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19/02/2012

In Libia regnano impunità, vendetta e tortura

A un anno dall’inizio della rivolta contro Muammar Gheddafi, il 17 febbraio 2011 e a quattro mesi dall’uccisione del leader libico a Sirte, le speranze di una nuova Libia appaiono a rischio, «minacciate» dalle nuove violazioni dei diritti umani commesse dalle milizie degli ex insorti ormai «nella più completa impunità». Con forza lo denuncia un rapporto di Amnesty International reso pubblico ieri. Su questo abbiamo rivolto alcune domande a Donatella Rovera, responsabile per le crisi e i conflitti di Amnesty international, appena rientrata da Tripoli.

Il vostro rapporto ha un titolo molto significativo: «Le milizie minacciano le speranze per una nuova Libia»…
Nel senso che chiaramente la speranza delle persone che sono uscite in strada un anno fa, rischiando la loro vita per manifestare contro Gheddafi, era quella di avere un paese con uno stato di diritto e di sicurezza. Quello che vediamo oggi è che non c’è uno stato di diritto e il sistema giudiziario è assolutamente paralizzato mentre le autorità nazionali rappresentate dal Cnt, il Consiglio nazionale transitorio, sono, almeno finora, restie a prendere certe misure, a fare giuistizia, a investigare, a iniziare con procedimenti contro coloro che commettono queste violazioni ormai da mesi e che godono di assoluta impunità. Sono tornata l’altro ieri dalla Libia e sono le richieste di tutte le persone che incontri. Ci dicono che ormai la guerra è finita e che è il momento che le armi tacciano, non le vogliono più vedere in strada, che bisogna passare ad un’altra fase, appunto allo stato di diritto. Ma è la fase che proprio non è iniziata perché finora c’è un’assenza totale di indagini e procedimenti che sono alla base dello stato di diritto. Senza questo non si può sapere chi ha fatto cosa, chi è colpevole, chi deve andare in prigione, chi è innocente. È un vuoto che consente chiaramente alle milizie di sentirsi assolutamente potenti. E hanno ragione, perché per il momento sono la forza più potente della Libia. Il Cnt finora ha dimostrato una mancanza di volontà politica per mettere sotto controllo le milizie. Sono restii ad ammettere che è un problema di alto livello, invece continuano a parlare di casi individuali, di «errori». Non riconoscendo l’importanza del problema non prendono le misure necessarie e questa non è la loro priorità.

A gennaio e a febbraio avete come Amnesty International inviato delegati in 11 centri di detenzione controllati dagli ex insorti, nel centro e nell’ovest libico, documentando casi di persone incarcerate illegalmente e di persone torturate a volte fino alla morte…
In uno soltanto degli 11 centri di detenzione che abbiamo visitato abbiamo trovato i detenuti che ci hanno detto che lì non c’era tortura, solo perché le persone erano state torturate dalle milizie nelle loro sedi e poi erano state portano nel carcere. Per ognuno degli altri 10 centri che ho visitato in questo mese in Libia ho trovato molte persone che sono state torturate gravemente e anche torturate fino a poche ore prima della mia visita. Quindi i casi di tortura continuano, non sono solo abusi del passato, ci sono persone che sono state torturate tre mesi fa e che continuano ad essere torturate periodicamente durante gli interrogatori, persone che sono state incarcerate molto recentemente e che vengono torturate proprio adesso. In un paio di centri ho visto detenuti, che le autorità avevano cercato di nascondere, che erano in condizioni fisiche terribili, da non poter stare in piedi, da non poter nemmeno parlare per quanti maltrattamenti avevano subito nei giorni e nelle ore precedenti.  

Secondo il rapporto tutto questo accade nei centri di detenzione di Tripoli, Gharyan, Misurata, Sirte e Zawiyah dove le persone sono state frustate anche con tubi di plastica e catene di ferro…
Sì. Certo questi sono i casi che noi abbiamo visto, questi sono i centri di detenzione che abbiamo visitato quando eravamo in Libia. Chiaramente ce ne sono decine, centinaia di altri centri di detenzione che noi non abbiamo visitato. Ma abbiamo visto persone con ferite aperte perché erano state picchiate con fruste oppure con cavi elettrici usati come fruste, con catene di ferro, e poi sospesi per i polsi. Mettono le manette e poi li sospendono sopra una porta, usano scosse elettriche, con pezzi di pelle sparsi a causa di questi elettoshock. In alcuni casi estremi, dopo questo trattamento le persone detenute sono morte. Abbiamo verificato che almeno 12 persone sono morte da settembre sotto tortura.  

