Curioso
che nella bozza di intesa non si parli più del pareggio di bilancio in
costituzione, vera costituzionalizzazione del liberismo in Italia. E’
possibile che non la si sia inserita per non rovinare l'equilibrio
politico che ha costruito il valore di questa vera e propria cambiale a
governare, per Mario Monti, che questa bozza rappresenta. Ma è anche
probabile che questo dibattito sia superato dagli eventi. Se il fiscal
compact, l’armonizzazione delle politiche fiscali e di bilancio decisa a
livello Ue e governata dalla Germania, vedrà veramente la luce non ci
sarà bisogno di inserire alcuna costituzionalizzazione del pareggio in
bilancio (a meno che non si finisca per chiederlo all’Italia solo al
momento opportuno, anche perché c’è molta confusione in materia). Se lo
SME, il sistema di stabilizzazione finanziaria continentale, sarà
ultimato si arriverà poi ad un livello di autonomia completo delle
istituzioni sovranazionali nei confronti di qualsiasi paese (lo SME ha
esclusivamente potere coercitivo sugli altri paesi, non può subire alcun
procedimento giuridico dai paesi membri e non è tenuto alla trasparenza
degli atti, ecco il medioevo legale-monetario che sta dietro la
retorica di Napolitano sull’Europa). A quel punto la
costituzionalizzazione del bilancio la puoi mettere o meno tanto le
politiche fiscali e di budget diventano automatismi sovranazionali
estremamente più accentuati di oggi e i fondi per la stabilizzazione
finanziaria li decide un organismo irraggiungibili dagli ordinamenti
nazionaliti. Assumendo così uno stato quasi metafisifico, al di là del
bene e del male. Il nuovo (si fa per dire) impeto liberale italiano,
impersonificato dalla maschera di Alfano come quella di Casini e
Bersani, risponde quindi con l’autoritarismo a quello che è uno
conclamato processo continentale che prevede una secca perdita di
sovranità, senza contropartite, da parte dei buona parte degli stati
membri (ma non tutti). Un’autoritarismo senza sovranità non è un
paradosso: è solo uno spostamento nelle modalità di esercizio del potere
nazionale. Che viene esercitato in virtù dell’essere nodo di un
dispositivo dove il potere nazionale non è conferito tanto, a parte le
forme, dalla sovranità popolare. Ma dalla forza fenomenotecnica,
sovranazionale, finanziaria, di governance del dispositivo stesso. Che
per legittimare su base nazionale chiede economicità e verticalizzazione
dei processi decisionali in loco. Non ha poi tanta importanza se il
fiscal compact è ancora, nonostante le dichiarazioni ufficiali,
un’astronave giuridico-fiscale per niente completata o se lo SME,
nonostante che il parlamento italiano lo debba approvare entro l’estate,
debba ancora trovare forma, fondi e funzioni definite. Ad ogni
necessità di ristrutturazione il potere istituzionale italiano si farà
comunque più autoritario e il maggiore partito del centrosinistra si
sposterà più a destra. Questa si che è una regola aurea. Destinata a
durare fino a che questo sistema tolemaico e autoreferenziale della
politica italiana non verrà crepato dalle istanze, anche centrifughe,
della complessità sociale.
Come di consueto una validissima analisi, che chiarifica la migrazione del potere politico italiano verso la rappresentanza parlamentare della finanza globale, in netta antitesi con la Prima Repubblica in cui i partiti erano referenti e strozzini del capitalismo nazionale, ma anche con la Seconda, in cui la politica divenne il braccio istituzionale di una capitalismo personificato, che per 20 anni ha fatto il doppio gioco con la finanza estera, salvo essere violentemente disarcionato non appena tentò di prendere troppo il largo.
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