Ci sono immagini che, a volte, fotografano la realtà meglio di mille dibattiti e discussioni. Quelle andate in onda giovedì scorso alla trasmissione “Piazza Pulita” rientrano esattamente in questa casistica.
Il conduttore ha messo in contrapposizione l’immagine di un imperturbabile Monti e di una addolorata Fornero che nel 2011 annunciavano la loro dichiarazione di guerra nei confronti dei pensionati, con quella festante e sorridente di Di Maio che dal balcone di Palazzo Chigi annunciava di aver abolito la povertà.
Basterebbe questo diverso approccio per spiegare tutto quel consenso del quale oggi inevitabilmente il governo gode.
D’altronde, dopo anni di governi tecnici o di governi politici eterodiretti dai tecnici di Bruxelles, perché la popolazione non dovrebbe dare credito a chi dichiara di sfidare i vincoli di bilancio e l’establishment europeista? A maggior ragione se dall’altro lato tutta l’opposizione, di centro sinistra e di centro destra, si schiera proprio in nome di quei mercati e di quei parametri economici che in tutti questi anni hanno accelerato la distruzione dello Stato sociale e impoverito fasce sempre più ampie della popolazione.
Il richiamo alla Costituzione del Presidente Mattarella è poi la classica quadratura del cerchio: la nostra Carta Costituzionale non viene invocata, per esempio, per rispedire al mittente quel decreto contro l’immigrazione e il conflitto sociale che contrasta con principi basilari dello Stato di diritto, ma sempre e soltanto per invocare il rispetto dell’articolo 81, e ricordare a tutti che, proprio grazie a quell’articolo, ormai “l’Italia è una Repubblica fondata sui mercati“.
Non vi è dubbio che tra questo governo e l’Unione Europea si sia aperto uno scontro: la letterina recapitata al Governo nella quale la Commissione europea esprime “seria preoccupazione” per la tenuta dei conti pubblici né è una plastica dimostrazione.
Ma è altrettanto vero che lo scontro che si è aperto è fortemente condizionato dalle imminenti elezioni europee e dal terremoto che ne potrebbe scaturire.
Insomma, vuoi perché si sono spinti troppo al di là con le promesse elettorali, vuoi perché tra qualche mese, appunto, si voterà per le elezioni europee e le forze euronazionaliste sentono il vento in poppa, il governo giallo verde si trova, suo malgrado, nella condizione di non arretrare dinanzi alle cariche di Bruxelles. O almeno di non arretrare del tutto, perché dei segnali di cedimento possono essere già colti.
In fondo, l’intenzione di alzare il deficit per tre anni è già stato ridimensionata nell’innalzamento del 2,4% per il 2019 e poi nel progressivo abbassamento al 2,1% nel 2020 e all’1,8% nel 2021, e il duo Salvini-Di Maio non perde occasione per rassicurare continuamente l’establishment europeista chiarendo che l’impianto dell’Euro e dell’Unione Europea non è minimamente in discussione.
E soprattutto il casus belli rappresentato dal passaggio del deficit dall’1,6% al 2,4% (solo per il 2019) costituisce la classica tempesta nel bicchiere d’acqua per l’irrisorietà dello scostamento.
In realtà quel differenziale dello 0.8%, non sarà certo sufficiente per finanziare le misure che il governo vorrebbe mettere in campo e per questo si è già aperta la caccia alle risorse: lo sguardo, guarda caso, è caduto sui tagli alle spese sociali e sulle agevolazioni fiscali.
Insomma, fermo restando le immancabili misure a favore delle imprese, tra flat tax, detassazione per gli utili investiti dalle società di capitale e il consueto condono, risulta evidente che la revisione della legge Fornero e il cosiddetto reddito di cittadinanza (con tutte le preclusioni e le limitazioni che via via stanno emergendo) verrà finanziato, e quindi vanificato, con ulteriori tagli alla spesa sociale e un aumento indiretto della tassazione.
Se poi consideriamo che il 2019 dovrebbe essere l’anno di maggiore espansività della manovra con il deficit al 2,4% poi destinato a calare progressivamente, non c’è da stare particolarmente allegri...
Dal punto di vista delle ricette economiche, quindi, la partita tra europeisti (continentali o di casa nostra) e governo grillin-leghista si sta giocando sostanzialmente nello stesso campo.
Per chi ha come riferimento gli interessi dei lavoratori e dei ceti subalterni, si tratta quindi di rompere questo schema e contrastare adeguatamente sia i pasdaran dei vincoli di bilancio sia chi, proprio grazie a costoro, riesce a presentarsi nell’immaginario collettivo come un coraggioso paladino della lotta contro quel sovranismo finanziario che governa i paesi dell’Unione Europea.
Ciò non toglie che per chi si è sempre battuto per la rottura della gabbia europea e per una uscita dall’UE e dall’Euro in chiave solidale e di avanzamento sociale si apre una spazio e una contraddizione nella quale inserirsi: lo strumento delle leggi di iniziativa popolare per l’abrogazione dell’odioso vincolo del pareggio di bilancio e per introdurre in Costituzione un referendum sui trattati europei, si colloca perfettamente in questo contesto e coglie un momento in cui finalmente la discussione su questi temi è diventata centrale nel dibattito politico.
Nel contempo occorre smascherare la vera natura di un governo dai tratti palesemente razzisti e che sul piano economico si annuncia non meno feroce di quelli precedenti: la legge di bilancio, da questo punto di vista, potrebbe riservare ancora molte sorprese.
E’ questo il sentiero in cui muoversi per ricostruire una visione organica e un punto di vista indipendente e di classe utile a sconfiggere quel pensiero del “giorno per giorno” che porta i ceti subalterni ad affidarsi alla prima ideologia immediatamente disponibile e confezionata ad hoc.
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