Dunque
i bidoni sono stati localizzati e si è accertato che sono aperti. Ne
aveva dato notizia il sito dell’ARPAT, che poi, dando prova della
consueta affidabilità, aveva fatto marcia indietro e alla fine invece ha
confermato. Non è certo sorprendente, dato che a 450 metri di
profondità c’è una pressione quasi 50 chilogrammi per centimetro
quadrato e già si sapeva che non potevano resistere all’infinito.
Anche
per questo era importante agire subito, e i due mesi che sono passati
tra l’incidente e l’inizio delle ricerche (tra l’altro i bidoni sono
stati individuati praticamente alla prima uscita sul posto della nave
Minerva Uno) possono aver avuto conseguenze catastrofiche. Di chi sono
le responsabilità del ritardo delle operazioni di recupero?
60+50=198
Intanto
si continua a fare confusione persino sul numero dei bidoni. Qualche
giorno fa la capitaneria aveva parlato, chissà perché, di 112 bidoni, e
il comandante della Minerva Uno aveva invece confermato che i bidoni
sono 198, sottraendo dal numero riportato sulle schede di carico (224)
quelli che sono rimasti a bordo del Venezia (26). Ma anche sul sito del Tirreno
era comparso uno strano calcolo per cui essendo stati individuati 60
bidoni “ne mancherebbero ancora 50”. Ogni tanto quindi spunta questa
strana cifra di 110 o 112 bidoni e non vorremmo che alla fine alla
Grimaldi si facesse lo “sconto” di un’ottantina di bidoni. Forse siamo
un po’ troppo dietrologi ma meglio tenere gli occhi aperti.
Ma la Minerva Uno è affidabile?
A
proposito della Minerva Uno, nessuno sembra notare che la nave
appartiene ad un’azienda privata (che si chiama SO.PRO.MAR), che è stata
noleggiata dalla Castalia (che è un consorzio di armatori) e lavora per
la Grimaldi. Non è la nave di Greenpeace e al comando non c’è Jacques
Cousteau. Non è un soggetto imparziale ma sta lavorando per i
responsabili del disastro. Quindi sarà bene che gli enti pubblici
competenti e i comitati popolari controllino attentamente che le
ricerche vengano fatte a regola d’arte e non nella forma più conveniente
per chi le paga. E anche i dati che la Minerva Uno comunica non è detto
che siano oro colato.
Il sindaco “tuona”
Dopo
la figura barbina della bugia secondo cui non era stato avvertito
subito del disastro, smascherata dai fax della Capitaneria, il sindaco
Cosimi si era defilato, come se la questione bidoni non fosse affar suo.
Dopo
un totale silenzio di un paio di settimane, forse più, è tornato in
questi giorni a esternare sulla stampa locale, dichiarandosi “scocciato”
da questa vicenda. “Scocciato” non è la parola giusta: avendo omesso
di· emanare il divieto di pesca per ragioni di sicurezza (la competenza è
sua) se si accertasse che il mare è inquinato già da tempo, e che il
pesce è contaminato, ci sarebbero gli estremi di qualche procedimento
giudiziario. Già le bugie di cui sopra renderebbero le dimissioni un
atto dovuto. Figuriamoci se emergesse questo tipo di responsabilità.
L’assessore è “irato”
L’inconsistenza
della Giunta comunale è stata così assoluta che sindaco e assessori non
li invitavano nemmeno più ai tavoli tecnici, e solo per gentile
intercessione della Regione si sono ricordati che a Livorno ci sono
anche un sindaco e qualche assessore. La Regione da un po’ di tempo ha
praticamente commissariato il Comune, decidendo direttamente su tutto
(rifiuti, porto, trasporti, sanità, ambiente...) per cui probabilmente
qualcuno ha ritenuto superfluo invitare anche le istituzioni cittadine,
ma stavolta a Firenze si è pensato che era meglio riesumarle, forse per
non avere l’esclusiva di una sgradita “visibilità negativa”.
La
stampa locale ci dice che questi mancati inviti hanno provocato
addirittura l’“ira” del commissario fiorentino all’ambiente Grassi. Ma
c’è poco da adirarsi. Quando si dimostra la più assoluta indifferenza
per i temi ambientali, si fa l’ultrà della Confindustria e ogni giorno
sui giornali si attaccano i comitati dei cittadini, poi quelli che
contano ti prendono per un servo sciocco e ti trattano come tale.
Il “governatore” ruggisce
Il
presidente della Regione invece “ruggisce” (ce lo riferisce il
"portavoce" del PD regionale Mario Lancisi) ma invece di ruggire sarebbe
stato meglio che avesse vigilato più attentamente sull’ARPAT (ente
regionale) che ha effettuato le analisi sui bidoni rimasti a bordo del
Venezia ad “appena” 45 giorni di distanza dall’incidente.
Un
ritardo colpevolissimo, perché solo con queste analisi si è potuto
accertare che le schede di carico contenevano indicazioni sbagliate
sulle sostanze “perse” in mare, e che nei bidoni c’era anche il nichel,
che a differenza del cobalto è solubile nell’acqua e quindi pone dei
problemi ben più gravi che andavano affrontati con ben altra
tempestività.
Ma si possono
dichiarare sulle schede di carico sostanze diverse da quelle che si
trasportano? In Italia non c’è più da stupirsi di nulla, ma a noi non
sembra tanto regolare.
I pesciaioli si preoccupano
In
questo clima di generale risveglio dal letargo si sono svegliati pure i
pesciaioli del mercato, che tempo fa avevano negato che ci fosse
qualsiasi problema e se la prendevano con “l’allarmismo dei soliti
ambientalisti”. Ora si lamentano del fatto di essere stati poco
informati. Probabilmente se invece di fare come gli struzzi avessero
ascoltato i “partecipatori di professione” sarebbero stati informati
adeguatamente, si sarebbero mossi prima e forse oggi si saprebbe con
certezza se il prodotto che vendono è mangiabile o meno. Anche nel loro
interesse. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Sarà per la
prossima volta.
Ma c’è anche chi non si preoccupa
L’unico
in città che non si preoccupa della faccenda bidoni è un tipo
stravagante che scrive su un giornaletto dell’imprenditoria locale. Lo
citiamo per chiudere con una nota umoristica una storia che purtroppo
non lo è affatto (ricordiamo la situazione drammatica che stanno vivendo
i pescatori).
Leggiamo cosa scriveva qualche giorno fa:
“Mi
consentirete di chiedermi, sulla base delle leggi dell’economia, se il
gioco vale la candela: ovvero se le spese che si stanno affrontando per
la ricerca dei bidoni -e che si dovranno affrontare per l’eventuale
recupero- sono commisurate o meno alla loro reale pericolosità· (...)
Come certo saprete, la società· che aveva spedito i bidoni per lo
smaltimento sostiene che non sono inquinanti per l’ambiente (...). Tutta
la vicenda mi sembra ammantata di demagogia, di semplicioneria e di
quel pseudo-ambientalismo da bar che già·tanto male ha fatto al Paese”.
Probabilmente ha mangiato del pesce contaminato e queste sono le prime terribili conseguenze.
Gli
ricordiamo un vecchio detto degli indiani d’America, che suonava più o
meno così: “Quando l'ultima fiamma sarà spenta, l'ultimo fiume
avvelenato, l'ultimo pesce catturato, allora capirete che non si può
mangiare denaro”
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