza, appena ha trovato la
formula per lei più conveniente, è tornata sui suoi passi.
Chiaramente, non era tenuta a fare da avvocato per i musicisti meno fortunati, fatto sta che è lei stessa a essersi messa in questa posizione con le proprie dichiarazioni sulla rarità della musica in quanto forma d'arte e sulla necessità per gli artisti di stabilire loro i prezzi, ma soprattutto con la sua celebre lettera aperta verso Apple Music, "To Apple, Love Taylor", in cui cita apertamente le difficoltà degli artisti emergenti.
Kaitlyn Tiffany di The Verge ha
dedicato un articolo a come Swift si sia potuta permettere di agire in
un certo modo solo grazie alla sua posizione, facendo notare che gli
artisti indipendenti non hanno il suo stesso potere di leva. Pertanto, i
suoi boicottaggi hanno funzionato sostanzialmente soltanto in quanto
portati avanti da lei, per poi rientrare una volta ottenuto quanto
voleva per se stessa e al massimo per il suo entourage, ma non certo per
l'intera categoria dei musicisti indipendenti. La vicenda rientra in
pieno nello spettro di ciò che gli anglofoni chiamano virtue signalling, ossia una presa di posizione simbolica che giova soprattutto alla propria immagine.
2. I prezzi dinamici
Il "The Eras tour" del 2023-24 è stato il più grande trionfo di Taylor Swift. I concerti negli Stati Uniti hanno fatto il tutto esaurito, con una media di 254 dollari a biglietto: più del doppio rispetto ai prezzi dei suoi concerti nel 2018, mentre il resto dell'industria musicale statunitense nello stesso lasso di tempo ha visto un aumento dei prezzi del 37% (comunque notevole, ma ben più contenuto): Swift è quindi in prima fila riguardo al fenomeno dell'aumento incontrollato dei prezzi, come fatto notare da Ryan Hogg su Business Insider.
Vale la pena di farlo notare perché la notizia che l'artista avrebbe rifiutato i prezzi dinamici di Ticketmaster ha avuto ampio risalto e lei stessa con un suo post su Instagram l'ha dipinta come una lotta per i suoi fan.
Tuttavia,
ciò non ha impedito l'aumento sopra riportato, perché i prezzi dinamici
non sono l'unico metodo speculativo reso possibile dalla posizione
dominante di Ticketmaster: chi ha voluto davvero lottare per rendere i
biglietti più abbordabili, come Robert Smith dei Cure,
ha anche preteso un ampio controllo sul bagarinaggio e ottenuto
risultati decisamente più convincenti, come spiegato da Ethan Millman su
Rolling Stone.
Di
nuovo, l'impressione è che Swift sia un'abile imprenditrice che sa come
ottenere il massimo del profitto e passare al tempo stesso per
ecumenica e caritatevole.
3. I diritti dei brani altrui
Un
altro avvenimento che solleva interrogativi etici è il modo in cui
Swift ha ottenuto i diritti di utilizzo di "I’m Too Sexy" dei Right Said
Fred, interpolata nella sua hit "Look What You Made Me Do". Secondo la band inglese,
i rappresentanti di Swift si sono rivolti loro per chiedere
l'autorizzazione appena una settimana prima dell'uscita del singolo, ma
senza rivelare chi fosse l'artista, né il modo in cui la loro canzone
sarebbe stata utilizzata. Gli è stato detto soltanto che si trattava di
un grande nome contemporaneo e che avrebbero dovuto approvare l'accordo
in anticipo.
Anche se i Right Said Fred non hanno espresso frustrazione al riguardo, parlando anzi molto positivamente di Swift, la mancanza di trasparenza nel processo di negoziazione evidenzia un problema più ampio nell'industria musicale.
Quando artisti minori – o one-hit wonder come i Right Said Fred – vengono contattati per cedere i diritti di una loro canzone, spesso hanno poco margine di manovra. Il modo in cui il team di Swift ha gestito la questione suggerisce una strategia calcolata: trattenendo informazioni chiave, si sono assicurati che la band accettasse l'accordo senza poter eventualmente contestare l'utilizzo del loro lavoro.
