In una serata romana all’Isola Tiberina, si è tenuto un incontro sulle vicende relative ai migranti sia sul come deve essere svolta una comunicazione capace di parlare in forma comprensibile, stante le novità linguistico-gestuali portate da una modifica del sistema comunicativo globale attraverso la croce e delizia dei social network.
All’iniziativa sull’Isola di Roma, ieri sera, hanno preso parte Aboubakar Soumahoro (Usb), Diego Bianchi (Zoro, conduttore di Propaganda live La7) e Marco Damilano (L’Espresso). Guarda il VIDEO
Il tema dell’incontro, che ha preso spunto dalla copertina de L’Espresso – “Uomini e no. Tu da che parte stai?” – è stato incentrato soprattutto sulla figura e l’attività che Aboubakar Soumahoro (sindacalista USB) svolge sulla vicenda dei braccianti impiegati nella raccolta di prodotti agricoli, sempre più spesso ricattati e soggiogati da un “caporalato” locale (spesso implicato in associazioni illegali o di carattere mafioso o camorrista).
Si tratta di braccianti (migranti) sottopagati e vittime di uno sfruttamento schiavistico al quale stanno contrapponendo, a volte scontrandosi, i primi passi della costruzione di un’organizzazione sindacale capace di rappresentarli e di attivare progettualità praticando accordi contrattuali con le rispettive controparti, spesso Enti Locali, Regione, Comune.
In questa attività spicca con notevole potenza e impegno il ruolo che Aboubakar tramite la sua organizzazione sindacale – “conflittuale” e non concertativa – è riuscito a costruire molte iniziative di conflitto nei quali sono stati raggiunti importanti risultati in materia di salari, normative contrattuali, diritti con assistenze sociali e altri obiettivi dal forte connotato antirazzista e anticolonialista.
La presenza di un pubblico numerosissimo e molto attento sta a significare anche la necessità e l’urgenza di saper stabilire confronti e temi di attualità eccezionali, temi ai quali spesso non corrisponde, da parte della politica e dei suoi rappresentanti istituzionali quell’attenzione e attività che un paese moderno dovrebbe contenere nel suo Dna o quantomeno nella sua storia o esperienza storica.
Molte condivisioni si sono ottenute soprattutto sul tema dell’antirazzismo e dello sfruttamento al quale sono condannati masse di lavoratori “migranti” privi di una qualsiasi tutela sia politica sia sindacale.
Abou ha sottolineato come questo sia stato possibile per una attività di “colonialismo culturale” intrapreso in tutti questi anni da un personale sia politico-istituzionale che politico-sociale, il quale è cresciuto e si è diffuso attraverso l’arma moderna rappresentato dalla manipolazione comunicativa e da una cultura piegata alle necessità di abbassamento dei costi (dei prezzi e dei salari) e di un profitto selvaggio rappresentato dalla filiera della “grande distribuzione”, accusata da Abou di essere il soggetto principale di sfruttamento e conflitto antisindacale e antioperaio.
Sono risultate molto importanti le domande da parte di un pubblico molto attento e consapevole dei temi affrontati. Temi affrontati anche con notevole esperienza e capacità dagli altri due partecipanti all’incontro Marco Damilano e Diego Bianchi.
Le domande si incentravano soprattutto sul tema della comunicazione e quale forma essa dovrà assumere per intercettare quei milioni di soggetti sociali che la stessa Istat dichiara ormai essere sotto la soglia della povertà o nei confini della stessa.
In conclusione emerge la necessità di dare forme, gambe e sostanza a una “azione”. Che fare? Ha chiesto Abou nel suo intervento che concludeva la serata.
Il pubblico presente era numeroso (l’incontro è stato anche trasmesso in diretta dal sito Repubblica Live) ed ha registrato il tutto esaurito e oltre (l’ingresso era a sottoscrizione e l’intero ricavato sarà devoluto alle spese occorse per il rientro della salma di Soumalia Sako nel suo paese di origine il Mali, e per un contributo alla sua famiglia).
Questa affluenza dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la necessità e l’interesse per la “politica” che esiste in buona parte della società, che non possiamo certo più limitare ai ceti medi in crisi ma allargare obbligatoriamente agli “esclusi”, ai precari o ai marginali abitanti e residenti delle periferie metropolitane.
Ma non può che essere una politica radicalmente diversa da quella fin qui messa a disposizione – anche dalla sinistra – derisa e calpestata da un personale tutto dedito al proprio squallido interesse sia di “bottega” sia personale che istituzionale; bensì una politica che riprenda un discorso di emancipazione e giustizia sociale da troppo tempo abbandonato e stravolto da soggettività spesso narcisistiche, integrate o sopravvissute negli interstizi lasciati aperti dalle élite o, peggio ancora, dedite ad un barbarico e selvaggio profitto economico e sociale.
Un segnale quello emerso in questa serata tutto da accogliere, sviluppare e inserire nella prospettiva più adeguata del conflitto sociale, ma anche per un recupero di quell’umanità e di quell’etica oggi troppo spesso ingiuriata e scartata dall’egoismo alimentato dal modello capitalistico.
Aboubakar in conclusione e nella necessità di poter o saper scegliere una parola d’ordine o uno slogan da contrapporre all’attuale slogan razzista: “prima gli italiani” ha rilanciato quello di: “prima gli sfruttati” che aveva aperto la manifestazione dello scorso 16 giugno a Roma. E’ il punto da cui ricominciare e su cui migliorare il lavoro già cominciato.
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