Qualche giorno fa lo scrittore Camilleri ha dichiarato che
‘attorno alle posizioni estremiste di Salvini avverto lo stesso consenso
che sentivo attorno a Mussolini quando avevo 12 anni’. E’
l’imprimatur di un intellettuale che va per la maggiore a una tesi che
circola a sinistra, anche nella sinistra più estrema, e cioè che il leader della Lega (per qualcuno persino quello dei CinqueStelle) incarnerebbe posizioni di stampo fascista.
Mi sembra una colossale sciocchezza, da cui gli unici a trarre
beneficio sono i partiti politici che all’ascesa di Salvini hanno aperto
la strada, ma soprattutto la stessa Lega. A ogni salvinata su Twitter
con relativa giaculatoria antifascista la Lega cresce nei sondaggi. Ma
aldilà di questo effetto, che non durerà troppo a lungo, questa
situazione rivela una preoccupante condizione di involuzione politica a
sinistra.
Fino a prova contraria le parole hanno un peso. Il fascismo è stato un fenomeno storico con caratteristiche determinate, la reazione della finanza e della grande impresa all’avanzata sociale e politica del movimento dei lavoratori.
In Italia salì al potere pochi anni dopo il ‘biennio rosso’ e
l’occupazione della fabbriche al nord e dei latifondi al sud e la Marcia
su Roma venne finanziata, tra gli altri, dall’ABI, l’Associazione delle
Banche Italiane. In Germania Hitler andò al governo dopo due tentativi
insurrezionali dei lavoratori nel 1918 e nel 1923 e il nazismo ebbe tra i
suoi finanziatori i magnati dell’industria pesante, come i Krupp,
produttori di acciaio e storici armaioli della monarchia prussiana, per
citare un solo esempio. In entrambe i casi l’origine ‘plebea’, proletaria e piccolo-borghese, dei due movimenti venne cancellata quasi subito,
in Germania con lo sterminio delle SA nella celebre ‘notte dei lunghi
coltelli’, in Italia con la cacciata o l’abbandono spontaneo di quanti
inizialmente erano stati irretiti dal programma di San Sepolcro e delle
suggestioni socialiste che Mussolini aveva mutuato dal proprio passato. Fascisti
e nazisti andarono al potere per via elettorale, ma sull’onda di anni
di scontro violento coi lavoratori, i militanti socialisti e il
sindacato. In Spagna il franchismo, assimilato comunemente agli
altri totalitarismi dell’epoca, ma con una propria fisionomia originale
e per molti versi differente (si pensi alla forte componente cattolica
reazionaria che lo distingue sia dal fascismo sia dal nazismo), fu la
reazione alla Repubblica di Spagna e alla forte influenza operaia e
contadina al suo interno. Insomma per le élites politico-economiche il fascismo è stato l’extrema ratio
di fronte a uno scontro sociale che minacciava di rimettere in
discussione le gerarchie sociali e di vedere l’ascesa del movimento dei
lavoratori al potere, sull’onda della Rivoluzione Russa. Persino in
esperienza analoghe, come il colpo di Stato di Pinochet in Cile, la
dittatura fu la risposta a un governo, in quel caso quello di Salvador
Allende, che, in qualche misura, esprimeva l’avanzare di politiche
‘socialiste’. Così come in Italia, negli anni ’70, l’utilizzo
del neofascismo nel quadro della ‘strategia della tensione’ fu la
risposta al ’68-’69 studentesco e operaio. Il punto è: possiamo riscontrare qualche pur lontana analogia con l’attuale situazione italiana e internazionale? No. Non solo non c’è alcuna analogia, ma, anzi, si sta verificando l’esatto contrario: i lavoratori retrocedono da almeno 25 anni.
C’è malcontento sociale, è vero, ma si tratta di un fenomeno confinato
nell’ambito del movimento di opinione, come ammettono proprio Lega e
CinqueStelle quando dicono di essere l’argine a che la gente scenda in
piazza. Persino in Grecia, dove la crisi ha generato una tensione
sociale che si è espressa in decine di scioperi generali e scontri di
piazza, le élites prima hanno tirato fuori dalla naftalina Alba
Dorata, poi hanno ritenuto meno problematico affidarsi a Tsipras e non
appena il gruppo neofascista ha superato la soglia di sicurezza i suoi
vertici sono finiti in galera.
