Se la Kobane assediata assurge al ruolo di piccola Stalingrado kurda, esiste un comune denominatore che avvicina i nemici della Rojava. Seppure in queste ore schierati su fronti opposti i jihadisti dell’Isis e l’esercito turco puntano entrambi alla caduta di questo simbolo. Quella regione autonoma kurda in terra siriana è la testimonianza di come l’utopia del leader storico Abdullah Öcalan sull’autonomia federale ultranazionale possa prendere corpo e realizzarsi. Il fondamentalismo jihadista la vive quale ostacolo alla sua espansione e dominio della regione, la Turchia come un pericoloso esempio che la più ben numerosa comunità kurda presente nei suoi confini può e vuole imitare. Il presidente Erdoğan, già nel precedente ruolo di primo ministro, ha giocato coi kurdi la partita doppia dei colloqui e della repressione, quest’ultima negli anni scorsi non meno dura di altri periodi. Certo non si sono verificati gli stermini e le deportazione degli anni Novanta, ma la situazione kurda è ancora appesa a un filo rispetto a bilinguismo, istruzione scolastica della cultura kurda e autonomia economico-amministrativa, quest’ultima concessa sulla carta e limitata dalla burocrazia.
Poi c’è stato il passo doppio dei colloqui con Öcalan, gestiti dall’uomo del premier oggi presidente, posto a capo del Mıt, Hakan Fidan. Una “partita a scacchi” avviata da quattro anni che il leader prigioniero, e i parlamentari kurdi che periodicamente lo visitano nel supercarcere di Imralı, conducono con paziente concentrazione. Anche qui Erdoğan è parso in più di un’occasione un doppiogiochista, praticando una specie di ‘stop and go’ per irretire le richieste socio-politiche della cospicua minoranza, una tattica simile alla tolleranza, o peggio al supporto, del jihadismo verso il quale oggi schiera i carri armati. Ma questi carri, i diecimila e più soldati di frontiera possono servire ad altro. E’ già accaduto. Servono a fermare il doppio flusso nelle frontiere turche dei profughi civili che fuggono dal terreno di scontro e bloccare i militanti kurdi che corrono a combattere a fianco dei fratelli della Rojava, per difendere il territorio autonomo e quel che rappresenta. Questa regione posta in territorio siriano oltre la linea di confine turca è divisa in tre cantoni: a ovest Efrin, al centro Cezire, a est Kobane.
E’ abitata da circa 4 milioni di persone, in gran parte kurdi (a Kobane sono la totalità) mentre Cezire, che è l’area più vasta, vede convivere arabi, aramaici e religioni yazida e cristiana, oltre che islamica. A Efrin accanto a islamici e yazidi sono presenti alawiti. Questo melting pot di etnìe, culture, religioni e lingue che si dà una definizione sul piano politico-amministrativo è l’elemento rivoluzionario della Rojava che incute terrore al fondamentalismo wahhabita ispiratore del califfo Al Baghdadi e dei suoi seguaci, e infastidisce non poco il sultano turco, desideroso di dialogare solo se i suoi piani di dominio non trovano ostacoli. Al di là dell’attuale momento critico dovuto all’offensiva jihadista i cantoni avevano già di per sé alcune difficoltà di coordinamento, ma, per i suoi teorizzatori del Partito dell’Unione Democratica, rappresentavano la migliore soluzione per superare il centralismo ba’atishta. La loro esperienza è un work in progress, si fa forte del concetto di autonomia democratica che viene proposto all’intera nazione siriana attraverso un federalismo che vede una “patria democratica composta da cittadini multilingue, multinazionali, multireligiosi. Un luogo dove kurdi, arabi, assiri, caldei, turkmeni, armeni, ceceni condividono una patria comune”.
Una visione di società democratica che sul fronte economico si rivela: sostenendo uno sviluppo egualitario basato sul principio “a ognuno secondo il suo lavoro”, incentivando scienza e tecnologia, ma preservando gli interessi di lavoratori e consumatori e tutela dell’ambiente. Sul piano dei diritti c’è massima garanzia per donne e bambini. Le prime possono e devono esprimersi nelle sfere politiche, socio-economiche e culturali. Ai piccoli dev’essere assicurato un futuro dignitoso sul piano della crescita, dell’istruzione, della collocazione sociale. Il progetto deve fare i conti con le attuali emergenze di guerra e d’assedio e con chi lo contrasta su altri versanti. Ovviamente Asad, centralizzatore e oppressore delle diversità che non accettano la convivenza tutt’altro che egualitaria su cui ha basato un regime, le realtà kurde più forti a cominciare dal Kurdistan iracheno nella versione filo occidentale di Masoud Barzani. Eppure in queste ultime settimane, la durezza del conflitto con l’Isis, la drammaticità della situazione in atto con massacri e centinaia di migliaia di profughi in movimento, ha visto i resistenti della Rojava e i peshmerga collaborare e combattere assieme. Certamente i primi coi soli kalashnikov, sebbene cominciano a giungere armi pesanti iraniane.
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