A un anno dall’inizio della rivolta contro Muammar Gheddafi, il 17
febbraio 2011 e a quattro mesi dall’uccisione del leader libico a Sirte,
le speranze di una nuova Libia appaiono a rischio, «minacciate» dalle
nuove violazioni dei diritti umani commesse dalle milizie degli ex
insorti ormai «nella più completa impunità». Con forza lo denuncia un
rapporto di Amnesty International reso pubblico ieri. Su questo abbiamo
rivolto alcune domande a Donatella Rovera, responsabile per le crisi e i
conflitti di Amnesty international, appena rientrata da Tripoli.
Il vostro rapporto ha un titolo molto significativo: «Le milizie minacciano le speranze per una nuova Libia»…
Nel senso che chiaramente la speranza delle persone che sono uscite
in strada un anno fa, rischiando la loro vita per manifestare contro
Gheddafi, era quella di avere un paese con uno stato di diritto e di
sicurezza. Quello che vediamo oggi è che non c’è uno stato di diritto e
il sistema giudiziario è assolutamente paralizzato mentre le autorità
nazionali rappresentate dal Cnt, il Consiglio nazionale transitorio,
sono, almeno finora, restie a prendere certe misure, a fare giuistizia, a
investigare, a iniziare con procedimenti contro coloro che commettono
queste violazioni ormai da mesi e che godono di assoluta impunità. Sono
tornata l’altro ieri dalla Libia e sono le richieste di tutte le
persone che incontri. Ci dicono che ormai la guerra è finita e che è il
momento che le armi tacciano, non le vogliono più vedere in strada,
che bisogna passare ad un’altra fase, appunto allo stato di diritto. Ma
è la fase che proprio non è iniziata perché finora c’è un’assenza
totale di indagini e procedimenti che sono alla base dello stato di
diritto. Senza questo non si può sapere chi ha fatto cosa, chi è
colpevole, chi deve andare in prigione, chi è innocente. È un vuoto che
consente chiaramente alle milizie di sentirsi assolutamente potenti. E
hanno ragione, perché per il momento sono la forza più potente della
Libia. Il Cnt finora ha dimostrato una mancanza di volontà politica per
mettere sotto controllo le milizie. Sono restii ad ammettere che è un
problema di alto livello, invece continuano a parlare di casi
individuali, di «errori». Non riconoscendo l’importanza del problema
non prendono le misure necessarie e questa non è la loro priorità.
A gennaio e a febbraio avete come Amnesty International
inviato delegati in 11 centri di detenzione controllati dagli ex
insorti, nel centro e nell’ovest libico, documentando casi di persone
incarcerate illegalmente e di persone torturate a volte fino alla morte…
In uno soltanto degli 11 centri di detenzione che abbiamo visitato
abbiamo trovato i detenuti che ci hanno detto che lì non c’era tortura,
solo perché le persone erano state torturate dalle milizie nelle loro
sedi e poi erano state portano nel carcere. Per ognuno degli altri 10
centri che ho visitato in questo mese in Libia ho trovato molte persone
che sono state torturate gravemente e anche torturate fino a poche ore
prima della mia visita. Quindi i casi di tortura continuano, non sono
solo abusi del passato, ci sono persone che sono state torturate tre
mesi fa e che continuano ad essere torturate periodicamente durante gli
interrogatori, persone che sono state incarcerate molto recentemente e
che vengono torturate proprio adesso. In un paio di centri ho visto
detenuti, che le autorità avevano cercato di nascondere, che erano in
condizioni fisiche terribili, da non poter stare in piedi, da non poter
nemmeno parlare per quanti maltrattamenti avevano subito nei giorni e
nelle ore precedenti.
Secondo il rapporto tutto questo accade nei centri di
detenzione di Tripoli, Gharyan, Misurata, Sirte e Zawiyah dove le
persone sono state frustate anche con tubi di plastica e catene di
ferro…
Sì. Certo questi sono i casi che noi abbiamo visto, questi sono i
centri di detenzione che abbiamo visitato quando eravamo in Libia.
Chiaramente ce ne sono decine, centinaia di altri centri di detenzione
che noi non abbiamo visitato. Ma abbiamo visto persone con ferite
aperte perché erano state picchiate con fruste oppure con cavi
elettrici usati come fruste, con catene di ferro, e poi sospesi per i
polsi. Mettono le manette e poi li sospendono sopra una porta, usano
scosse elettriche, con pezzi di pelle sparsi a causa di questi
elettoshock. In alcuni casi estremi, dopo questo trattamento le persone
detenute sono morte. Abbiamo verificato che almeno 12 persone sono
morte da settembre sotto tortura.