A sinistra dire queste cose equivale a sentirsi tacciare di ‘giustificazionista’,
un‘altra sciocchezza bella e buona. L’autocrazia zarista nella Russia
dell’ ‘800-‘900 tollerava se non addirittura vedeva di buon occhio i pogrom
contro gli ebrei. Gli eserciti inglese e francese e poi la giacche blu
con l’aiuto di migliaia di immigrati europei decimarono, soggiogarono e
rinchiusero in riserve i nativi dell’America settentrionale. Perché non
definirli fascisti allora? Le loro azioni non furono abbastanza gravi? O
viceversa perché non dire che Salvini è un autocrate di stampo zarista?
Il problema è che l’uso indiscriminato del termine fascista riflette un deperimento della capacità di analisi per cui non si è più in grado di giudicare le differenze qualitative ma solo quelle quantitative. Fascista, nel linguaggio della sinistra, è diventato sinonimo di ‘arcicattivo’,
tanto che qualcuno è riuscito persino a inventarsi il ‘fascismo
islamico’ a proposito delle correnti fondamentaliste del mondo
musulmano. Ma allora perché non chiamare fascismo induista quello che in
India tiene in piedi le caste? E, per non essere eurocentrici, perché
non parlare di wahabismo antiabortista o di salafismo neoliberale? La
risposta è semplice: perché così facendo si finisce in una notte in cui
tutte le vacche sono nere, in una fiaba alla Star Wars in cui da una
parte ci sono i buoni e dall’altra i cattivi e i buoni si riconoscono
perché i loro capi sono biondi e hanno gli occhi azzurri, mentre i capi
dei cattivi indossano corazze nere e hanno i volti orrendamente
deturpati e coperti da una maschera.
D’altra parte ci ricordiamo gli anni ’90? Quando Berlusconi
andò al potere sdoganando gli ex colonnelli dell’MSI a Milano la piazza
del 25 aprile si riempì di neopartigiani chiamati da una
sinistra che evocava una democrazia a rischio, ma che per 20 anni usò lo
spauracchio di Berlusconi per alternarsi con lui al governo senza mai
metterne in discussione le politiche, fino a farci governi insieme,
patti del Nazareno, addirittura raccogliendo le firme per Alessandra
Mussolini per bloccare il ‘male peggiore’ e sdoganando i ragazzi di
Salò, che se l’avesse fatto Fini sarebbero scoppiati tumulti. Anche se, a
un certo punto, lo stesso Fini divenne inopinatamente un campione della
destra liberale, moderna ed europeista, contrapposto al plutocrate
eversore di Arcore, il quale tuttavia di recente, secondo lo storico
fondatore dell’antifascista Repubblica, è diventato preferibile al leader dei CinqueStelle Di Maio. Insomma ‘Cosi è se vi pare’. All’orizzonte si materializzano improvvisamente leader
‘fascisti’, di fronte ai quali qualcuno (di solito chi sta più a
sinistra) deve subordinarsi a qualcun altro (di solito chi sta più verso
il centro) in nome dell’unità contro il nemico principale. Oggi
tutti dovremmo aderire disciplinatamente al ‘fronte repubblicano’ (‘chi
tace è complice’) e indossare la maglietta rossa di ordinanza,
a difesa delle ONG e dei migranti che un anno fa gli antifascisti
Minniti e Gentiloni facevano fuori le prime a colpi di regolamenti e i
secondi pagando i trafficanti libici per tenerli prigioneri e invece di
chiedere loro il pedaggio per imbarcarli venderli come schiavi o
chiederne il riscatto alle famiglie (cfr il mio articolo su Gli StatiGenerali del 23 giugno).
Nella logica classica esiste un principio che recita ex absurdo sequitur omnia.
Significa che se un sistema di logica deduttiva contiene una
contraddizione, cioè vi si può dimostrare una cosa e il suo contrario,
allora quel sistema collassa, perché al suo interno si può dimostrare
qualunque affermazione e quindi esso diventa superfluo. Vale la stessa
cosa per le sciocchezze. Una sinistra che non è più in grado di
fare distinzioni qualitative (o non vuole) se non distinguere buoni,
buonini, cattivi e cattivoni precipita in uno stillicidio
ossessivo e senza fine di banalità e si rivela perfettamente inutile a
quei settori sociali, in particolare i lavoratori, che la sinistra
dovrebbe rappresentare, analizzando la realtà per quello che è e
indicando fini e mezzi. Mentre si rivela straordinariamente utile ai
Salvini e ai Di Maio. Non c’è nulla di meglio, infatti, che trovarsi nel
fuoco incrociato dei grandi gruppi editoriali, del PD (e in parte di
Berlusconi), di Confindustria, della Chiesa per apparire davvero antiestablishment e guadagnarsi così la simpatia e il voto (più che un vero e proprio consenso) di chi dell’establishment non ne può più perché fa i salti mortali per arrivare alla fine del mese, mandare i figli a scuola, pagare il dentista ecc.
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