Si tratta di una pratica legale e
conforme agli standard dell’industria, ma che riflette un chiaro
squilibrio di potere: gli artisti più grandi possono imporre le
condizioni, mentre quelli più piccoli si ritrovano costretti ad
accettare, dato che opportunità simili potrebbero non capitargli più.
4. Il vittimismo
Nel dicembre del 2019 B.D. McClay ha pubblicato un articolo per The Outline,
intitolato "Un decennio di vincitori insoddisfatti – Gli outsider che
sono i leader, gli arrivisti che sono l'establishment: queste persone si
sono rifiutate di ammettere di avere un qualsiasi tipo di potere,
quando invece ne avevano eccome": neanche a dirlo, la figura su cui è
maggiormente incentrato l'articolo è quella di Taylor Swift, esempio
perfetto di questa mentalità.
Non importa quanto abbia ottenuto
(centinaia di premi vinti, vendite record), nelle sue canzoni e nel suo
atteggiamento continua a emergere un senso di ingiustizia, come se fosse
costantemente tradita, sottovalutata o incompresa. Canta di nemici, di
ostacoli, di battaglie personali da combattere, anche quando è difficile
capire chi o cosa le stia ancora impedendo di rialzarsi. Questo non
significa che il sessismo nell'industria musicale sia inesistente, ma le
vere vittime si trovano probabilmente qualche ordine di grandezza al di
sotto di Swift. Viene naturale chiedersi: per una delle persone più
potenti del suo settore, ha ancora senso sentirsi in perenne lotta per
farsi riconoscere?
Senza contare le reazioni ad attacchi in pratica inesistenti: basti ricordare il caso dell'intervista di Damon Albarn per il Los Angeles Times,
in cui affermava di non considerare Swift una cantautrice perché
utilizzava molti coautori, ma sottolineando come il risultato potesse
essere lo stesso eccellente, e che Ella Fitzgerald, da lui considerata
una delle più grandi cantanti di sempre, non ha mai scritto una canzone.
Un'opinione con cui si può concordare o meno (la cantante ha firmato da
sola circa un terzo del proprio repertorio, senza neanche bisogno di
stare a considerare che lo stesso Albarn ha avuto coautori per quasi
tutta la sua carriera), ma che è tutto sommato innocua e riguarda più
che altro una questione di approccio filosofico alla musica (in fin dei
conti, anche in Italia ci si chiede da mezzo secolo se Lucio Battisti sia stato o meno un cantautore, dato che non scriveva i testi).
Fatto sta che Swift rispose con un aggressivo post su Twitter contro Albarn (con un incipit a dir poco infantile: "Ero una così tua grande fan finché non ho letto questo"), per una cosa che lui non aveva detto o che era comunque contraddicibile in maniera molto più tranquilla. Oltre a ciò i suoi vari produttori sono subito intervenuti, da Aaron Dessner a Jack Antonoff, anche loro subito in assetto da guerra. A quel punto Albarn, avendo probabilmente compreso in che ginepraio fosse finito, è corso ai ripari scusandosi.
La vera domanda tuttavia è: in quanti avranno
inizialmente letto quell'intervista di Albarn a parte i suoi fan?
Avendolo lasciato passare, quell'articolo sarebbe probabilmente finito
nel dimenticatoio nel giro di poche ore e Swift non ne avrebbe ricevuto
alcun danno. Ma il meccanismo che la sorregge non funziona così: la sua
mitologia si basa quasi interamente sui propri nemici, su chi si presume
voglia il peggio per lei (che sia vero o meno non pare essere
importante) e da cui quindi deve difendersi. Questa faida con Albarn è
stata un'occasione d'oro per rinforzare la propria immagine: se ne è
parlato in tutti i giornali e in tutti i social network, con tanto di nemico umiliato e costretto a chiedere perdono davanti alla fortezza di Canossa.
