La crisi siriana offre alla Cina la possibilità di misurarsi con il proprio recente status di potenza globale.
Il viceministro degli Esteri Zhai Jun è da oggi a Damasco per una nuova iniziativa diplomatica dopo il veto alla risoluzione del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva le dimissioni del presidente Bashar al-Assad. Da Pechino si apprende inoltre che all’inizio di questa settimana un alto diplomatico è stato inviato al Cairo per incontrare il capo della Lega Araba e che un altro sarà spedito presto in Medio Oriente. Nei giorni scorsi, funzionari cinesi hanno avuto colloqui a Pechino con un gruppo dell’opposizione siriana, il National Coordination Committee (Ncc), che ha chiesto alla Cina “di giocare un ruolo maggiore” nella soluzione della crisi siriana.
Il viceministro degli Esteri Zhai Jun è da oggi a Damasco per una nuova iniziativa diplomatica dopo il veto alla risoluzione del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva le dimissioni del presidente Bashar al-Assad. Da Pechino si apprende inoltre che all’inizio di questa settimana un alto diplomatico è stato inviato al Cairo per incontrare il capo della Lega Araba e che un altro sarà spedito presto in Medio Oriente. Nei giorni scorsi, funzionari cinesi hanno avuto colloqui a Pechino con un gruppo dell’opposizione siriana, il National Coordination Committee (Ncc), che ha chiesto alla Cina “di giocare un ruolo maggiore” nella soluzione della crisi siriana.
È un gioco a tutto campo, in linea con la posizione annunciata dal premier Wen Jiabao dopo il vertice Cina-Ue
di martedì scorso: “Ciò che è più urgente e pressante ora è scongiurare
la guerra e il caos di modo che il popolo siriano possa evitare una
sofferenza ancora maggiore”. Ha poi aggiunto che la Cina “non protegge
assolutamente una delle parti, compreso il governo siriano”.
Per
Pechino, Assad sta probabilmente facendo la cosa giusta: reprime
l’insurrezione ma lascia voce all’opposizione moderata; utilizza
l’esercito per riconquistare città occupate dalle milizie
antigovernative, come Homs, foraggiate dall’esterno; offre una via
d’uscita promettendo una nuova costituzione
che, in base alla bozza che circola, garantirebbe un sistema
multipartitico mantenendo però vantaggi per il Baath, mettendo fuori
legge i partiti a base confessionale – come i Fratelli Musulmani – e
garantendo tuttavia la presidenza della repubblica a un musulmano.
Colpire gli elementi più radicali e cooptare i moderati, trasformando al tempo stesso il Paese alla luce delle nuove esigenze che emergono, ma evitando il caos: questa linea è per certi versi molto “cinese” – si pensi ai fatti di Wukan – e quindi Pechino potrebbe appoggiarla.
Ma le circostanze sono mutate per via della propaganda occidentale a base di “atrocità del giorno” e “ormai è troppo tardi”. Quindi, a differenza della Russia, la Cina non sostiene apertamente il presidente siriano: si mantiene equidistante, valuta tutte le opportunità e cerca di giocare il ruolo dell’arbitro imparziale.
Colpire gli elementi più radicali e cooptare i moderati, trasformando al tempo stesso il Paese alla luce delle nuove esigenze che emergono, ma evitando il caos: questa linea è per certi versi molto “cinese” – si pensi ai fatti di Wukan – e quindi Pechino potrebbe appoggiarla.
Ma le circostanze sono mutate per via della propaganda occidentale a base di “atrocità del giorno” e “ormai è troppo tardi”. Quindi, a differenza della Russia, la Cina non sostiene apertamente il presidente siriano: si mantiene equidistante, valuta tutte le opportunità e cerca di giocare il ruolo dell’arbitro imparziale.
Pechino è favorevole alla “terza via”: lasciare Assad al suo posto, promuovere la riforma dell’attuale sistema politico mantenendolo però sostanzialmente intatto, di modo che la Cina possa contare su un alleato stabile in Medioriente. Le autorità cinesi dissentono invece da una “soluzione libica” o “yemenita”: l’abbattimento violento o la cacciata in esilio del rais di turno.
Quando guarda all’opposizione siriana, la diplomazia cinese non fa quindi riferimento al Syrian National Council (Snc) – riconosciuto da mezzo occidente e dalla Turchia, dominato dai Fratelli Musulmani e fautore della caduta di Assad – bensì al National Coordination Committee (Ncc), favorevole alla trattativa e soprattutto, a differenza dell’altro gruppo, con un’ampia base all’interno del Paese. Per questo motivo, i media cinesi hanno dato risalto all’incontro di Pechino tra Zhai Jun e Haitham Manna, “vice capo coordinatore e portavoce all’estero” dell’Ncc. Riconoscendo di fatto, a quest’ultimo, rappresentatività politica.
Pechino può contare su qualche circostanza favorevole. Prima di tutto, Assad non sembra per nulla intenzionato a dimettersi, anche perché si sente forte dell’appoggio di Russia, Iran e della stessa Cina. In secondo luogo, lo stesso Occidente dopo l’esperienza egiziana non appare più così sicuro di voler mettere in sella i Fratelli Musulmani, cioè l’Snc. Infine, con il veto al consiglio di sicurezza dell’Onu, la Cina (con la Russia) ha evitato l’errore fatto in occasione della risoluzione contro la Libia: spalancare le porte all’intervento armato occidentale.
Ma se anche il regime di Assad dovesse collassare, la Cina avrebbe comunque spazio per giocare le proprie carte nella “nuova Siria”, attraverso i legami con l’Ncc.
Fonte.
L'assenza dell'Europa dallo scacchiere internazionale è sempre più imbarazzante. Siamo diventati la succursale del mondo che non conta un cazzo.
Nessun commento:
Posta un commento