Ho letto il resoconto, apparso su “Contropiano”, della riunione svoltasi sabato scorso a Roma su iniziativa del movimento che fa capo al sindaco di Napoli De Magistris (DE.MA) e alla quale hanno partecipato esponenti dell’insieme di soggetti che fanno parte dell’arcipelago della sinistra.
Mi permetto allora alcune osservazioni per punti, scusandomi per eventuali inesattezze dovute al non disporre, da parte mia, di una fonte d’informazione più dettagliata ed essendomi ormai impossibile partecipare di persona:
1) L’idea di una sinistra che si presenti insieme come “di opposizione” e “per l’alternativa” (termini ormai inseparabili nella fase, dimenticherei “di governo”) deve essere portata a livello internazionale, puntando a sviluppare un ragionamento collettivo attorno agli elementi che caratterizzano il periodo storico;
2) Il punto da affrontare sul piano dell’analisi è quello della cosiddetta “fine della globalizzazione”. E’ su questo elemento che si rischia di scivolare nell’arretramento sovranista, al punto da favorire un riallineamento a destra come del resto si sta già verificando in una dimensione molto pericolosa;
3) Osservatori di stampo “riformista” come Ian Bremmer o ancora Tomas Piketty, stanno tirando le somme proprio di questa “fine della globalizzazione” evidenziando due elementi sui quali abbiamo già avuto occasione di riflettere: l’allargamento delle disuguaglianze a ogni livello e dimensione; l’intensificazione dello sfruttamento che ha avuto nelle guerre e nei relativi fenomeni migratori (verificatisi comunque, anche laddove non si sono avuti o non si stanno avendo episodi bellici) il suo fattore propulsivo;
4) Allargamento delle disuguaglianze e intensificazione dello sfruttamento fissano in un’ulteriore pervasività della condizione di classe il dato più evidente che emerge dalle contraddizioni in atto nella fase del ciclo capitalistico (non è questione di ordoliberismo o quant’altro: il tema rimane proprio quello dello “sfruttamento di classe”);
5) L’idea dello sfruttamento di classe richiama, naturalmente, la dimensione internazionalista ed è in quella dimensione che va declinata la presenza a livello sovranazionale in particolare rispetto al tema europeo. E’ quella della dimensione di classe la terza via che può portarci alla necessaria rottura dei meccanismi dell’Unione senza cadere nei nazionalismi e nelle simpatie per il gruppo di Visegrad;
6) Si resta comunque in attesa dell’avvio di una discussione seria intorno al tema di una revisione della “teoria delle fratture” al fine di realizzare una rielaborazione dell’intreccio tra i cleavages “materialisti” e quelli “post – materialisti”. Una rielaborazione sulla base della quale realizzare uno schema teorico della trasformazione sociale. La trasformazione sociale non può essere basata semplicemente sulla risposta diretta ai bisogni emergenti. La risposta va provvista di visione e di un progetto di società alternativa;
7) Questo lavoro teorico necessario da svolgere non può, naturalmente, far dimenticare l’azione quotidiana di opposizione all’esistente da condurre essenzialmente sul piano sociale;
8) L’obiettivo da perseguire deve essere duplice: “ricostruire” (termine diverso, si badi bene, da quello di “rifondare”) una soggettività politica in forma di partito collegandola alla formazione di un vero e proprio “blocco storico”. La connessione tra “partito” e “blocco storico” può consentire di esercitare effettiva egemonia e non semplicemente raccogliere voti. Questo deve essere il senso della coniugazione tra “opposizione” e “alternativa”;
9) Non credo sia possibile spiegare a chi soffre ogni giorno dell’intensificazione dello sfruttamento (non ne elenco tutti gli aspetti convinto che ci comprendiamo a meraviglia) che “è necessario muoverci prima che Zingaretti diventi segretario del PD” o che “c’è da scegliere tra Varoufakis e Mélenchon”, oppure ancora che i limiti a un’iniziativa seria sono tracciati da chi rimane fermo sull’esigenza di autoconservare soggetti che ormai da più di dieci anni non sono in grado di presentare un’autonoma soggettività organizzata e – pur misurandosi con l’agone istituzionale – non sono riusciti a superare la massa critica necessaria. Naturalmente un progetto del genere non può essere basato neppure sulla qualità di governo di una città, o su di una “confederazione dei sindaci”;
10) Per riassumere in estrema sintesi: nel frattempo sarebbe bene muoverci anche sul piano organizzativo evitando di usare astruse formule da “autonomia del politico” intesa in senso deteriore. Sotto quest’aspetto sarebbe bene metterci al lavoro per una proposta capace di garantire – assieme – identità nel pluralismo delle idee. Sarebbe necessario uno sforzo di adeguamento del dibattito sul tema della soggettività politica da costruire. Una discussione da portare avanti senza forzature di alcun genere: i punti di partenza possono essere due, quello dell’opposizione senza tentennamenti verso questo governo alimentandone soprattutto con l’azione sociale gli evidenti limiti e contraddizioni e quello dell’impossibilità (ormai acclarata) di ricostituzione di un’alternativa di governo nel senso del ritorno al bipolarismo “classico” e al centro sinistra. Uno schema quello del bipolarismo fondato sul maggioritario del quale non è possibile conservare alcuna nostalgia. Centro sinistra e centro destra così come si sono evidenziati nel sistema politico italiano nei primi 15 anni del nuovo secolo, si sono definitivamente “bruciati” e il processo di riallineamento del sistema politico italiano si trova ancora agli inizi di una nuova fase di transizione. Da parte delle esistenti forze di sinistra, allora, chiusure improprie nei rapporti politici e affrettate appropriazioni di identità potrebbero rappresentare errori esiziali per una parte politica, quella della sinistra appunto, che, nelle elezioni del 4 marzo 2018, ha toccato il proprio minimo storico in entrambe le versioni nelle quali si è presentata al giudizio del voto.
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