Di tanto in tanto scoppia uno scandalo di cosidetta malasanità, e
ecco che si invocano i carabinieri, meglio i NAS, che sembrano più
competenti e meno caramba. Ma siamo certi che i carabinieri siano la
risposta giusta ai problemi degli ospedali e della sanità pubblica? Non
ho mai saputo di un carabiniere che sappia operare o curare il cancro,
col che gli scandali e le malversazioni come le sciatterie ci sono,
eccome, però sono l’albero che in qualche modo nasconde la foresta, o,
per dirla in altro modo, quando il saggio indica la luna con l’indice
puntato lo stolto guarda il dito, e la luna non la vede. Racconterò
adesso alcune storie che vengono dalla mia diretta esperienza acquisita
frequentando un grande ospedale, il S. Orsola di Bologna. Un buon, se
non ottimo, ospedale nonché clinica universitaria, con alcuni reparti di
eccellenza, tanto è vero che ospita pazienti provenienti da tutta
Italia. Uno dei reparti migliori è certamente quello di chirurgia
d’urgenza, e anche uno dei più trafficati. Allora il medico, un bravo
chirurgo, ti disegna la road map per così dire: lei viene lunedì in day
hospital, facciamo tutte le analisi, quindi martedì la operiamo al
mattino presto e alla sera va a casa, se tutto va come deve. In fondo è
una operazione urgente ma non troppo difficile.
Poi però succede che il day hospital non è come una volta,
dove stavi in una stanza con letto e tutto, e ti chiamavano dai vari
reparti d’analisi quando era il tuo turno; no, adesso caracolli da un
corridoio all’altro, mescolato a tutti in file interminabili e con i
tuoi risultati sottobraccio alla fine della giornata ti avvii al
reparto. Dove però il tuo posto letto è già stato riempito da qualcuno
più urgente, quindi tornerai il venerdì successivo. Perché i posti letto
sono stati ridotti, così come le stanze per day hospital, e lo stesso
vale per il numero di infermieri, di medici, di macchine per le analisi,
in genere delicate e quindi soggette a guasti nonché bisognose di
manutenzioni frequenti, ma ormai spesso non ce le si può permettere, le
manutenzioni regolari. Come convenuto il disciplinato paziente arriva di
venerdì alle ore sette del mattino, ma il letto non c’è, non per
cattiva volontà, perché sono pochi i letti. Quindi fino a oltre
mezzogiorno il paziente ormai spazientito aspetta in sala d’attesa, e
verso le due finalmente comincia l’iter che lo porterà in sala
operatoria. E poi passa la notte in reparto quando l’ospedale si
spopola, anche qui c’è una terribile mancanza di personale, rarissime
infermiere, nessun medico. I medici di guardia per esempio, specie il
sabato e domenica sono giovani senza esperienza e pagati a gettone,
credo 150 euro a notte. Il chirurgo, che è bravissimo e di chiara fama,
opera a volte ininterrottamente da sei a otto ore, cose semplici, cose
difficilissime, pensateci: otto ore col bisturi in mano in un lavoro di
grande grandissima responsabilità. Quando esce è stanco, irritabile, con
poco tempo per occuparsi dei malati, rincuorarli, ascoltarli,
assisterli. Il nostro paziente protagonista ha misurato anno per anno i
guasti dovuti alle drastiche riduzioni di bilancio, e il tentativo
assurdo di trattare la salute come un business, come un affare. Dal
2004, anno in cui per la prima volta ci mise piede, a oggi, avendolo
frequentato anche una volta al mese e più durante lunghi periodi.
Laddove c’erano due infermiere/i adesso ce ne è uno/a, laddove c’erano
due macchine terapeutiche adesso ce ne è una, laddove c’erano due medici
esperti adesso ce ne è uno coadiuvato, quando va bene, da uno/a
specializzando/a, laddove facevi quattro chiacchiere, altamente
terapeutiche sottolineo, adesso è tanto se ti saluti e chiedi notizie
della famiglia, se per una analisi attendevi in fila un paio d’ore,
adesso se ne vanno tre se non più, tutti sono più nervosi, pazienti e
operatori sanitari, meno educati, meno attenti, più stanchi, più
frustrati. E il nostro protagonista sta nella corsia privilegiata, si fa
per dire, dei “grandi” malati, per cui le analisi di controllo sono
prenotate con mesi d’anticipo, e ormai conoscendo tutti è diventato
abile a aggirare gli ostacoli burocratico amministrativi.
