Come nella più classica delle tradizioni, i mesi estivi sono quelli
che i governi preferiscono per annunciare o varare misure peggiorative
nei confronti del lavoro: stavolta è toccato alla ministra Madia, mentre
i destinatari della “riforma” sono i famigerati statali.
Dopo anni di feroce campagna mediatica contro “i fannulloni” e “i
furbetti del cartellino”, il terreno è pronto per accogliere misure di
una gravità senza precedenti. Secondo le notizie trapelate dai giornali i
punti salienti sono i seguenti:
• fine del posto fisso: sono previste sanzioni per i
dirigenti che non rispetteranno l'obbligo, già esistente, di indicare
gli “esuberi” di personale sulla base di esigenze di programmazione
economica e finanziaria. Chi si troverà ad essere in sovrannumero dovrà
accettare il trasferimento, se possibile, o restare a disposizione per
due anni all'80% dello stipendio: se al termine dei due anni non è stato
ricollocato sarà licenziato;
• fine degli scatti di anzianità: gli aumenti salariali non saranno più legati a criteri oggettivi ma ad annuali valutazioni del dirigente, e potranno riguardare al massimo il 20% del personale: la perversa logica brunettiana di distribuzione di indennità accessorie e premialità si estende così alla parte fissa, e più consistente, dello stipendio, vietando esplicitamente al dirigente di valutare positivamente anche un solo dipendente oltre il limite fissato per legge;
• riduzione del campo d'intervento della contrattazione: molte materie vengono attribuite all'azione legislativa, dalla cancellazione dell'indennità di trasferta al buono pasto di sette euro per tutti. Va da sé che cambiare queste misure, se inserite in un testo di legge, diventa molto più difficile.
Il ricatto
La presentazione della riforma avviene in concomitanza col primo
tavolo di confronto sindacale sul rinnovo contrattuale (come si sa, i
contratti del pubblico impiego sono fermi al 2009): ogni irrigidimento
sindacale in questo momento determinerebbe automaticamente un blocco
della procedura di rinnovo (nonostante i richiami della Corte
Costituzionale, il governo è in estremo e colpevole ritardo). Se i
sindacati – complici, dato che le iniziative conflittuali negli ultimi
anni sono state di gran lunga sottodimensionate rispetto alla portata
dell'attacco – si mettono di traverso su un punto qualunque della
riforma, siamo sicuri che le indicazioni governative per l'ARAN non
partirebbero. Appuntamento per tutti, quindi, rimandato a Settembre.
Il referendum costituzionale
A Settembre dovrebbe partire il rinnovo dei contratti, mentre per il
varo di tutti i decreti connessi alla riforma Madia ci sarebbe tempo
fino a Febbraio. È possibile, quindi, che il Governo decida di rimandare
gli argomenti scottanti successivamente al voto referendario, per
provare negli ultimi due mesi a giocarsi qualche carta di consenso in
più (misure antipovertà, chiusura cantieri, iniziative di propaganda
varie); è possibile però anche il contrario, Hollande insegna: di fronte
ad un consenso in caduta libera Renzi potrebbe decidere di sparare
tutte le cartucce che gli restano subito, rischiando di perdere il
referendum (che lui stesso ha posto come un voto di fiducia sulla sua
persona), ma in cambio presentandosi di fronte ai suoi veri padroni – i
padroni, appunto – come lo scolaro diligente che ha portato a termine
tutti i compiti che gli erano stati assegnati; loro, i padroni, sanno
essere riconoscenti a lungo con chi fa loro regali di questa portata...
...e noi?
Lo scriviamo da subito: se da un lato è fin troppo evidente l'importanza della battaglia referendaria
– e quindi la necessità di investirci ogni energia – dall'altro lato
sarebbe un errore accettare di leggere il referendum come un plebiscito
pro o contro Matteo Renzi. Le battaglie che dobbiamo vincere sono
quotidiane ed articolate su più livelli: il NO al referendum vince se
articoliamo il conflitto in ogni ambito, dalla scuola alla società al
mondo del lavoro. Per quanto riguarda quest'ultimo nello specifico, occorre mettere in piedi ogni tipo di iniziativa per difendere e rilanciare la contrattazione come strumento normativo del mondo del lavoro; occorre riprendere la battaglia contro il jobs act
su più livelli, dalla disapplicazione dell'art.18 riformato nei settori
che vedono la pubblica amministrazione come committente alla campagna
per costruire città “voucher free”, dall'applicazione della clausola
sociale negli appalti al rifiuto di introdurre ogni forma di controllo a
distanza del lavoratore; serve insomma mettere il governo e le
amministrazioni locali alle strette ogni qualvolta si toccano quei –
pochi e residuali – diritti dei lavoratori, costruendo campagne
nazionali sui temi elencati e anche nuove forme di organizzazione, più
in grado di intercettare e organizzare il dissenso e l'opposizione
sociale.
Dove vanno loro?
Che strada sta prendendo la nostra controparte? Sarebbero davvero
tanti gli aspetti da analizzare: in questo caso vogliamo limitarci a ciò
che il testo Madia suggerisce.
Un aspetto ci ha colpito particolarmente: la determinazione a mezzo decreto del valore del buono pasto,
fissato per tutti a sette euro. Un tema tipico dei tavoli di
contrattazione – anche perché viene usato come strumento di parziale
recupero salariale, visto che di aumenti non se ne parla da anni – viene
sottratto all'azione sindacale e deciso per legge. Un'ulteriore attacco
alla contrattazione, quindi? Dipende.
La risposta, infatti, non è univoca. Assistiamo – anche qui, in
Italia come altrove, tipo in Francia – ad una sorta di “biforcazione”
relativa alle norme: da un lato si rafforza la legislazione nazionale
per privare i lavoratori di ogni potere residuale derivato dalla loro
forza sui luoghi di lavoro; dall'altro si dà sempre più spazio al
livello aziendale della contrattazione perché si è rivelato essere il
più adatto ad imporre ulteriori condizioni peggiorative che ancora non
possono essere generalizzate. Le due tendenze, come si vede, non sono in
contraddizione ma assolutamente complementari.
Questi, tra tanti, sono solo alcuni temi sui quali riteniamo sia necessario confrontarsi: ne parleremo anche in occasione dell'Je so pazzo Festival,
che si svolgerà dal 9 all'11 Settembre a Napoli, all'ex OPG occupato, e
che prevede un tavolo specifico sul tema del lavoro e
dell'organizzazione. Partecipiamo, incontriamoci, costruiamo reti: le battaglie sono tante e difficili, ma il nostro nemico non è invincibile!
Nessun commento:
Posta un commento