5. Le intimidazioni
Quando la lamentela non basta, Swift e il suo entourage passano all'attacco diretto.
Nel 2015 ha inviato una diffida alla blogger Meghan Herning, che aveva scritto un articolo per PopFront,
dal titolo "Swiftly to the alt-right: Taylor subtly gets the lower case
kkk in formation", grosso modo traducibile come "Rapidamente verso
l'estrema destra: Taylor mette in formazione con sottigliezza il kkk in
minuscolo". L'avverbio iniziale in inglese è "swiftly" e rimanda
ovviamente al cognome della cantante, ma il riferimento più interessante
è quello al kkk in minuscolo, espressione presa in prestito dal comico
Aziz Ansari che sta a indicare la normalizzazione di razzismo e
intolleranza avvenuta a partire dall'avvento di Donald Trump.
Del rapporto indiretto fra Swift e l'estrema destra statunitense si tratterà più avanti: nel caso specifico ciò che va notato è che Swift ha usato la sua posizione di potere per intimidire una blogger indipendente.
Per difendersi, Meghan Herning ha fatto appello alla Aclu
(American Civil Liberties Union), che tramite i propri legali ha
descritto l'azione di Swift come un "tentativo senza fondamento di
sopprimere la libertà di parola protetta dalla costituzione" e ha poi
incalzato affermando che "tattiche di intimidazione come queste sono
inaccettabili".
In seguito all'intervento della Aclu, il team legale
di Swift ha dismesso ogni pretesa nei confronti di Herning,
probabilmente temendo che la cosa gli si sarebbe potuta ritorcere
contro.
Un episodio meno rumoroso, ma con meccaniche simili, è
avvenuto nel 2022, quando lo sceneggiatore di serie televisive Eric
Eidelstein rivelò su Twitter che "quando ero nel mondo del giornalismo,
il team di Taylor minacciava di mettere in lista nera le pubblicazioni
che avessero scritto una qualsiasi cosa negativa su di lei".
Il
portale Pop Tingz riportò la notizia e curiosamente nel giro di poche
ore sia il post originale di Eidelstein, sia l'articolo di Pop Tingz al
riguardo erano spariti (fonte).
Ci sarebbe infine la causa minacciata dai legali di Swift contro lo studente Jack Sweeney,
reo di aver tracciato le emissioni di carbonio dei jet privati di
Swift, sfruttando tuttavia dati già pubblici (la beffa? Molti di questi
sono stati resi tali proprio dai fan della cantante, ossessionati dal
conoscerne gli spostamenti).
6. L'aggressività dei fan
I fan di Taylor Swift sanno essere fra i più tossici
in assoluto. Non che il problema li riguardi tutti, ma con numeri così
grandi, anche una percentuale strettamente minoritaria può generare
imponenti campagne d'odio online.
Va precisato che la cantante non ha mai richiesto a chi la segue di agire in siffatta maniera, tuttavia è evidente che lei sia a conoscenza del meccanismo, che lo alimenti e che sappia come le basti puntare i fari su ciò che percepisce come un problema, affinché la frangia più estrema di chi la segue se ne faccia carico. In sostanza, non ne avrà la responsabilità diretta, ma ha quella che in altri ambiti e su altri ordini di grandezza è definita responsabilità politica.
Gli esempi al riguardo sono molteplici. Il giornalista Chris Panella,
di Business Insider, è stato minacciato di morte, ha subito la
diffusione illecita di dati riguardanti la sua famiglia ed è stato
accusato, ovviamente senza fondamento, di essere un pedofilo: il tutto
per aver scritto che "The Eras Tour" era fantastico, ma non quanto il
"Renaissance World Tour" di Beyoncé.
Non solo non sono ammesse stroncature o critiche velate, ma a quanto
pare anche non considerare Swift la miglior artista del pianeta è letto
come un'offesa.
The Guardian ha
dedicato a questo atteggiamento un articolo firmato da Ben
Beaumont-Thomas: "I fan sfegatati del pop stanno maltrattando i critici –
e mettendo l'acclamazione prima dell'arte".
