Il Brasile non sta solo attraversando una crisi molto grave: ha questo nazista, questo fascista, che mira ai diritti del popolo, ora al ballottaggio. E, di fronte a questa situazione, sarebbe realmente tragico che alcuni settori del campo popolare facessero prevalere il loro rifiuto verso il Partito dei Lavoratori: sarebbe davvero una tragedia se questa estrema destra ci governasse per portare a fondo i processi neoliberisti in America Latina.
Poco a poco, i media del Brasile hanno creato una situazione di “caos interno”, rinfocolata da interessi internazionali che mirano a questa svolta a destra violenta della regione. Però se quel discorso si imponesse “democraticamente” nel ballottaggio finale, si scatenerebbe un vero caos sociale che potrebbe creare le condizioni per un intervento militare, appoggiato, ancora una volta, sulla “necessità di ristabilire l’ordine”. Senza alcun dubbio siamo di fronte a una situazione drammatica. E, per raggiungere quello scopo, avevano bisogno che Luis Inácio “Lula” Da Silva non fosse candidato, perché avrebbe superato il 40%. Ed è per questo, per frenarlo in qualsiasi maniera, che l’hanno messo in carcere.
Per questo, Lula è un prigioniero politico. E per questo, queste elezioni sono una frode.
Se vincessero candidati vicini alla democrazia, forse potrebbero liberarlo dopo il ballottaggio, ma lui vuole un giudizio giusto, una revisione degli atti, affinché i migliori giuristi brasiliani, dell’ONU e dell’estero mettano in evidenza gli errori del processo. Non vuole uscire per un’amnistia, ma come una persona ingiustamente condannata. Infatti, quando gli ho fatto visita alcuni mesi fa, mi ha chiesto di diffondere questo messaggio: “In tutte le istanze del paese chiedi al Giudice Moro che mostri anche una sola prova della mia colpevolezza”.
E anche oggi continua ad essere così fermo.
Ora, con i risultati del primo turno sul tavolo, l’analisi sorpassa le frontiere, mentre crescono i rischi che questa strategia imponga un neoliberismo estremo, protetta dalla politica estera degli Stati Uniti. I loro organi di sicurezza cercano di destabilizzare o ostacolare i governi progressisti della regione, come hanno fatto in Honduras e Paraguay. In Argentina non è stato necessario, perché Macri è arrivato al potere mediante il voto. Di fronte a una simile sciagura, è ora di riporre fiducia, ed io lo faccio, in Haddad per questa battaglia. Ne sono garanzia il suo percorso politico, la sua buona preparazione intellettuale e il suo modo di amministrare nello Stato come ministro dell’Istruzione. Anche i suoi detrattori riconoscono che è stato fondamentale il suo apporto affinché i neri e i poveri avessero accesso all’università. E oggi non parliamo del Brasile. Oggi parliamo dell’America Latina.
Guardando a questo 28 di ottobre, a mio giudizio saranno le donne a decidere del futuro del paese. Poiché non solo sono più della metà della popolazione e sono impegnate come mai prima: sono appena state protagoniste di una mobilitazione di massa e storica contro Bolsonaro, al grido di #EleNão. Sono loro la nostra grande speranza. E sono la reincarnazione collettiva di quella leader che è diventata un simbolo universale e che si chiama Marielle Franco. Se no perché avrebbero deciso di assassinarla? Solo per questo: per aver aperto la bocca, per essere andata avanti e per aver portato in piazza milioni di persone. Hanno voluto tacitarla, ma non hanno potuto. E non potranno farlo.
Dicano quello che vogliono, ma è arrivata l’ora di unirci. Ormai non c’è più margine per l’errore, non possiamo confonderci.
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