Sembrano passati, quindi, i tempi in cui l’amministratore delegato non incoraggiava i capitali internazionali ad investire in Italia dicendo che la Fiat non poteva crescere per colpa della Fiom. Ma Marchione non ci sta e ricorda: “Io non ho mai parlato male dell’Italia. Ho solo riconosciuto quello che non va perché era serio farlo nell’interesse della Fiat, che è un gruppo multinazionale, e, se permette, del mio Paese”. E comunque le problematiche restano e agli investitori stranieri l’ad Fiat consiglia di “investire man mano che le riforme del governo Monti andranno avanti”.
Un’analisi attenta viene riservata al mercato del lavoro interno: sull’articolo 18 dice: “Ce l’ha solo l’Italia. Meglio assicurare le stesse tutele ai lavoratori in uscita in modi diversi, analoghi a quelli in uso negli altri Paesi. Diversamente, le imprese estere non capiscono e non vengono qui a investire”. E sugli attori che se ne occupano ribadisce il suo appoggio a Bombassei come successore di Emma Marcegaglia alla guida di Confindustria: “Stimo Bombassei come persona e come imprenditore e credo sia in grado di cambiare radicalmente Confindustria che, come tutto il Paese, deve essere profondamente modernizzata”. Mentre non risparmia una stilettata alla Cgil: “Con Epifani si riusciva a ragionare di più. Camusso forse parla troppo della Fiat e di Marchionne sui media e troppo poco con noi”.
Sul futuro dei rapporti tra Fiat e Chrysler, per Marchionne, le ipotesi sono tre: “Un’offerta pubblica delle azioni Chrysler; la possibilità che Fiat compri e salga al 100%; che avvenga una fusione tra le due industrie che comporterebbe l’automatica quotazione di Chrysler”. Mentre al mercato continentale servirebbe che l’Euro si indebolisse verso il dollaro e prodotti innovativi: “Chrysler è tornata al profitto ristrutturandosi, e cioè con le sue forze. Il primo modello a tecnologia Fiat è la Dart che cominceremo a vendere adesso”.
Per quanto riguarda gli stabilimenti oggi attivi in Italia, Mirafiori, Cassino, Atessa, Melfi e Pomigliano, l’ad Fiat non ha dubbi: “staranno tutti al loro posto” se le cose andranno come devono andare. “Abbiamo tutto per riuscire a cogliere l’opportunità di lavorare in modo competitivo anche per gli Stati Uniti, ma se non accadesse dovremmo ritirarci da 2 siti dei 5 in attività” aggiunge Marchionne, che conclude con un appello al governo: “Mi attendo che non dia altri incentivi alle rottamazioni. E’ vero, in passato li abbiamo chiesti anche noi. E abbiamo fatto male. Anche perché hanno sostenuto al 70% le vendite dei concorrenti”.
Fonte.
Considerazioni:
- Marchionne è un tirapiedi di Obama
- Il piano Fabbrica Italia era una stronzata
- CISL, UIL e CGIL (in modo più tangenziale) fanno gli interessi degli industriali
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