Denunciate crimini di guerra commessi dalle milizie incontrollabili contro presunti lealisti di Gheddafi. Quali crimini di guerra, ci sono state esecuzioni?
I crimini di guerra sono essenzialmente di tre tipi. Il primo è appunto la detenzione illegale e la tortura, perché la pratica della tortura è alta, abbastanza di routine. Il secondo riguarda le cosiddette esecuzioni extragiudiziali, com’è accaduto per le persone catturate, sia combattenti che civili, a Sirte. Perché quando sono entrate le milizie non hanno fatto tanta differenza e gruppi di persone imprigionate sono state freddamente assassinate. Un caso che io ho investigato particolarmente riguarda un gruppo di persone che sono state catturate a Sirte il 20 ottobre scorso e sono state perfino riprese in un video filmato dalle milizie stesse: vengono interrogate, maltrattate, insultate, minacciate di morte e poi si sente nel video uno dei miliziani che dice :«Prendili e ammazzali tutti». I corpi di queste 29 persone sono stati ritrovati, con altri – in totale ce n’erano 65 – nel cortile dell’hotel di Sirte che serviva da base alle milizie degli insorti di Misurata; i cadaveri sono stati trovati tre giorni dopo l’ingresso degli organismi umanitari. Io ho potuto parlare con le famiglie, ho potuto visionare vari video filmati dalle milizie stesse nei quali sono visibili i volti di alcuni miliziani. Eppure, anche in un caso così flagrante, le autorità non hanno per il momento iniziato alcuna indagine e procedimento. Il terzo tipo di crimine di guerra è l’accanimento contro popolazioni che sono sospettate a torto o a ragione di avere in parte sostenuto o lavorato con le forze di Gheddafi. Parlo delle popolazioni espulse dalle loro case che hanno avuto le abitazioni subito distrutte e bruciate, come è accaduto alla città di Tawerga o a Mashasha e in altre località. Tawerga aveva 30mila abitanti, non c’è più una sola persone in questa città, sono stati tutti espulsi con la forza e le loro case sono state sistematicamente bruciate una ad una, e dal mese di agosto 2011 vivono in campi di fortuna in giro per la Libia. Anche in questo caso le autorità non hanno fatto nulla né per accusare chi ha commesso questi crimini, né per aiutare con l’assistenza e la protezione permettendo il loro ritorno e la ricostruzione delle loro case e della loro vita. Certo, è vero che una parte della popolazione di Misurata faceva parte delle forze di sicurezza di Gheddafi o magari erano volontari che hanno commesso crimini nel contesto della guerra. Uno stato di diritto avrebbe dovuto arrestarli e sottoporli a procedimento legale. Così è solo vendetta contro la quasi totalità della popolazione, contro bambini, vecchi, malati.  

E l’accanimento contro gli immigrati africani? 
Il problema si è un po’ ridotto ora perché l’Organizzazione Internazionale dell’Immigrazione ha portato via la grandissima maggioranza dei migranti che erano assolutamente a rischio durante la guerra. Sappiamo che nei primissimi giorni dell’insurrezione ci sono stati attacchi gravissimi contro gli africani, uccisi, impiccati dai ponti o dagli edifici istituzionali come la corte di Bengasi. E questo solo perché erano africani neri e automaticamente presunti mercenari. Su questo punto le autorità del Cnt devono ora riconoscere che la propaganda che loro stessi hanno fatto era basata su informazioni assolutamente false. Adesso, con il passare del tempo, sappiamo che non c’erano decine di migliaia di mercenari africani con le forze di Gheddafi, ma probabilmente qualche decina di persone. È stata quella degli insorti una propaganda, una falsificazione, dagli esiti catastrofici perché ha fatto scattare in tutta la Libia la caccia al nero dai primissimi giorni dopo il 17 febbraio, mettendo tutti gli africani in gravissimo rischio.  

Avete inviato una copia del vostro rapporto alla Nato, intervenuta il 19 marzo con i primi bombardamenti per «proteggere i civili»?
Sì, abbiamo scritto alla Nato chiedendo informazioni su casi dove le loro azioni militari sono risultate devastanti per i civili. Ed è impensabile che non sappiano quello che hanno provocato. Comunque adesso è importante che i paesi che hanno sostenuto il Cnt si assumano le loro responsabilità e fermino le violazioni dei diritti umani.

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