Alcuni scommettono che, come d’abitudine, avverrà un cambiamento
nella posizione russa verso la regione araba, simile a quello che
avvenne nel caso iracheno e in quello libico. Tuttavia, quest’ipotesi
può essere esclusa da una profonda analisi della posizione russa, per le
considerazioni che seguono. Sembra che la regressione russa non sia
possibile nel mondo d’oggi, dato che Mosca vede negli attuali eventi, e
nel confronto con l’Occidente, ossia con gli europei e gli statunitensi,
un’opportunità per formare un nuovo ordine mondiale, che superi quello
che ha prevalso nel periodo post-Guerra Fredda e dopo il crollo
dell’Unione Sovietica. Quest’ultimo, rappresentato dall’unipolarismo, ha
si è spostato verso il non-polarismo dopo la guerra in Libano del 2006.
Vladimir Putin ha espresso quest’idea in un messaggio del 14 gennaio
2012, nel quale ha annunciato che stiamo assistendo alla formazione d’un
nuovo ordine, diverso dall’unipolarismo. Ciò significa che Mosca andrà
fino in fondo negli sforzi per impedire che tale processo sia
scavalcato: anche fino ad un conflitto. La dichiarazione del Ministero
degli Esteri russo, secondo cui l’Occidente commetterebbe un grave
errore se attaccasse l’Iran (seguita da quella di Putin per cui, se
l’Occidente tentasse azioni unilaterali, la Russia non rimarrebbe inerte
ma reagirebbe con forza), non è altro che un ultimatum. Mosca, infatti,
non accetterà nessun accordo, tipo quelli presi a proposito dell’Iraq o
della Libia. Oggi tutto tende a un nuovo ordine mondiale, che
accompagna il ritiro strategico americano dall’Iraq: il presidente
Barack Obama ha annunciato la diminuzione delle forze statunitense da
750.000 a 490.000 unità e la riduzione del bilancio per la difesa a 450
miliardi di dollari.
Ciò comporterà l’incapacità di lanciare due operazioni militari nello
stesso tempo, ma avvia il confronto con la Cina nel Sudest asiatico,
che si sta lavorando ad armare. Il 7 gennaio 2012 Pechino ha risposto
dichiarando che “Washington non è più in grado d’impedire al Sole cinese
di sorgere”. Washington sta ricommettendo la follia d’affrontare la
Cina, avendo perso la battaglia con Mosca su molti fronti, sia nel gioco
del gas in Turkmenistan ed Iran, sia sulla costa orientale del
Mediterraneo (con l’annuncio della nuova strategia Washington si ritira
dalla regione, pur impegnandosi a garantire la stabilità e sicurezza del
Medio Oriente affermando che rimarrà vigile).
Putin, per quanto riguarda la sua strategia che va al di là dei
propositi elettorali, ha scritto quanto segue: “Il mondo è sulla soglia
di una fase di disordine che sarà lunga e dolorosa”. Quindi, Putin
afferma decisamente che la Russia non inseguirà le illusioni del sistema
unipolare che sta crollando, e che non potrà garantire la stabilità
mondiale in un momento in cui gli altri centri d’influenza non sono
ancora pronti per assumersi quest’onere. In altre parole, siamo di
fronte ad un lungo periodo di confronto con il sistema unipolare,
destinato a durare fin quando le altre potenze influenti non
cementeranno un Nuovo Ordine Mondiale.
Di solito, gli Statunitensi si ritirano quando le loro prospettive di
successo non sono né rapide né certe. Sanno molto bene quanto la loro
economia stia deteriorandosi e quanto ininfluente stia diventando la
loro forza militare, soprattutto dopo aver perso prestigio ricorrendo
troppo allo strumento bellico. Putin, pur realizzando che il tempo non
sta scorrendo all’indietro, invita i membri permanenti del Consiglio di
Sicurezza dell’ONU, del G8 e del G20 a fermare qualsiasi possibilità
d’emergere di tensioni etniche e sociali o di forze distruttive che
pongano una minaccia alla sicurezza mondiale. Questa è una chiara
indicazione del rifiuto della presenza di tendenze religiose nelle
posizioni decisionali e dei gruppi armati non statali. Questi gruppi
Putin li indica chiaramente come alleati degli Stati che stanno
esportando la democrazia militarmente e tramite coercizione. Mosca,
quindi, non si risparmierà nel fronteggiare tali tendenze politiche e
questi gruppi armati. Il Primo ministro russo conclude affermando che la
violazione del diritto internazionale non è più giustificabile, anche
se dietro ci fossero buone intenzioni. Ciò significa che i russi non
accetteranno nessun tentativo da parte della Francia, della Gran
Bretagna e degli Stati Uniti di sostituire il principio di sovranità con
quello d’intervento umanitario.