Denunciate crimini di guerra commessi dalle milizie
incontrollabili contro presunti lealisti di Gheddafi. Quali crimini di
guerra, ci sono state esecuzioni?
I crimini di guerra sono essenzialmente di tre tipi. Il primo è
appunto la detenzione illegale e la tortura, perché la pratica della
tortura è alta, abbastanza di routine. Il secondo riguarda le
cosiddette esecuzioni extragiudiziali, com’è accaduto per le persone
catturate, sia combattenti che civili, a Sirte. Perché quando sono
entrate le milizie non hanno fatto tanta differenza e gruppi di persone
imprigionate sono state freddamente assassinate. Un caso che io ho
investigato particolarmente riguarda un gruppo di persone che sono state
catturate a Sirte il 20 ottobre scorso e sono state perfino riprese in
un video filmato dalle milizie stesse: vengono interrogate,
maltrattate, insultate, minacciate di morte e poi si sente nel video
uno dei miliziani che dice :«Prendili e ammazzali tutti». I corpi di
queste 29 persone sono stati ritrovati, con altri – in totale ce
n’erano 65 – nel cortile dell’hotel di Sirte che serviva da base alle
milizie degli insorti di Misurata; i cadaveri sono stati trovati tre
giorni dopo l’ingresso degli organismi umanitari. Io ho potuto parlare
con le famiglie, ho potuto visionare vari video filmati dalle milizie
stesse nei quali sono visibili i volti di alcuni miliziani. Eppure,
anche in un caso così flagrante, le autorità non hanno per il momento
iniziato alcuna indagine e procedimento. Il terzo tipo di crimine di
guerra è l’accanimento contro popolazioni che sono sospettate a torto o
a ragione di avere in parte sostenuto o lavorato con le forze di
Gheddafi. Parlo delle popolazioni espulse dalle loro case che hanno
avuto le abitazioni subito distrutte e bruciate, come è accaduto alla
città di Tawerga o a Mashasha e in altre località. Tawerga aveva 30mila
abitanti, non c’è più una sola persone in questa città, sono stati
tutti espulsi con la forza e le loro case sono state sistematicamente
bruciate una ad una, e dal mese di agosto 2011 vivono in campi di
fortuna in giro per la Libia. Anche in questo caso le autorità non
hanno fatto nulla né per accusare chi ha commesso questi crimini, né
per aiutare con l’assistenza e la protezione permettendo il loro
ritorno e la ricostruzione delle loro case e della loro vita. Certo, è
vero che una parte della popolazione di Misurata faceva parte delle
forze di sicurezza di Gheddafi o magari erano volontari che hanno
commesso crimini nel contesto della guerra. Uno stato di diritto
avrebbe dovuto arrestarli e sottoporli a procedimento legale. Così è
solo vendetta contro la quasi totalità della popolazione, contro
bambini, vecchi, malati.
E l’accanimento contro gli immigrati africani?
Il problema si è un po’ ridotto ora perché l’Organizzazione
Internazionale dell’Immigrazione ha portato via la grandissima
maggioranza dei migranti che erano assolutamente a rischio durante la
guerra. Sappiamo che nei primissimi giorni dell’insurrezione ci sono
stati attacchi gravissimi contro gli africani, uccisi, impiccati dai
ponti o dagli edifici istituzionali come la corte di Bengasi. E questo
solo perché erano africani neri e automaticamente presunti mercenari.
Su questo punto le autorità del Cnt devono ora riconoscere che la
propaganda che loro stessi hanno fatto era basata su informazioni
assolutamente false. Adesso, con il passare del tempo, sappiamo che non
c’erano decine di migliaia di mercenari africani con le forze di
Gheddafi, ma probabilmente qualche decina di persone. È stata quella
degli insorti una propaganda, una falsificazione, dagli esiti
catastrofici perché ha fatto scattare in tutta la Libia la caccia al
nero dai primissimi giorni dopo il 17 febbraio, mettendo tutti gli
africani in gravissimo rischio.
Avete inviato una copia del vostro rapporto alla Nato,
intervenuta il 19 marzo con i primi bombardamenti per «proteggere i
civili»?
Sì, abbiamo scritto alla Nato chiedendo informazioni su casi
dove le loro azioni militari sono risultate devastanti per i civili. Ed
è impensabile che non sappiano quello che hanno provocato. Comunque
adesso è importante che i paesi che hanno sostenuto il Cnt si assumano
le loro responsabilità e fermino le violazioni dei diritti umani.
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