Lenin ha chiamato social-imperialisti i socialdemocratici tedeschi che nel loro rifiuto verso lo zar di Russia hanno difeso la guerra del 1914; Mao ha cambiato il termine di per sé già negativo per riferirsi all’Unione Sovietica e così condannare la sua alleanza con gli USA, l’imperialismo “decadente”. Oggi, quel termine può trasmettere l’ipocrisia degli “interventi/guerre umanitarie”, e l’impossibile unione di due idee contrarie.
Due anni dopo l’attacco indiscriminato della NATO contro lo Stato libico che ha causato la morte di migliaia di persone - per liberarle da Gheddafi!- , ha distrutto buona parte del paese e ha posto termine alla Libia come Stato, si vanno conoscendo le falsità vomitate dai nemici stranieri del paese (vedi Complot contra Libia). Obama e Cameron, nella loro propaganda di guerra, hanno accusato Gheddafi di commettere “genocidio” (annichilimento sistematico di un gruppo etnico, razziale o religioso come accaduto in Ruanda, Congo o Darfur) contro il suo popolo, termine scelto attentamente che permetteva alla NATO di intervenire in Libia applicando la dottrina dalle uova d’oro della Responsabilità di Proteggere (R2P) dell’ONU - che non è stata applicata alla popolazione di Gaza o del Barhein -. Poco è importato che lo stesso Robert Gates, segretario alla Difesa degli USA, confessasse che non avevano potuto confermare quel fatto. Poi, hanno esagerato con “la morte di decine di migliaia di civili”, nello stesso momento in cui Amnesty International confutava personaggi come il procuratore capo della Corte Penale Internazionale Luis Moreno-Ocampo quando parlava dello “stupro di donne libiche” da parte dei soldati che avevano anche in tasca il viagra.
Così, la NATO si è lanciata nel salvataggio del popolo libico, mentre le sue navi lasciavano morire in alto mare quelli che fuggivano dalla guerra, ha denunciato The Guardian.
Il colmo dell’ipocrisia è stato quello di accogliere l’ex capo dell’intelligence di Gheddafi e Abdul Jalil, ministro della giustizia del regime, al quale, invece di essere inviato alla Corte Penale Internazionale come partecipe della dittatura, fu offerto di collaborare con quell’alleanza militare. Che la bandiera nera di Al Qaeda fosse issata sul Palazzo di Giustizia di Bengasi dopo l’assassinio di Gheddafi e che Jalili fosse designato dagli occidentali quale leader della transizione libica verso la “democrazia”, sono stati la ciliegina della spudoratezza senza vergogna!
Gli USA, i loro soci europei e Israele, in applicazione della politica della “limitazione dei danni” avevano già canalizzato le ribellioni spontanee in Egitto e Tunisia, le avevano contenute in Iraq, Yemen, Arabia Saudita e Barhein, e poi in Libia si sono tolti la foglia di fico, esibendo il loro potere.
Abbattere un alleato
La Libia è il paese del millenario popolo Libu, abitato da un centinaio di tribù arabe e berbere, di religione musulmana sunnita, ha sperimentato una svolta radicale nella sua politica a partire dalla fine della Guerra Fredda. Muhamar Gheddafi, dittatore e ferreo anticomunista, ha iniziato a flirtare con l’Occidente: nel 2002 ha pagato circa 2.940 milioni di euro alle vittime di Lockerbie (mentre negava la sua implicazione nell’attentato) e ha accettato “la legalità internazionale, malgrado questa fosse falsata e imposta dagli USA.” Il nome del suo paese è incastonato nella lista dell’Asse del Male e nell’attacco devastante anglo-americano all’Iraq nel 2003, come da pedagogia del terrore. Ha accettato di disarmarsi - dietro pressioni di Israele, paese con armi nucleari, biologiche e chimiche -. Per passare ad essere acquirente di armi dagli stessi paesi che anni dopo bombarderanno il suo indifeso paese. [Succede lo stesso con la Siria. Nessun dittatore è minimamente intelligente, se no non sarebbe dittatore]. Tra il 2005 e il 2009 l’Europa gli ha venduto 834,54 milioni di euro in armi (la Spagna 2.000 milioni). Ha collaborato nella “guerra contro il terrore” della CIA riempendo le sue carceri di persone senza alcun diritto di difendersi. Le banche occidentali, che lo ricevevano con tappeti rossi e piantavano la sua “haima” [n.d.t.: tenda saharawi] nei palazzi, stavano facendo affari d’oro con i depositi della Libia. Al colmo: il leader della repubblica “socialista” libica ha finanziato il candidato di estrema destra Nicolás Sarkozy.
