Il consumo di antibiotici prescritti dai
medici non è nulla se paragonato alla quantità ingerita con
l'alimentazione. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS),
la metà degli antibiotici prodotti nel mondo è destinata agli animali.
Una somma che si alza all’80% negli Stati Uniti! Un rapporto della Food and Drug Administration
statunitense(FDA) stima che gli animali da allevamento consumano 13.000
tonnellate di antibiotici l’anno anno [1]. Questo sovraconsumo
favorisce lo sviluppo di batteri resistenti che possono essere
rintracciati nei cibi in caso di cottura insufficiente. Alcuni
ricercatori hanno mostrato, peraltro, che gli antibiotici non sono presenti solamente nella carne, ma anche nei cereali o nei legumi coltivate nel
terreno fertilizzato col letame del bestiame.
Un studio pubblicato dalla rivista
medica Clinical Infectious Diseases
nel 2011 rivela che la metà della carne di bue, di pollo, di maiale e
di tacchino venduta nei grandi magazzini degli Stati Uniti contiene
germi resistenti agli antibiotici (lo stafilococco MRSA). Lo
scorso agosto 16.000 tonnellate di tacchino contaminate dalla salmonella
– resistente ai medicinali - sono state ritirate dal gigante
agroalimentare Cargill. Bilancio: un morto e un centinaio di ricoveri.
La Francia detiene il record
di resistenza agli antibiotici
Si sta sviluppando una resistenza agli antibiotici. "Ogni
anno 100.000 americani muoiono in ospedale per un'infezione batterica, e
non è che la punta dell'iceberg. Il 70% di queste infezioni è
resistente ai trattamenti utilizzati abitualmente", ha affermato la deputata democratica Louise Slaughter [2], intervistata dal Guardian.
La Francia detiene il record di resistenza agli antibiotici in Europa:
il 50% per la penicillina e il 28% per la meticillina [3]. L'Unione
Europea ha reagito nel 2006, vietando il consumo di antibiotici per
aumentare la crescita degli animali. Negli allevamenti francesi vengono
ancora consumate più di mille tonnellate di antibiotici
ogni anno. Un studio dell'agenzia nazionale della medicina veterinaria
ha valutato la presenza degli antibiotici in 67,7 mg per chilo di carne
prodotta. Ha ricordato che gli "antibiotici recenti sono generalmente più attivi ed è sufficiente una somministrazione più ridotta". La Germania non fa eccezione, con i polli industriali ingozzati di “antibiotici”.
Malgrado questa inquietante constatazione, negli Stati Uniti l'agenzia per l'alimentazione (Food and Drug Administration) potrebbe operare un’inversione di marcia “preoccupante".
Alla fine di dicembre, ha ritirato la promessa – che risale agli anni
’70 - di controllare l’utilizzo di due degli antibiotici più utilizzati:
la penicillina e la tetraciclina. I produttori potranno continuare a
somministrarla a piacimento ai loro animali. La FDA preferisce,
invece, concentrare gli sforzi sulla "possibilità di riforma volontaria" da parte degli agricoltori. Questa decisione - pubblicata con discrezione nel registro federale (Gazzetta ufficiale) alla vigilia di Natale - "non deve essere interpretata come il segno che la FDA non ha alcuna preoccupazione
sanitaria" sull'argomento, si è sentita obbligata di precisare. Un simpatico ";regalo di Natale dell’FDA alle fattorie industriali", hanno ironizzato alcuni commentatori.
Venti miliardi di dollari l’anno a carico del sistema sanitario
Questa sovradosaggio di antibiotici
ha un suo costo: ogni anno l’MRSA (stafilococco resistente alla
meticillina) è responsabile del decesso di 19.000 pazienti negli Stati
Uniti, e provoca sette milioni di visite dal medico o nei pronto
soccorso, ha stimato Maryn McKenna, giornalista specializzata in salute
pubblica: "Ogni volta che una persona contrae l’MRSA, i costi
sanitari sono moltiplicati per quattro. La resistenza agli antibiotici è
un peso enorme per la salute pubblica nella nostra società." Un costo stimato in venti miliardi di dollari l’anno per il sistema sanitario statunitense.
Ma la lobby agroalimentare combatte anche la battaglia delle cifre: per la National Turkey Federation,
gli antibiotici permettono di diminuire di un terzo il costo di
produzione [4]. Gli antibiotici diminuiscono il tempo di crescita e sono
necessari perché gli animali possono riuscire a vivere ammucchiati a
migliaia nei porcili e nei pollai. Senza antibiotici, ci vorrebbero più
infrastrutture agricole. E 175.000 tonnellate di cibo in più, un grosso
danno per la produzione del tacchino negli Stati Uniti, affermano i
professionisti del settore.
Sono gli argomenti che sembrano avere convinto la FDA
a respingere ogni decisione per regolamentare il consumo di
antibiotici. Probabilmente - in periodo elettorale -, per evitare un
finanziamento massiccio da parte della lobby agroalimentare della campagna repubblicana. In gennaio, dopo aver subito una caterva di critiche, la FDA
ha annunciato di voler limitare da aprile l'utilizzo di una categoria
di antibiotici, le cefalosporine, per i bovini, i maiali e il pollame.
Una buona iniziativa di comunicazione: i media hanno ripreso all’unisono questa decisione, sottolineando gli sforzi
della FDA per "limitare l'uso degli antibiotici”. Ma si
sono dimenticati di precisare che le cefalosporine rappresentano solo lo
0,5% degli antibiotici utilizzati nell'allevamento. I consumatori
non hanno molto da rallegrarsi. E neppure potrà risolvere questo grave
problema sanitario.
Note:
[1] Nel 2000 l'Istituto per la Salute
animale, in rappresentanza dei produttori di medicinali veterinari,
ha valutato il consumo di antibiotici nell'allevamento in 8.000 l’anno
negli Stati Uniti.
[2] Autore di un testo di legge sulla
resistenza agli antibiotici: “Preservation of Antibiotics for Medical
Treatment Act”.
[3] Utilizzate rispettivamente contro
il pneumococco e lo stafilococco dorato, i principali batteri all'origine
degli infezioni nosocomiali. Fonte: Rapporto
parlamentare, Ufficio parlamentare
di valutazione delle politiche sanitarie, depositato il 22 giugno 2006.
[4] "Today at retail outlets
here in the D.C. market, a conventionally raised turkey costs $1.29
per pound. A similar whole turkey that was produced without antibiotics
costs $2.29 per pound. With the average consumer purchasing a 15 pound
whole turkey, that would mean there would be $15 tacked on to their
grocery bill", Michael Rybolt, National Turkey Federation, audizione alla sottocommissione per l'allevamento della
Camera dei Rappresentanti.
Fonte.
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