Tutta
acqua al mulino di chi, sabato 25 febbraio, darà vita alle 54
iniziative in altrettante città della giornata di mobilitazione contro
gli F35. Una protesta che potrebbe montare sebbene la fase politica sia
tra le meno in fermento della storia e il parlamento in carica sia il
più belligerante che si ricordi e il governo si appresti a perseverare
in un progetto dispendioso all’ombra di una finta riforma delle forze
armate. Un gioco di prestigio, secondo la Rete Disarmo, funzionale al
famigerato Nuovo modello di difesa. Si tratta solo di un riequilibrio
delle voci in bilancio, quello che si risparmierà sulle spese per il
personale verrà dilapidato in armamenti a tutto vantaggio dell’apparato
militare industriale. Secondo dati della Nato, la spesa militare
italiana resterà intorno all’1,4% del Pil e non sotto l’1 come cerca di
far credere via XX Settembre. Di Paola procede a tappe forzate
evitando come la peste un confronto in Parlamento e senza mai chiarire i
numeri forniti palesemente errati anche secondo gli addetti ai lavori.
La Rete Disarmo (Sbilanciamoci, Tavola della Pace e ControllArmi) da
due anni sta raccogliendo firme, promuovendo mozioni negli enti locali e
proverà a interpellare i parlamentari collegio per collegio.
Quello
del caccia F-35 è un programma che ad oggi ci è costato già 2,7
miliardi di euro nell’ambito del più grande progetto aeronautico
militare della storia, costellato di problemi, sprechi e budget sempre
in crescita. Altri paesi partecipanti - tra cui Gran Bretagna, Norvegia,
Olanda, Danimarca e gli stessi Stati Uniti capofila! - hanno sollevato
dubbi e rivisto la propria partecipazione mentre gli organi
indipendenti di monitoraggio come il Gao ne hanno messo in rilievo la
lievitazione dei costi fino a produrre un braccio di ferro anche tra
Pentagono - che punta al prezzo fisso - e Lockheed Martin disponibile a
uno sconto del 20%. Intanto, solo nel mese di ottobre 2011, il
Dipartimento della difesa Usa ha chiesto 725 richieste di modifiche
tecniche perché il programma farebbe acqua. Un costosissimo colabrodo
vittima anche di furti informatici. I partner hanno già scelto o stanno
per scegliere di ridimensionare l’impegno e tutti sono impegnati in un
braccio di ferro con gli States per strappare i fatidici ritorni
industriali dietro cui giustificare la scelta. Ma, come spiega il
dossier, l’occupazione è solo un miraggio mentre quei soldi potrebbero -
e dovrebbero - servire a uscire dalla crisi rilanciando welfare,
redditi e lavoro in sintonia con l’articolo 11 e molti altri della
Costituzione. Vale la pena ricordare che, con il costo di uno solo di
quegli aggeggi si potrebbe costruire 387 asili nido con 11.610 famiglie
beneficiarie e circa 3.500 nuovi posti di lavoro oppure 21 treni per i
pendolari con 12.600 posti a sedere oppure 32.250 borse di studio per
gli studenti universitari oppure 258 scuole italiane messe in sicurezza
(rispetto norme antincendio, antisismiche, idoneità statica) oppure
18.428 ragazzi e ragazze in servizio civile oppure 17.200 lavoratori
precari coperti da indennità di disoccupazione oppure 14.742 famiglie
con disabili e anziani non autosufficienti aiutate con servizi di
assistenza. Riuscire a non far comprare quei caccia potrebbe essere un
primo passo.
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