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10/02/2014


Bruxelles, abbiamo un problema... Se esistesse una cabina di pilotaggio nella classe politica italiana, in queste ore il messaggio – scuserete la citazione da Apollo 13 – starebbe volando forte e chiaro tra la capitale della provincia italica e il capoluogo dell'Unione Europea.

Le anticipazioni del libro di Alan Friedman (Ammazziamo il gattopardo), ma ancor più il trailer televisivo delle interviste-chiave usate nel libro (De Benedetti, Prodi, Monti), hanno portato allo scoperto quel che tutti avevamo capito da un pezzo: il regime change da Berlusconi a Monti imposto dalla Torika, era stato preparato con una certa cura e per tempo, sul piano internazionale e poi anche su quello “interno”. Non si trattò affatto di una “scelta concordata” tra i partiti principali, e tantomeno di una “indicazione berlusconiana”, come il poveretto di Arcore provò a dire uscendo da palazzo Chigi.

Del resto, una soluzione così poco istituzionale – Monti fu nominato senatore a vita il 9 novembre del 2011, il giorno dopo venne incaricato di formare un governo, il 16 dello stesso mese riceveva la fiducia del Parlamento – non poteva davvero essere un'”improvvisata”.

Ora i camerieri del Caimano sbraitano, pensando alle elezioni forse più vicine e per loro meno impossibili, e minacciano di sommarsi ai “grillini” nella richiesta di impeachment per Giorgio Napolitano. Sbraitano, ma non morderanno. Certo è che Napolitano perde l'aura del buon nonno di famiglia per assumere i panni – il grembiule? – del facitore di governi, anche a prescindere dai risultati elettorali. Si può benissimo dire che abbia agito sotto la pressione dell'”emergenza” – l'emergenzialismo oltre i confini della Costituzione è nel suo dna politico, fin dagli anni '70 – ma a giugno 2011 (quando cominciò a contattare Mario Monti, chiedendogli la disponibilità a sostituire il Cavaliere) l'emergenza non era ancora del tutto esplosa. Per dirne un paio: la famosa “lettera della Bce” firmata da Draghi e Trichet il 5 agosto non era stata ancora nemmeno scritta (ma certamente “pensata” a Bruxelles, Berlino e Francoforte); lo spread tra i Btp italiani a 10 anni e il corrispondente Bund tedesco era intorno solo ai 200 punti. Come stamattina, insomma, quando ci viene spiegato che “la crisi è alle spalle”.

Insomma: non c'erano le “condizioni oggettive” per varare una “procedura d'emergenza”. Quindi, in base a quali preoccupazioni Napolitano iniziava un giro di consultazioni assolutamente informale, incostituzionale, segreto e “personalizzato”, arrivando persino a pre allertare l'ex Commissario europeo Mario Monti?

In attesa di saperlo – il “botto” che si è alzato stamattina non verrà silenziato presto – dobbiamo constatare alcune cose.

Intanto che il metodo del “dispotismo illuminato” – si veda il Padoa Schioppa del 1999, sulla rivista francese Commentaire, n. 87 – è effettivamente il meccanismo governante sul processo di costruzione dell'Unione Europea. Senza alcuna nostalgia “sovranista nazionale” – che è ovviamente nella natura della destra reazionaria – sono i volti e le frasi pronunciate dai tre intervistati di Friedman a confermare che le “procedure democratiche” non contano nulla rispetto al raggiungimento dell'”obiettivo”. Né De Benedetti, né Prodi, né Monti trovano “strano” che Napolitano vada alla ricerca di un possibile sostituto per il posto da presidente del consiglio (per di più al di fuori delle forze politiche parlamentari), mentre quel posto è fermamente occupato da qualcuno che – purtroppo – era stato eletto grazie a una legge (il “porcellum”) gradita a tutti i partiti.