Il problema tuttavia non riguarda soltanto i giornalisti. Il cantante John Mayer ha ricevuto insulti e minacce
per anni sui social network, senza aver fatto alcunché, ma solo in
quanto considerato dai fan di Swift il soggetto della canzone "Dear
John", pubblicata nel 2010.
Nonostante lei fosse a conoscenza della
situazione (la persecuzione di Mayer è stata oggetto di numerosi
articoli giornalistici nel corso del tempo), ha lasciato correre per
anni, fino al giugno del 2023, alla vigilia della versione registrata ex novo dell'album che conteneva in origine il brano. Durante un concerto, ha così chiesto
che si smettesse di perseguitarlo, pur in maniera indiretta (dato che
la canzone non faceva il suo nome esplicitamente): "Non pubblico questo
album perché voi sentiate il bisogno di difendermi su Internet da
qualcuno per cui supponete io possa aver scritto una canzone 14 miliardi
di anni fa". Si noti bene l'uso manipolatorio delle parole: non c'è
accenno al fatto che Mayer sia stato insultato e minacciato, i fan la
stavano bensì "difendendo".
Anche il caso di Damon Albarn, già
raccontato in precedenza, ha generato migliaia di commenti d'odio in
giro per la Rete. Il caso più comico rimane però quello legato ai Tool,
rei nel 2019 di essere entrati al numero 1 della classifica
statunitense con l'album "Fear Inoculum", scalzando "Lover" di Swift e
generando un'ondata di commenti sprezzanti da parte dei suoi fan (che ovviamente non avevano la più pallida idea di chi fossero i Tool).
7. La squadra e il femminismo
In
particolare fra il 2014 e il 2016, Swift è apparsa spesso in compagnia
di un prestigioso circolo di amiche, che i media hanno ribattezzato "the
squad". Fra i nomi più ricorrenti e importanti della squadra sono
rintracciabili quelli di Karlie Kloss, Gigi Hadid, Selena Gomez, Cara Delevingne, Lena Dunham e Hailee Steinfeld, tutte esponenti di punta in ambiti disparati del jet set americano.
In un'intervista a Vanity Fair del 2015, che la dichiarava caposquadra, Swift ha descritto il circolo come un "gruppo di ragazze che hanno bisogno una dell'altra tanto quanto noi [donne] abbiamo bisogno una dell'altra, in questo clima, in cui è così difficile essere capite e ritratte nella maniera giusta dai media". Lo ha letto, in sostanza, come uno strumento per la propria emancipazione e autodeterminazione. Una visione coerente con quanto nello stesso periodo dichiarò a Maxim: "La misoginia è inculcata nelle persone da quando sono nate, quindi per me il femminismo è forse il più importante movimento a cui uno possa aderire, perché è sostanzialmente un altro modo per dire uguaglianza".
Tuttavia diverse femministe hanno storto il naso al riguardo. Infatti, oltre che quasi tutte bianche, le donne della squadra erano giovani, con potere mediatico ed economico, e con un aspetto fisico rientrante nei canoni sociali di ciò che è ritenuto attraente. In sostanza, si trattava di un club tutt'altro che inclusivo.
Jessa Crispin, nel libro "Why I Am Not A Feminist" (Melville House, 2017), pur non citando apertamente Swift, attacca quello che definisce "squad feminism" (per l'appunto, il femminismo di squadra delle celebrità) definendolo "insulso ed escludente".
Nel libro "We Were Feminists Once" (Public Affairs, 2016), Andi Zeisler definisce quello di Swift "femminismo da mercato", dicendosi preoccupata in quanto il fenomeno vende un'immagine di unità femminile che in realtà non si traduce in un cambiamento strutturale.
