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19/05/2016

Dalla Nigeria alla Libia, Boko Haram si allarga

di Rita Plantera

Benché non si sappia molto sulla portata reale della cooperazione tra Boko Haram e l’Is, ci sarebbero però report a cui tanto funzionari dell’amministrazione americana quanto quelli dell’Onu fanno riferimento nel lanciare l’allarme circa la crescente presenza di Daesh nel Nord Africa e l’alleanza con l’Islamic State’s West Africa Province (Iswap), la nuova denominazione adottata da Boko Haram da quando a marzo 2015 ha lasciato Al-Qaeda per giurare fedeltà allo Stato Islamico, che potrebbero preannunciare una svolta a sud e costituire una corsia preferenziale verso la regione del Sahel dove creare la base di lancio per attacchi ben più ampi.

Proprio tali voci ha citato recentemente il vice segretario di Stato americano Antony Blinken sostenendo che Boko Haram (alias Iswap) stia inviando – a riprova di una più stretta cooperazione tra i due gruppi terroristici – i suoi miliziani in Libia per unirsi ai jihadisti dello Stato Islamico.

«Abbiamo visto che la capacità di Boko Haram di comunicare è migliorata. Sembra che abbiano beneficiato di assistenza da Daesh». «Questi sono tutti elementi che suggeriscono che ci sono più contatti e una maggiore cooperazione», ha detto Blinken durante la conferenza stampa nel corso del summit internazionale sulla sicurezza tenutosi ad Abuja la scorsa settimana. Aggiungendo come l’amministrazione Usa stia considerando le richieste di materiale militare avanzato dal governo nigeriano tra cui la vendita di aerei di attacco leggero A-29 Super Tucano.

A dirsi preoccupato e allarmato sui legami tra lo Stato Islamico – che ha rinsaldato la sua presenza in Libia – e i jihadisti di Boko Haram è stato sabato scorso anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha fatto notare come in Nigeria ci siano 2,2 milioni di sfollati interni dopo sette anni di rivolta Boko Haram. Mentre nella regione del Lago Ciad sono circa in 4,2 milioni a soffrire – per la stessa ragione – una crisi di sicurezza alimentare. Lo sanno bene gli Stati Uniti che a fine aprile si sono impegnati a donare 40 milioni di dollari in aiuti umanitari ai Paesi che si affacciano sul lago e sono impegnati nella lotta a Boko Haram.

Da Abuja si sono aggiunte le preoccupate dichiarazioni del presidente francese Hollande, secondo cui Boko Haram «resta ancora una minaccia» nonostante «notevoli risultati» raggiunti nella lotta contro i miliziani di Abubakar Shekau su cui pende una taglia di 7 milioni di dollari del governo Usa.

Il Camerun dal 2015 è impegnato insieme a Ciad, Niger, Nigeria e Benin in una task force regionale formata da 8700 soldati e istituita sotto l’egida dell’Unione Africana. A sostegno della quale già a ottobre sorso il presidente Obama ha inviato soldati e droni di sorveglianza in supporto alle operazioni di intelligence.

Eppure le dichiarazioni e i timori di funzionari e capi di governo occidentali non sorprendono così tanto se si considera che già a novembre 2015 il Global Terrorism Index pubblicato dall’Institute for Economic and Peace (Iep) rivelava come due soli gruppi jihadisti siano responsabili di oltre la metà (51%) dei decessi attribuiti ad azioni terroristiche, vale a dire Boko Haram e Daesh.

Addirittura, malgrado lo scalpore mediatico che ruota attorno all’Is, il gruppo islamista nigeriano sarebbe responsabile di 6.644 morti nel 2014, con un incremento del 317% rispetto all’anno precedente.

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