Certo siamo di fronte ad un personaggio complesso come, per disgrazia degli analisti manichei, ne abbondano nel Sud del Mondo. Dittatori autoritari o totalitari e nazionalisti, che si trovano fuori dall’orbita degli USA, ma condividono il letto con altri imperialisti: Regno Unito, Germania o Francia.
Anche così, gli USA hanno deciso di eliminarlo (ricordate il “Vini vidi vinci” di Hillary Clinton) perché:
1. L’Occidente aveva più paura di un Gheddafi capace di usare il “potere morbido” che del Gheddafi “matto”.
2. Schiacciare la futura Primavera della Libia, prima che si complicasse la situazione, com’è successo in Egitto: in Libia gli USA non avevano alcuna influenza sull’esercito e non potevano ricorrere a un colpo di stato.
3. Gheddafi non è diventato una marionetta. Inoltre, il suo carattere imprevedibile genera insicurezza per i piani militari ed economici occidentali in Africa. Ha detto Marco Rubio, il senatore repubblicano statunitense, che il loro “interesse nazionale chiede l’eliminazione di Gheddafi dal potere” in quanto aveva bloccato le opportunità degli USA in Libia. Bechtel (gigante dell’ingegneria) e Caterpillar (fabbricante di attrezzature da costruzione) erano state escluse a favore delle compagnie russe, cinesi e tedesche. Già a settembre 2011, l’ambasciatore USA, Gene Cretz, annunciava che un centinaio d’imprese del suo paese pianificavano di fare affari nella Libia post-Gheddafi. Anche il segretario della Difesa britannico Philip Hammond, appena assassinato il leader africano, ha invitato gli imprenditori ad andare a ricostruire quello che la NATO aveva distrutto: questo si chiama “capitalismo avvoltoio” o “distruzione creativa”. La compagnia General Electric sogna di guadagnare fino a 10.000 milioni di dollari investendo nel paese devastato.
4. Gheddafi proclamava un’Africa con una identità politica integrata, non divisa tra una “Africa bianca, civile mediterranea” e un’altra “nera barbara”. Ha difeso la sua autosufficienza, svincolata dalle istituzioni finanziarie occidentali.
5. Contenere la crescita del potere e dell’influenza dello stesso Gheddafi nel continente, che impediva la libera circolazione del capitale occidentale nella regione. La Libia, sotto la sua leadership, aveva 150.000 milioni di dollari investiti in Africa.
6. È stato visto da Washington come il principale ostacolo al dominio militare degli USA in Africa. 45 paesi avevano rifiutato di dare sede all’Africom. Ora, la Libia è candidata per ospitare il comando militare degli USA. Inoltre, la NATO può impadronirsi dell’oriente mediterraneo: le resta solo da eliminare il siriano Bashar Al Assad per “atlantizzare” la sponda di questo mare.
7. Gheddafi era diventato il principale alleato dei BRICS, soprattutto della Cina. I contratti di circa 70 imprese cinesi il cui valore ammontavano a 18.000 milioni di dollari sono stati congelati dopo la guerra.
Anche la Russia ha perduto 4.000 milioni di dollari di contratti di armi (vedere Libia: un negocio de guerra redondo).
Il ruolo speciale di Israele
La prima cosa che la futura Nuova Libia riceveva dagli israeliani sono state le smart-bombe lanciate dall’aviazione della NATO nel 2011. Mentre il Mossad e altri servizi alleati andavano dietro un Gheddafi anti-israeliano, i ribelli negoziavano lo scambio di ambasciatori con gli israeliani.