La voce critica più nota al riguardo è stata però quella della popstar Demi Lovato, che sulla squadra, con un notevole atto di coraggio, ha dichiarato a Entertainment Tonight: "Non vedo nessuna che abbia un corpo normale, è una sorta di falsa immagine di come le persone dovrebbero apparire. Penso che fare una canzone e un video per denigrare Katy Perry non equivalga a emanciparsi come donne" (il riferimento è al brano "Bad Blood", del 2015, nel cui video partecipano tutte le componenti della squadra sopra elencate; benché Perry non sia citata esplicitamente, è sentore comune che il brano fosse dedicato a lei – a ogni modo, tre anni più tardi le due si sono riappacificate).
A partire dal 2016 la
squadra è andata sfaldandosi, e ora soltanto le amiche più strette
continuano a frequentare Swift, che nel 2019, in un'intervista per Rolling Stone,
ha comunque dato colpa esclusiva al patriarcato per l'immagine negativa
che quella cerchia trasmetteva, senza assumersi al riguardo nessuna
responsabilità e senza dire una parola sul fatto che alcune delle
critiche più aspre al riguardo le fossero state rivolte da femministe e
attiviste.
8. Silenzio politico e risveglio
In molti hanno criticato Taylor Swift per non aver mai preso posizione in campo politico fino all'ottobre del 2018, quando ruppe il silenzio
al riguardo appoggiando i candidati democratici durante le elezioni di
metà mandato nel Tennessee, citando fra le motivazioni che l'hanno
spinta alla decisione il supporto alla comunità Lgbt e la necessità di
arginare il razzismo sistemico.
Swift ha debuttato sul mercato
discografico nel giugno del 2006, all'età di sedici anni. Nessuno
pretendeva da lei una presa di posizione a quell'età: non che gli
adolescenti non meritino considerazione quando esprimono le proprie
visioni al riguardo, ma trattandosi di una fase formativa nella vita
delle persone, è legittimo che siano insicuri e non si vogliano esporre.
Il problema è che da quel momento sono passati dodici anni prima che la
sua voce si facesse sentire, gli ultimi due dei quali in piena era
Trump, con tutto il corollario di legislazione contro le minoranze,
misoginia istituzionalizzata, diffusione del linguaggio d'odio,
negligenza durante le crisi umanitarie, tolleranza – quando non
strizzate d'occhio – a gruppi politici estremisti e/o eversivi.
Un
silenzio talmente lungo che ha generato una forte diffidenza anche
quando finalmente è stato rotto. Non c'è dubbio che Swift sia
effettivamente a favore dei democratici, ma questo non la rende immune
da calcolo e arrivismo: si sta pur sempre parlando di una popstar ed è
difficile non notare come il suo silenzio abbia avuto fine proprio
mentre il suo contratto con la Big Machine Records, la casa discografica
che ha costruito la sua fortuna, era in scadenza. Uno studio ben più
approfondito di questa semplice riflessione e di cui si consiglia la
lettura è quello di Simone Driessen dell'Università di Rotterdam:
"Problemi di campagna [elettorale]: come i fan reagiscono al controverso
risveglio politico di Taylor Swift" (Sage Journals, 2022).
9. L'intrusione dell'estrema destra
L'altro
grande problema dell'interminabile silenzio politico di Taylor Swift è
che ha consentito ai complottisti di estrema destra, principalmente
statunitensi ma non solo, di venerare la sua figura come perfetta
rappresentante della propria ideologia. L'ha spiegato bene Mitchell
Sunderland nel 2016, per Vice,
nell'articolo "Non me lo scuoto di dosso: come Taylor Swift è diventata
un'icona per i nazisti" (la prima parte del titolo è un ovvio gioco di
parole con "Shake It Off", uno dei più grandi successi di Swift). Avendo
fornito un link per poter leggere l'articolo, in questa sede, per
decenza, si eviterà di dare ulteriore spazio alle disgustose
affermazioni dei blogger neonazisti che vi sono riportate.
Il punto
focale è che il fenomeno è iniziato via Pinterest e BuzzFeed nel 2013,
diventando presto virale, e per ben cinque anni lei non ha avuto niente
da ridire al riguardo (se non facendo scrivere privatamente da un suo
avvocato a tale Emily Pattinson, la ragazza ritenuta l'iniziatrice delle
immagini, a suo dire ironiche, che abbinavano foto di Swift e citazioni
di Adolf Hitler).