Nessuno si meraviglia nemmeno per un attimo, neanche per finta. Monti, addirittura, si chiede “dov'è l'anomalia?” Nelle strutture europee si fa così, no? Se c'è da riempire una poltrona dotata di potere decisionale, serve qualcuno competente, si analizzano i pesi specifici degli interessi dipendenti o interessati da ciò che in quell'incarico si decide, lo si dà in gestione (“pro tempore” naturalmente), senza tante complicazioni “democratiche” (elezioni, formazione di governi di coalizione, ecc... che noia!).

Si è fatto così anche per il governo della provincia Italia, così come lo si stava facendo per quella greca, addirittura con meno attenzioni “costituzionali” di quante non ne siano state concesse all'uomo emergente di Atene, il conservatore Samaras.

In secondo luogo, il “sostanzialismo” non è esattamente un concetto – tantomeno una pratica – democratica. Capiamo perfettamente il pensiero ottuso che attraversa in questo istante la mente dell'eventuale lettore “democratico progressista”: ci hanno tolto dalle scatole Berlusconi, chissenefrega chi è stato e perché.

Non serve però essere lettori di Marx per capire che se un “perdente” (la “sinistra democratica” e soprattutto quella “radicale”, nel ventennio del Caimano) non riesce a liberarsi da solo, la sua sorte non sarà mai quella di passare dall'oppressione alla libertà. Al massimo avrà cambiato padrone, trovandone forse uno meno esigente.

Ma non ci giureremmo, visto il prezzo che l'Unione Europea e la Troika ci stanno facendo pagare. Non che prima stessimo meglio, ma certo – soprattutto nella percezione “popolare”, al di fuori di noi “addetti ai lavori” – il giro di walzer che ci hanno fatto fare Monti, Fornero, Passera ha certamente oscurato le mostruosità a suo tempo partorite da Berlusconi, Tremonti, Sacconi. Noi vediamo una continuità diretta tra i due governi – specie per quanto riguarda pensioni, mercato del lavoro, tagli alla spesa pubblica, regole sulla rappresentanza sindacale, militarismo da operetta – ma sulla schiena dei ceti medio-piccoli la scarica di legnate si è sentita un po' “in ritardo” rispetto all'esecutivo del Cavaliere, mentre è stata fortissima durante quello dei “tecnici”. Una vera “terapia d'urto”, esemplificata dai 4-5 anni in più necessari per arrivare all'età pensionabile.

Il “populismo” così ha trovato praterie aperte, dunque, non presidiate e anche qualche cavallo adatto a percorrerle. Mentre “a sinistra” si è finiti subito ingabbiati dal “bipolarismo a-logico”, addirittura pre-politico: “se sei contro Berlusconi sei un europeista che accetta tutto quel che gli viene fatto, altrimenti sei un sovranista nazionalista”. Persino in qualche settore della sinistra o del movimento “antagonista” questo schemino riesce a fare prigionieri.

Il paradosso di oggi è che la sortita “oggettivamente anti-Napolitano” è stata promossa dal Corriere della Sera, ovvero dal giornale guida della scrausissima borghesia italica, ma anche il pilastro fondamentale dell'”europeismo” senza se e senza ma, degli oltranzisti dei tagli alla spesa pubblica, della “tecnica” che deve sostituire “la politica”.

Di fatto, però, si è riaperto il vaso di Pandora che proprio “l'invasione” della Troika aveva chiuso saldamente. Prima Renzi si accorda col Caimano – in realtà con la masnada di interessi innominabili che struttura il “blocco sociale” di destra – riesumandolo come partner indispensabile per partorire una legge elettorale. Poi il Corsera piazza una bomba sotto il piedistallo del “garante” – non della Costituzione, per favore... – dei governi dell'Unione Europea.

A Bruxelles non ne saranno affatto contenti. Ma è anche un po' colpa loro: la fucina degli apprendisti stregoni sembra l'unico made in Italy rimasto in produzione...

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