Già perché se i bilanci diminuiscono,
se i medici diminuiscono, se gli infermieri/e diminuiscono, se i letti
diminuiscono, eccetera però la burocrazia cresce, e cresce l’ossessione
del controllo, ovvero il sistema perde intelligenza e umanità
terapeutica, diventando più ottuso e sempre meno esperto in medicina, ma
sempre più competente e vessatorio in amministrazione. Allora la vera
domanda non attiene la malasanità, ma fin quando si potrà tagliare la
sanità pubblica, trattandola come una azienda dedita al profitto e non
alla salute, senza che alla fine la cosidetta malasanità permei e
contamini tutto l’insieme, anche ospedali ottimi come il S. Orsola di
Bologna, dove il personale in genere è appassionato e competente. Senza
dimenticare che accentuando i carichi di lavoro in modo ormai vicino al
limite, aumenta la probabilità d’errore, dopo una certa soglia in modo
esponenziale, e se un fornaio sbaglia al massimo brucia una infornata di
pane, ma se un chirurgo sbaglia in sala operatoria ne va di mezzo la
vita di un essere umano. Aumenta la probabilità d’errore e diminuisce la
possibilità di aggiornamento, di studio, di sperimentazione delle nuove
tecniche terapeutiche. Sono per esempio state fatte al S. Orsola
invenzioni che hanno permesso di curare tumori molto aggressivi, e che
vanno coltivate, estese, insegnate, ma se tempo non ne hai perché sei in
reparto dalla sette del mattino alle sette di sera, quel sapere si
corrode e viene disperso, è un capitale di vite umane salvate e da
salvare che, in nome del profitto e dell’austerità, rischi di
indebolirsi fortemente, se non annichilirsi.
Allora così stando le
cose, i cittadini devono non tanto prendersela con medici e personale
sanitario chiamando magari i carabinieri o minacciando denunce a destra e
a manca, ma insieme ai medici e al personale sanitario, impegnarsi a
monitorare il degrado prodotto dai tagli alla sanità pubblica,e ancor
più il degrado mentale e di comportamento e di organizzazione, prodotto
da una concezione che misura l’efficienza del sistema sanitario dal
profitto e dai conti in danaro, e non in salute pubblica e individuale.
Gli ospedali pubblici italiani sono un bene pubblico, un bene dei
cittadini, uno dei più preziosi. C’è chi li vuole affossare e
impoverire, sia dal punto di vista dell’ospitalità che della cura che
della ricerca scientifica, facendone sostanzialmente dei luoghi di
assistenza per i poveri secondo il modello USA, e per capirlo basta
guardare come la troika di BCE, UE, FMI, sta devastando la sanità in
Grecia. Vogliono affossare e svilire gli ospedali pubblici per avere
campo libero al guadagno sulla pelle dei malati, la cosa più ignobile, e
sta a noi cittadini difenderli, e anzi accrescerli.
Chissà se
il senatore Marino PD, col suo collega del PDL, quando hanno scoperto e
giustamente denunciato il caso romano della signora abbandonata legata
su una lettiga per giorni, si sono ricordati di quante volte loro, o
comunque i loro gruppi, hanno votato a favore dei tagli alla sanità
pubblica, in nome, va da sé, della salvezza nazionale del profitto e del
debito, chiedendosi magari se non ci fosse anche una loro
responsabilità come parlamentari della Repubblica per lo stato attuale
degli ospedali pubblici.
Altro che NAS, qua ci vogliono
medici, infermieri, tecnologie, corsi d’aggiornamento, stanze belle e
ampie, rapporti distesi nel tempo tra malati e terapeuti, una politica
di cura attenta, a cui partecipino e su cui possano metter bocca i
cittadini, quotidianamente. Altrimenti cari concittadini, la malasanità
tra un po’ ci parrà un scherzo, in pochi pochissimi anni il degrado sta
già mordendo i garretti di strutture d’eccellenza. Giova saperlo ora per
intraprendere azioni efficaci di contrasto, invece di lamentarsene
lanciando alti scandalizzati lai dopo, quando il male, il degrado, si
sarà propagato a rischio di diventare inestirpabile. Insomma va capito, e
detto, anzi urlato, che la sanità è un terreno di cui vogliono
appropriarsi le potenti multinazionali e corporations del settore, uno
di quelli che assicura i profitti più alti, e facili, tutti prima o poi
in ospedale finiscono, e sulla salute non lesinano, la salute è una
merce che si vende sempre. Se glielo permetteremo.
Fonte.
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