In
fondo all’Atlantico meridionale si trova l’arcipelago più costoso per
Londra, quelle isole strappate all’Argentina nel 1833 e che portano due
nomi, Falklands e Malvinas, a seconda di chi le nomina. Per la loro
sovranità nel 1982 Argentina e Gran Bretagna combatterono una guerra che
si chiuse con la vittoria inglese e un bilancio totale di un migliaio
di morti. La dittatura argentina crollò dopo la sconfitta militare,
mentre dall’altra parte dell’oceano la signora Thatcher si assicurò un
regno lungo e stabile. A 30 anni di distanza, di Falklands-Malvinas si
torna a parlare: questione di diritti di pesca e di estrazione del
petrolio che, ormai si sa, sotto quei fondali riposa in abbondanza.
Insomma, le isole sono tornate strategiche, per fortuna senza che si
possa ipotizzare seriamente un conflitto armato. Questa volta i ruoli
sono invertiti: Buenos Aires, in base alle risoluzione ONU, chiede un
tavolo per discutere di sovranità e soprattutto di affari; Londra invece
reagisce con toni militareschi e spedisce navi e uomini in capo al
mondo. Addirittura Hollywood, anche se con la sua parte più “schierata”,
sostiene la causa argentina. Sean Penn, di passaggio a Buenos Aires
settimana scorsa ha incontrato Cristina Kirchner e condannato “il
colonialismo fuori tempo massimo “di Londra.
L’andamento della
crisi delle Falklands-Malvinas potrà essere un interessante indicatore
dello stato attuale dei rapporti di forza sullo scacchiere planetario.
Anche perché questa volta i Paesi latinoamericani sono solidali tra
loro, nel G20 hanno un peso non irrilevante e anche gli Stati Uniti sono
per il dialogo. Forse in questo mondo post-bipolare sono maturi i tempi
per chiudere definitivamente le ferite del passato coloniale e per
ipotizzare nuovi partenariati tra ex-rivali. Questa volta, però, tocca
al Regno Unito essere all’altezza della sfida.
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