In realtà, gli USA non si possono completamente ritirare dal Medio
Oriente. Stanno semplicemente disponendo l’area per una “guerra per
procura”. Ciò accade in un momento in cui Putin ammette che le potenze
emergenti non sono ancora pronte a prendere la loro posizione nel nuovo
mondo non unipolare. Tali potenze emergenti sono la Cina, l’India, ed in
generale gli stati dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai.
Questo implica quanto segue:
Il mondo di oggi sarà più non-polarizzato di quanto lo è stato durante il periodo 2006-2011.
I conflitti saranno caratterizzati dall’essere globali, ma ci sarà un
linguaggio che si intensificherà fino ad arrivare sull’orlo del
baratro; avvisando dunque che tutto il mondo sarà a rischio di
scivolarvi dentro.
La regola secondo cui le super potenze non muoiono nel letto, è una
regola che richiama alla cautela a causa dei rischi di fughe in avanti;
soprattutto quando una super potenza si trova al di fuori del sistema
principale a cui era stata abituata fin dalla Seconda Guerra Mondiale, e
le sue opzioni si troveranno dunque ad oscillare tra il fare la guerra e
l’innalzare la tensione nelle aree d’influenza altrui. Finché la guerra
tra super potenze è resa difficile, se non impossibile, dagli armamenti
nucleari, l’aumento delle tensioni o l’avvio di guerre per procura
diventano alternative per i conflitti per (auto)fortificarsi sul piano
internazionale. C’è anche l’opzione di una ridistribuzione soddisfacente
delle zone d’influenza secondo una nuova Jalta. Oggi è fuori
discussione, ma in futuro chissà: nulla può essere escluso per sempre
nell’azione politica. Esiste una regola secondo cui è possibile
sconfiggere una superpotenza, ma è preferibile non farlo. Meglio
piuttosto permetterle di salvarsi la faccia e far coabitare le nuove e
le vecchie superpotenze. Ciò è avvenuto con Francia e Gran Bratagna dopo
la Seconda Guerra Mondiale.
La massima preoccupazione è per la continuità dello status quo che
tracima la ferocia della Guerra Fredda, differenziandosi però per gli
strumenti utilizzati finché gli Stati del Patto di Shanghai non saranno
in grado di prendere le loro posizioni. Ciò significa che le zone di
conflitto (Corea, Iran e Siria) saranno oggetto di un logoramento a
lungo termine, che nel linguaggio della politica contemporanea può
essere letto come “apertura” sull’effetto domino; cioè apertura
all’incalcolabile e senza precedenti, e passaggio da lotte limitate a
conflitti più azzardati. É certo che i paesi coinvolti nella scontro
saranno quelli coinvolti nella spartizione, e che la ripartizione
internazionale non dovrà necessariamente avvenire a loro spese, in
quanto fanno parte della lotta. Tutti gli altri paesi staranno ai
margini dello scontro oppure diventeranno strumenti di tale scontro,
oggetti della spartizione. Viste le regole della lotta internazionale
(tra cui quella per cui il coinvolgimento è parte della spartizione),
tali paesi non perdono l’iniziativa né la libertà di decisione ed
azione; essi devono seguire il principio della fermezza, una regola
basilare nella gestione delle crisi.
La realtà è che la gestione delle crisi sarà la regola che informerà
la fase in arrivo, che potrebbe durare per anni. Tuttavia, il rischio è
che si gestiscano le crisi con altre crisi, focalizzandosi su regioni
instabili come il Mediterraneo Orientale e l’Asia Sudorientale.
Fonte.
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