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01/10/2014

Libia - Gli islamisti rifiutano la mediazione Onu


No al dialogo proposto alle Nazioni Unite: è la risposta di “Alba della Libia”, milizia islamista che oggi ha il controllo di Tripoli, dopo il lancio di colloqui a Ghadames sotto l’egida Onu. Gli islamisti danno il benservito in un comunicato in cui dichiarano di non voler cessare le operazioni “fino alla sconfitta dei golpisti”.

Lunedì a Ghadames si erano riuniti dodici deputati del parlamento ufficiale, eletto il 25 giugno e ora riunito a Tobruk dopo la fuga dalla capitale, e altri dodici di stanza a Misurata, insieme al capo missione Onu Leon e rappresentanti di Malta e Gran Bretagna. La milizia islamista ripete il proprio target: l’esercito personale dell’ex generale Haftar che la scorsa primavera aveva lanciato una durissima offensiva contro i gruppi islamisti a Bengasi. “Se le richieste di pace fossero state serie – si legge nel comunicato – avrebbero lanciato l’appello al dialogo quando il criminale Khalifa Haftar iniziò a bombardare Bengasi a metà maggio”. Le richieste sono chiare: ci si siederà al tavolo del negoziato quando i rivali saranno disarmati e i loro leader perseguiti.

Dello stesso avviso anche Dar al-Ifta, consiglio della Shura dei Rivoluzionari di Bengasi, corpo responsabile di emettere verdetti religiosi in Libia: l’ente ha chiesto la sospensione del dialogo con il parlamento di Tobruk, accusato di aver violato la costituzione dopo aver chiesto l’intervento internazionale contro Alba della Libia e aver definito i miliziani dei terroristi.

Così evaporano le speranze dell’inviato Leon che lunedì aveva definito “positivo e costruttivo” l’incontro tra fazioni rivali, che avevano scelto di sedersi allo stesso tavolo per un dialogo diretto e non in gruppi separati. Eppure mal di pancia si erano registrati anche nel fronte di Tobruk: uno dei parlamentari invitati a Ghadames, Abdel Rahman al-Sawihli, ha boicottato il meeting per la mancanza di alcune parti: “Ogni documento firmato a Ghadames non obbligherà nessuno perché la delegazione presente non rappresenta Alba della Libia”.

Oltre all’Onu si muove anche la regione: il presidente egiziano al-Sisi ha offerto addestramento alle forze pro-governative impegnate in scontri con i gruppi armati islamisti, considerati dal Cairo fonte di instabilità per tutta l’area e paragonabili alla minaccia Isis. Con il mondo occupato in Siria e Iraq, la Libia passa in secondo piano e al-Sisi, acerrimo nemico di ogni movimento islamista nella regione, non intende soprassedere né in casa né fuori. Dopo aver riottenuto il sostegno degli Stati Uniti – concretizzato nello sblocco degli aiuti militari (1.3 miliardi di dollari) e l’invio di elicotteri Apache – ora l’Egitto punta a riprendersi il ruolo di leader mediorientale, offuscato negli ultimi tre anni dalle continue rivolte interne.

Da due mesi rappresentanti del Cairo si incontrano con quelli del parlamento di Tobruk. Sul tavolo, la questione dell’addestramento e della fornitura di assistenza di intelligence. A spaventare al-Sisi è soprattutto la milizia islamista Ansar Beit al-Maqdis, attiva in Libia come nella penisola del Sinai, dove porta avanti attacchi da mesi, forte anche – così dice l’intelligence egiziana – del sostegno dello Stato Islamico.

Dello stesso avviso l’Algeria che sta pianificando un programma di addestramento simile delle forze governative libiche. L’obiettivo è sradicare le milizie nate e cresciute durante la campagna Nato contro il colonnello Gheddafi e che non hanno mai voluto abbandonare le armi: il dito è puntato su Qatar e Emirati, considerati dal parlamento di Tobruk i responsabili dell’armamento delle milizie.

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