di Michele Giorgio – Il Manifesto
Il nuovo conflitto tra Armenia e Azerbaijan, per il controllo del Nagorno-Karabach (N-K), riemerge da un passato lontano, che ha fatto 30mila morti, 80mila feriti e centinaia di migliaia di profughi. E ora,
uscito dal congelatore, va ad inserirsi nel quadro della crisi
mediorientale, nelle tensioni etniche e religiose di quella parte del
mondo e nello scontro tra Turchia e Russia. Proprio per questa ragione i
nuovi combattimenti tra separatisti armeni appoggiati da Yerevan e le
truppe azere – che hanno già provocato decine di morti e feriti, anche
civili – rischiano di allargare l’incendio nel Vicino Oriente. Un “attore” è già entrato in scena: il leader turco Erdogan che ha espresso appoggio totale all’Azerbaijan .
Il Nagorno-Karabakh «un giorno tornerà certamente al suo padrone
legittimo... la Turchia è a fianco dell’Azerbaijian», ha proclamato il
sultano di Ankara. L’Iran tifa in silenzio per i
separatisti armeni ma non intende lasciarsi coinvolgere, tenendo conto
che milioni dei suoi abitanti sono di origine azera. Stesso discorso
vale per la Russia che pure sostiene le ragioni armene. Putin
punta a spegnere questo nuovo focolaio di tensione che si è sprigionato
mentre è impegnato militarmente in Siria e deve tenere a bada le
ambizioni di Ankara. Gli Usa si dicono
allarmati ma non faranno la voce grossa con gli alleati azeri, troppo
importanti per ragioni strategiche. Non è destinato a cambiare le carte
in tavola l’appello lanciato ieri dal segretario di stato Kerry assieme
al ministro degli esteri russo Lavrov per la cessazione immediata delle
ostilità. E’ cauta la Georgia, timorosa che il conflitto possa alimentare altre pulsioni separatiste nella regione, a tutto vantaggio di Mosca.
Il Nagorno-Karabakh è una regione montagnosa, con una larga
maggioranza di cristiani armeni, che in era sovietica, per decisione
dello stesso Stalin, fu assegnata all’Azerbaijan (a maggioranza
islamica). Gli scontri sono andati avanti per decenni fino ad aggravarsi durante l’era Gorbachev,
quando le aperture decise dal leader sovietico furono di fatto il
detonatore di conflitti etnici e religiosi rimasti sopiti per lungo
tempo nel Caucaso e nelle repubbliche meridionali dell’Urss. La
guerra tra Armenia e Azerbaijan fu totale tra il 1992 e il 1994, dopo
la proclamazione di indipendenza dei N-K fatta dai separatisti armeni ed
è stata segnata da pogrom commessi dall’una e dall’altra parte e
dall’espulsione di decine di migliaia di persone dalle loro città. La
tregua precaria – sulla quale doveva vigilare il Gruppo di Minsk creato
dalla Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa – è stata
violata tante volte nei passati 22 anni ma mai lo scontro aveva
raggiunto questo livello, al punto da far temere l’inizio di nuovo e più
devastante conflitto militare. Il presidente armeno Serzh Sargsian,
come coloro lo hanno preceduto, sa che il consenso in patria è
strettamente legato al mantenimento del controllo del N-K e ha
annunciato che se le ostilità nella regione si intensificheranno,
Yerevan riconoscerà in via definitiva l’indipendenza della regione.
Sarebbe il via libera alla nuova guerra. Da parte sua il presidente azero Ilham Aliyev
fa i conti con le difficoltà causate dal brusco calo del prezzo del
petrolio, la principale risorsa del Paese. Perciò rilancia la questione
del N-K “occupato” per tenere lontana l’attenzione della sua gente dalla
crisi economica e finanziaria.
Fare il punto della situazione sul terreno è arduo. Le due parti, che si
accusano a vicenda di aver violato il cessate il fuoco, diffondono
comunicati in cui esaltano i propri (presunti) successi militari e le
sconfitte dell’avversario. L’impressione però è che le forze armate
azere siano superiori per tecnologia e potenza di fuoco rispetto a
quelle dei separatisti e dell’Armenia. Se durante la guerra nel
1994 gli armeni furono in grado di respingere tutte le offensive
lanciate dall’Azerbaijan per riconquistare il N-K che si era proclamato
indipendente, questa volta Baku sembra aver rovesciato i rapporti di
forza. L’Azerbaijan nei passati 22 anni ha speso molti miliardi di
dollari per ammodernare e rafforzare le sue forze armate. Un programma ampio realizzato grazie anche alle relazioni speciali, dietro le quinte, che Aliyev mantiene con Israele. Tel
Aviv ha addestrato le truppe speciali azere e fornito, con un accordo
da 1,6 miliardi di dollari, armamenti dell’ultima generazione, inclusi i
droni che Baku usa in questi giorni. Qualche anno fa la nota rivista
Foreign Policy rivelò che l’Azerbaijan aveva messo a disposizione di
Israele alcune basi aeree abbandonate, offrendo così a Tel Aviv la
possibilità di attaccare con facilità le centrali atomiche iraniane.
Sullo sfondo dei nuovi combattimenti tra armeni e azeri ci sono i
forti interessi economici legati al Southern Gas Corridor, un gasdotto
da 45 miliardi di dollari che a partire dal 2019 porterà dal Mar Caspio
il gas azero verso l’Europa, passando per sette Paesi. Un progetto che
gli Stati Uniti ritengono fondamentale per ridurre la dipendenza
occidentale dai giacimenti russi.
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