Anche senza prendere posizione riguardo alle
elezioni americane, perlomeno avrebbe potuto distanziarsi da un fenomeno
tanto deleterio, anziché lasciarlo fiorire. La cosa si è a ogni modo
definitivamente risolta dopo il suo coming out politico del
2018, che l'ha trasformata in persona non grata presso i circoli degli
estremisti… ma quanta fatica prima di mettere le cose a posto!
10. Un paio di video problematici
Una
decisa spinta alle convinzioni dei neonazisti di cui sopra potrebbero
averla data i maldestri video di due dei suoi più grandi successi:
"Shake It Off" e "Wildest Dreams", entrambi del 2014.
Nel primo, Swift è circondata da ballerini di diversi stili: il corpo di ballo di danza classica, stile per antonomasia ritenuto raffinato e delicato, è composto quasi esclusivamente da artiste bianche, mentre le ragazze che praticano il twerking, per antonomasia stile volgare e oggettificante, sono quasi esclusivamente nere.
La cosa non è passata inosservata, tanto che il rapper Earl Sweatshirt ha asserito: "Non ho visto il video di Taylor Swift e non mi serve vederlo per dire che è intrinsecamente offensivo e sostanzialmente dannoso. Sta rafforzando gli stereotipi negativi sui neri ed è rivolto a un pubblico specifico: ragazze bianche che affermano di amare la cultura nera, ma usano questo come copertura per il loro pregiudizio latente".
Il
secondo video è invece ambientato nell'Africa coloniale degli anni
Cinquanta ed è interpretato quasi esclusivamente da persone bianche. Gli
attivisti Viviane Rutabingwa e James Kassaga Arinaitwe hanno scritto un
articolo per la Npr intitolato "Taylor Swift sogna un'Africa molto bianca",
in cui analizzano tutte le problematiche di una simile rappresentazione
di uno dei periodi più traumatici nella storia del continente.
Conclusione
Si
potrebbe approfondire ulteriormente, prendendo per esempio in analisi
tutti i problemi che derivano dagli squilibri di potere e di attenzione
provocati da Swift, quindi non imputabili a lei come persona, ma
relative al fenomeno che la riguarda. Saving Country Music, il miglior
sito di divulgazione sulla musica country attualmente disponibile, ha per esempio pubblicato un articolo intitolato "Il dilemma del giornalista dedicato a Taylor Swift",
sulle conseguenze che una simile ossessione personalistica ha
sull'indipendenza del giornalismo e sull'affidabilità della critica
musicale. Se ne consiglia caldamente la lettura.
In questo stesso ambito rientra anche l'immagine di star che ha costruito un impero con le sue sole forze, fortemente spinta da testate come Forbes, Rolling Stone e Billboard. La realtà è tuttavia ben diversa: Swift proviene da una famiglia ricca, basti pensare che al momento di firmare il suo primo contratto con la Big Machine Records, suo padre – banchiere – investì nell'etichetta discografica ben 300mila dollari. C'è un articolo di Scott Timberg per Salon che, pur con un titolo un po' urlato ("Taylor Swift non è un'outsider: la vera storia della sua educazione da privilegiata che il New York Times non ti racconterà"), centra il punto della faccenda.
L'approfondimento giunge qui al termine. Il suo scopo non è ovviamente di screditare l'arte di Swift, che piacerà o verrà rigettata da ognuno a seconda della propria sensibilità (OndaRock è peraltro al di sopra dei sospetti, ospitando una monografia che ne celebra ampiamente la musica), bensì quello di offrire uno spunto di riflessione su come l'artista sia lo specchio di una società capitalistica che sta premendo fortemente sull'acceleratore e che adora celebrare persone privilegiate, condonandone anche comportamenti a volte in forte contrasto con gli interessi di chi è in basso nella graduatoria sociale (e sulle cui spalle poggia tuttavia la fortuna di chi gli sta sopra).
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