Angela Merkel lo ha detto senza nascondersi dietro il suo ruolo di
Cancelliere della Repubblica federale: “Il fallimento della Grecia
comporterebbe un rischio incalcolabile” e anche il secondo pacchetto di
aiuti da 130 miliardi – approvato nel tardo pomeriggio dal Bundestag –
“non assicura al 100 per cento” di centrare il salvataggio del paese
sull’orlo del default.
Loretta Napoleoni, economista e giornalista, ci ragguaglia sugli ultimi sviluppi con uno sguardo al passato e uno al futuro.
Tutti
contenti per i 130 miliardi messi a disposizione di Atene. Siamo al
sicuro? Basterà alla Grecia per risvegliarsi dall’incubo che sta
vivendo?
Il pacchetto non basta. La Grecia nel 2013 avrà
sicuramente bisogno di altri aiuti e questo perché la politica di
austerità che le è stata imposta riduce il tasso di crescita. Secondo
alcune stime questa nuova ondata di riforme di austerità dovrebbero far
contrarre il Pil greco di un altro 5 per cento. Ciò significa che l’anno
prossimo Atene avrà un rapporto debito-Pil superiore a quello di oggi.
Un paese per poter pagare il debito deve poter crescere a un tasso
superiore a quello degli interessi del debito stesso. Non c’è ragione di
essere ottimisti, anzi bisognerebbe essere molto pessimisti.
Non
solo in Grecia, ma in tutta l’area euro l’economia rallenta (per non
dire che è ferma). E ciò nonostante il mare di liquidità immesso dalla
Bce e che ancora immetterà mercoledì 1 marzo. Cosa sta succedendo?
La politica della Bce, il Ltro (Long term refinancing operation), in
realtà immette liquidità nel sistema bancario ma non nell’economia. Ciò
vuol dire che questi soldi che vengono stampati non filtrano attraverso
le banche nell’economia. Le banche stanno ricostituendo i propri
bilanci, si stanno proteggendo dalle nuove normative di Basilea-3 che
richiedono una più alta percentuale di depositi. Sembra quasi che queste
iniziative siano dirette a proteggere le banche e non gli stati. Questo
è quanto vogliono anche Merkel e Sarkozy. Se si isolano le banche dal
rischio Grecia, l’anno prossimo quando Atene chiederà ancora aiuti le si
potrà dire “Basta così” e lasciarla al proprio destino (in bancarotta)
senza avere alcun impatto sul sistema bancario dell’Europa centrale.
In
effetti Moody’s aveva criticato il coinvolgimento dei privati e il
fatto che le banche dovessero rinunciare a una parte consistente dei
propri crediti. La conseguenza sarebbe stata una fuga degli investitori
dai paesi a rischio (Italia, Portogallo, Spagna, Iralnda). C’è ancora
questo pericolo?
Moody’s ha declassato ancora il rating della
Grecia: manca un solo gradino alla D di defautl. Moody’s non si fida e
neanche il mercato ha dato una risposta positiva. C’è un po’ di
stanchezza. Tutti i summit e gli incontri producono risultati scarsi:
l’impressione è che si voglia guadagnare solo tempo, e appare sempre più
chiaro che non c’è una strategia a lungo termine. L’obiettivo è quello
di ridurre l’esposizione delle banche nelle regioni periferiche. A quel
punto, quando le banche saranno salve, se l’anno prossimo permarrà
questa situazione – o addirittura peggiorerà – l’Europa centrale lascerà
al proprio destino i paesi deficitari.
Si ripete
continuamente il mantra: “L’Italia non è la Grecia”. Sicuramente non lo è
dal punto di vista del debito e del potenziale produttivo, ma lei
scrive nel suo libro Il Contagio (edito da Rizzoli) che anche l’Italia
ha fatto ricorso a qualche artifizio finanziario e a un “falso in
bilancio” per entrare nel club dell’euro. Proprio come la Grecia.
Certamente,
il debito è molto più alto di quanto dichiarato e di conseguenza anche
il rapporto Pil debito no corrisponde al vero. In realtà nessuno può
sapere a quanto ammonta il debito se non i ministri del Tesoro che si
sono succeduti negli ultimi anni.
Come è possibile che nessuno
in parlamento si premuri di proporre un’interrogazione? Perché ci si
preoccupa di conoscere il reddito del ministro Severino e non l’entità
del debito, le notazioni nello swap book e l’ammontare dei currency
swap?
Non lo fanno perché non vogliono farlo: è una
situazione in cui se lo fanno ammettono di aver sbagliato. E’ tutto
l’arco parlamentare coinvolto in questa storia. Siamo entrati nell’euro
con Prodi e il Pd e queste attività sono state poi perseguite anche da
Berlusconi. Proporre adesso un’interrogazione vuol dire proporla contro
loro stessi.
Fonte.
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