Tel Aviv, dopo averla fatta finita con l’Iraq come stato rivale - attraverso il “papà USA”- e mentre continuava ad indebolire l’Iran, canalizzando la ribellione popolare contro Mubarak in Egitto, ha incitato e partecipato attivamente a farla finita con la potente Libia e il suo leader. Nel 2007, Goldman Sachs, una delle istituzioni finanziarie della lobby ebraica, si è tenuti tutti i 1.500 milioni di dollari investiti da Gheddafi, che non la prese bene...
Il ruolo della lobby pro-israeliana nell’ONU e nei mezzi di comunicazione (tra cui Al Jazira) è stato determinante per demonizzare il capo di Stato libico di fronte all’opinione pubblica.
Israele, nel suo avanzare in Africa, la divide per il colore della pelle della sua gente, i credo religiosi e i gruppi etnico-linguistici, appoggiando l’”Africa nera” contro quella “arabo-musulmana” (vedere El bombardeo de Sudan por Israel).
Lo sciovinismo del regime israeliano, diretto dagli europei askenaziti, ha raggiunto negli anni ’90 i mizrahi, ebrei “impuri” del nord Africa e del Medio Oriente: ha sottoposto centinaia di donne ebree etiopi, che chiedevano di migrare, a una sterilizzazione occulta e forzata prima di ammetterle.
Oggi, e dopo aver perduto il saldo alleato Hosni Mubarak, Netanyahu cercherà di convertire la “nuova” Libia in un appoggio strategico.
Che ne è stato del petrolio libico?
Padrona della prima riserva di idrocarburi dell’Africa e per di più di alta qualità, la Libia ha esportato 379.5 milioni di barili di petrolio nel 2012.
Malgrado gli USA e la UE, la Libia di oggi manda più petrolio in Cina che nell’era di Gheddafi: se nel 2010 il 30% del suo oro nero andava in Italia, il 16% in Francia e l’11% in Cina, un anno dopo, la Cina occupava il posto dei francesi, comprando fino a 100.000 barili al giorno. Il trattamento di favore lo riceve l’ENI, la compagnia della vecchia metropoli coloniale. Le compagnie Shell e BP non hanno vinto il bando di gara per esportare il petrolio: curioso paradosso.
La produzione del greggio è caduta da 1,4 milioni di barili al giorno nel 2010 a 500.000 a causa dell’esodo dei tecnici delle compagnie straniere, del sabotaggio degli oleodotti da parte dei gruppi oppositori e della vendita di idrocarburi al mercato nero da parte delle mafie armate. Nemmeno i 18.000 vigilantes ingaggiati dal governo sono riusciti a far sì che l’olio fluisca sicuro in quanto molti di loro sono contrari ai dignitari di Tripoli, situazione che, se da un lato sta incidendo notevolmente sul coma di un’economia dipendente dalla vendita degli idrocarburi, dall’altro obbliga clienti come la Turchia a ricorrere all’energia nucleare. Ankara sta costruendo un impianto a Akköy, ubicato in una regione sismica.
Alla deriva
La distruzione della Libia è un altro dei successi di Barak Obama. Questo figlio traditore dell’Africa, che appoggia i dittatori del continente, ha balcanizzato il Sudan, ha destabilizzato la Somalia e ha distrutto le “primavere arabe” sostenendo i militari o il settore più reazionario degli islamisti.
L’onda di violenza contro la popolazione nera del paese, il personale diplomatico e gli organismi internazionali non cessa: è cominciata con l’uccisione di migliaia di cittadini neri e/o difensori di Gheddafi ed è continuata con l’assassinio dell’ambasciatore degli USA, l’attacco al console italiano, l’attentato contro le ambasciate di Francia, Russia e gli edifici dell’ONU, e sta concludendosi con una guerra civile e la disintegrazione del paese.
Può andare ancora peggio.
http://blogs.publico.es/puntoyseguido/1080/libia-y-el-social-imperialismo-dos-anos-despues/ (27 ottobre 2013)
Traduzione di Anna Maria Coppolino
Fonte
Un quadro impietoso, per risistemare la questione ci vorrebbero 10 anni di interposizione (seria) dei Caschi Blu ONU e la totale ricontrattazione dei proventi estrattivi libici da far gestire a una società indigena pubblica, avente come mandato la massima redistribuzione sociale dei profitti generati.
Utopia di questi tempi ma anche dei prossimi.
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